1. Introduzione
Negli ultimi anni, nonostante l’avvento di una perenne crisi economica e l’insorgenza di improrogabili impegni personali e professionali, sempre più italiani decidono di prendere in adozione un animale domestico, il più delle volte per tentare di rasserenare, in maniera talvolta egoistica, la propria esistenza e debellare le proprie tensioni quotidiane.
Esclusivamente colui che sia in possesso di un animale domestico è a conoscenza di quanto ci si possa affezionare ad un simile “essere”, giungendo, addirittura, a considerarlo quale membro effettivo del proprio nucleo familiare.
Tale “affettuosa” considerazione, ormai ben radicata nella coscienza dei “proprietari” ed, allo stesso tempo, oggetto di critiche da parte dei non simpatizzanti per il mondo “inumano”, induce ad approfondire una tematica di rilievo nell’ambito del diritto successorio, concernente la possibilità di istituire erede o legatario il proprio animale.
Si anticipa che la normativa nazionale non consente, al momento, di destinare un lascito testamentario al proprio animale domestico, sebbene un simile “diritto” sia già riconosciuto in altri Paesi europei e non.
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2. L’inesistenza della capacità di succedere dell’animale domestico
L’art. 587, comma 1, c.c. afferma che «il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse».
Possono disporre per testamento, e, dunque, sono in possesso della capacità di disporre «[…] tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge[1]».
Diversamente, sono in possesso della capacità di ricevere per testamento, che si estrinseca nell’idoneità di un soggetto di divenire titolare di beni, mobili od immobili, che gli vengono attribuiti mediante un atto di ultima volontà, una persona fisica, quale un parente, ovvero una persona giuridica, quale un’associazione. L’inidoneità a ricevere, quindi, scaturisce inevitabilmente dallo stato giuridico del soggetto beneficiario.
Dunque, per subentrare nella titolarità di rapporti giuridici facenti capo ad una persona defunta, l’erede deve essere in possesso della “capacità di succedere”.
La predetta capacità, quantomeno per le persone fisiche, è disciplinata dall’art. 462, comma 1 e 3, c.c., i quali sanciscono, rispettivamente, che «sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura della successione» e «possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benchè non ancora concepiti».
Dai citati articoli si evince, in maniera evidente, che la capacità di succedere è insita in chiunque sia nato ovvero concepito al momento dell’aperta successione e, per ciò che concerne la successione testamentaria, anche il discendente diretto di un soggetto in vita al tempo della morte del de cuius, anche se non ancora concepito.
La capacità di succedere si correla fermamente alla capacità giuridica, intesa quale capacità del soggetto di essere titolare di diritto ed obblighi, che «[…] si acquista al momento della nascita[2]».
Dalla predetta correlazione si deduce che l’insussistenza, in un determinato soggetto, della capacità giuridica comporta l’inevitabile insussistenza, in capo al medesimo, della capacità di succedere.
Nell’ordinamento italiano, gli animali vengono considerati impropriamente “beni mobili”, che possono formare oggetto di diritti reali e di rapporti negoziali, ma che, in quanto tali, sono privi dell’idoneità, riconosciuta dalla legge, di essere titolari di diritti e doveri.
L’inidoneità predetta, come previsto dalle illustrate disposizioni normative, consente di escludere, con certezza, che gli animali domestici, ancorchè meritevoli di qualunque benevola azione posta in essere dal de cuius e già beneficiari del complesso della tutela giuridica che il diritto pubblico nazionale riserva in difesa di questi esseri viventi, siano provvisti di capacità successoria, in quanto detta capacità risulta esclusivamente riservata a persone fisiche e giuridiche.
Tale assunto trova conferma in una recente pronuncia della Corte di cassazione[3], la quale ha precisato che «la disciplina pubblicistica che appresta tutela agli animali non rende comunque questi titolari di diritti» e che «l’animale, per quanto essere senziente, non può essere soggetto di diritti per la semplice ragione che è privo della c.d. capacità giuridica (che si definisce appunto come la capacità di essere titolari di diritti ed obblighi)».
Il testatore, quindi, che fosse “proprietario” di un animale domestico e volesse disporre nei suoi confronti, non potrebbe farlo in via diretta, ma potrebbe nominare erede, mediante il proprio atto di ultime volontà, una persona fisica, quale un parente, ovvero una persona giuridica, quale un’associazione a tutela degli animali, attribuendole l’onere di prendersi cura, in toto e sine die, del proprio animale domestico.
In tal modo, il testatore riesce ad ovviare, in maniera assolutamente legittima, al divieto imposto dalla legge in materia, in quanto l’inumana creatura, pur non potendo assumere la qualità di erede, diventa indirettamente beneficiaria degli effetti della disposizione testamentaria.
3. L’insussistente beneficio testamentario animale e le misure alternative previste dalla legge
Come già anticipato, gli animali domestici, qualunque sia l’affetto che li lega ai “proprietari”, per il diritto privato non sono considerabili quali soggetti di diritto, ma, secondo una concezione alquanto arcaica e tradizionalista, come un “bene materiale”, in quanto tale privo delle capacità giuridica e successoria.
Dunque, nonostante sia giuridicamente impossibile che tali “esseri” possano essere istituiti, mediante testamento o legato, eredi o legatari, sussistono appositi legittimi strumenti, mediante i quali poter addivenire ad un simile volere.
Tra questi, si annovera l’onere, sancito nell’art. 647, comma 1, c.c., secondo il quale «tanto all’istituzione di erede quanto al legato può essere apposto un onere», ma «il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari[4]».
L’onere è un elemento giuridico meramente eventuale, la cui introduzione in un disposto testamentario obbliga il soggetto beneficiario a subire un “peso” per il raggiungimento di un prescritto scopo.
Il mancato raggiungimento dello stesso determina l’impossibilità per l’eletto erede di beneficiare delle prescrizioni del de cuius.
Per fini esemplificativi, il testatore potrebbe istituire erede una persona fisica, attribuendole l’onere di accudire, sino alla fine dei suoi giorni, il proprio animale domestico. L’onerato, istituito beneficiario della disposizione testamentaria con “riserva”, deve prendersi cura dell’animale domestico, adempiendo al volere del testatore.
Qualora ciò non accada, l’art. 648 prevede che «per l’adempimento dell’onere può agire qualsiasi interessato[5]» e «[…] l’autorità giudiziaria può pronunziare la risoluzione della disposizione testamentaria, se la risoluzione è stata prevista dal testatore, o se l’adempimento dell’onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione[6]».
Dalla disposizione, dunque, si evince che qualsiasi soggetto interessato (chiunque) all’adempimento dell’onere può richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria, la quale, dopo aver accertato, al di la di ogni ragionevole dubbio, l’inadempimento dell’onerato, proclamerà la risoluzione del disposto testamentario, qualora la risoluzione sia stata prevista dal testatore e l’adempimento dell’onere costituisca l’esclusivo determinante motivo che ha indotto il soggetto a testare.
Al fine di verificare il rispetto delle disposizioni testamentarie, «il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari[7]», con il precipuo scopo di «curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto[8]»ed «a tal fine, salvo contraria volontà del testatore, egli deve amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso dei beni che ne fanno parte[9]».
L’esecutore testamentario verifica il rispetto delle disposizioni e provvede alla denuncia, presso le competenti autorità, qualora sussista, a suo dire, l’inadempimento o l’inesatto adempimento, il cui accertamento comporta la rimozione del lascito e l’affido dell’animale ad un’appropriata associazione.
Ulteriore misura, che si addiziona alla predetta, è la costituzione di una fondazione, che, così come previsto dal Codice civile, «[…] può essere disposta anche con testamento[10]».
La costituzione di una fondazione potrebbe meglio rispecchiare il volere del testatore, in quanto, mediante la creazione di un nuovo ente, potrebbe realizzarsi lo scopo di tutelare determinate categorie di animali domestici.
La volontà del testatore di costituire una fondazione e lo scopo precipuo devono risultare, in maniera evidente, dallo statuto e dall’atto costitutivo, che «devono contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione. Devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite[11]».
Dunque, il volere del testatore deve essere immancabilmente accompagnato da un atto di dotazione patrimoniale, in cui siano indicati i mezzi necessari per il funzionamento dell’ente.
Alle predette misure, maggiormente afferenti alla volontà del testatore, se ne aggiungono delle altre, meno utilizzate per complessità procedurale e nel raggiungimento dello scopo, tra cui si annoverano, per soli fini esemplificativi, le disposizioni a favore dell’anima, che «sono valide qualora siano determinati i beni o possa essere determinata la somma da impiegarsi a tale fine» e “«si considerano come un onere a carico dell’erede o del legatario[12]», per il cui adempimento «può agire qualsiasi interessato[13]».
4. La forma ed i limiti delle disposizioni testamentarie in favore di animali
Ai fini della validità della disposizione testamentaria in favore di animali, occorre che il testatore rispetti i requisiti di forma e sostanza previsti dalla normativa codicistica.
Le ultime volontà del de cuius potrebbero essere contenute in un testamento olografo, che, ai sensi dell’art. 602, comma 1, c.c., deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore. L’atto deve contenere i dati del beneficiario e l’oggetto del lascito, con l’esplicito vincolo della destinazione del medesimo al mantenimento del proprio animale finché avrà vita.
In vece del testamento olografo, il de cuius potrebbe decidere di redigere il testamento per atto di notaio, in ossequio al disposto normativo dell’art. 603 c.c. per il testamento pubblico ed al disposto normativo dell’art. 604 c.c. per il testamento segreto, nel quale sia indicato l’onere della tutela e custodia dell’animale domestico, cui deve soggiacere il beneficiario.
Le disposizioni testamentarie, aventi quali beneficiari, seppure in via indiretta, gli animali, trovano dei limiti nelle norme di cui agli artt. 536 e ss. c.c., in materia di diritti riservati ai legittimari.
Mediante le predette, è possibile addivenire all’individuazione delle percentuali patrimoniali che il de cuius può destinare al proprio animale ovvero all’associazione o terzo interposto che si andrà ad occupare della tutela dello stesso.
Le percentuali mutano a seconda dell’esistenza o meno di soggetti legittimari, ossia coniuge, figli ed ascendenti, i quali sono «le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione […][14]».
Qualora il testatore sia privo di parentela, ovvero risulti non avere eredi necessari, quali coniuge, figli legittimi, adottivi e naturali, o, in mancanza di questi, ascendenti legittimi, potrà disporre dell’intero patrimonio in favore del proprio animale domestico.
Diversamente, qualora alla morte del testatore si riscontri l’esistenza di eredi necessari, occorre procedere al calcolo dell’intera massa ereditaria, data dalla sommatoria dei beni del de cuius e dei beni eventualmente dati in donazione, da cui, in seguito, evincere la quota di legittima e quella materialmente disponibile. Solamente quest’ultima può essere oggetto di libere disposizioni testamentarie, che, se «([…] eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre, sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima[15]».
5. Conclusioni
In taluni Paesi, tra cui Gran Bretagna e Stati Uniti, è prassi la nomina dell’animale domestico quale erede universale, al fine di ricompensarlo dell’affetto e vicinanza dimostrati nel proprio percorso di vita. Ivi, l’animale assume le vesti di un vero e proprio componente del nucleo familiare, che può beneficiare, mediante disposizione testamentaria, di tutte le sostanze appartenute al de cuius.
Il rispetto del volere testamentario viene verificato da un amministratore, il quale si prende cura, materialmente ed economicamente, dell’animale domestico.
Nonostante sia cresciuto a dismisura il numero di cittadini italiani, che manifestano, ad oggi, la volontà di disporre del patrimonio “disponibile” in favore del proprio animale d’affezione, l’impianto codicistico nazionale vigente non attribuisce legittimità alle predette disposizioni testamentarie, in quanto l’animale non possiede personalità e, quindi, capacità giuridica.
Ciò nonostante, il proprietario, mediante appositi strumenti giuridici, quali l’onere testamentario o la creazione di una fondazione, affida a soggetti terzi l’incarico di amministrare l’eredità per conto dell’animale indirettamente beneficiario, garantendogli la tutela vitalizia che il Codice civile, in qualche modo, gli nega.
Sarebbe auspicabile, dunque, che la normativa civilistica italiana in materia, oltre al conformarsi a quella dei paesi extraeuropei citati, si conformi, nel prossimo futuro, con quella penalistica nazionale, che considera gli animali quali “essere senzienti”, superando, così, la considerazione puramente oggettivistica dei “non umani”, classificabili, secondo il Codice penale, quali portatori di interessi propri.
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Note
[1] Ai sensi dell’art. 591, c. 1, c.c., “Possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge.”
[2] Ai sensi dell’art. 1, c. 1, c.c., “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.”
[3] Cass. Civ., Sez. II, 25 settembre 2018, n. 22728.
[4] Ai sensi dell’art. 549 c.c., “Il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari , salva l’applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro.”
[5] Ai sensi dell’art. 648, c. 1, c.c., “Per l’adempimento dell’onere può agire qualsiasi interessato.”
[6] Ai sensi dell’art. 648, c. 2, c.c., “Nel caso di inadempimento dell’onere, l’autorità giudiziaria può pronunziare la risoluzione della disposizione testamentaria, se la risoluzione è stata prevista dal testatore, o se l’adempimento dell’onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione.”
[7] Ai sensi dell’art. 700, c. 1, c.c., “Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari e, per il caso che alcuni o tutti non vogliano o non possano accettare, altro o altri in loro sostituzione”.
[8] Ai sensi dell’art. 703, c. 1, c.c., “L’esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto”.
[9] Riferimento all’art. 703, comma 2, c.c.
[10] Ai sensi dell’art. 14, c. 2, c.c., “La fondazione può essere disposta anche con testamento.”
[11] Ai sensi dell’art. 16, c. 1, c.c., “L’atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione. Devono anche determinare , quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite.”
[12] Ai sensi dell’art. 629, c. 2, c.c., “Esse si considerano come un onere a carico dell’erede o del legatario, e si applica l’art. 648.”
[13] Ai sensi dell’art. 648, c. 1, c.c., “Per l’adempimento dell’onere può agire qualsiasi interessato.”
[14] Ai sensi dell’art.536, c. 1, c.c., “Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti.”
[15] Ai sensi dell’art. 544, c. 1, c.c., “Quando chi muore non lascia figli, ma ascendenti e il coniuge, a quest’ultimo è riservata la metà del patrimonio, ed agli ascendenti un quarto”.
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