Premessa
Ormai da oltre un anno a questa parte, tutto il mondo viene quotidianamente influenzato dagli effetti della pandemia globale da Covid-19.
Tale fenomeno ha causato forti rallentamenti nella circolazione di beni e persone, creando non poche difficoltà economiche sia a livello pubblico sia a livello privato.
Il diritto, purtroppo, non è stato esente dal doversi confrontare con queste dinamiche e, pertanto, si sono moltiplicate una serie di casistiche scaturite proprio dalle difficoltà economiche e sociali di questi tempi.
In tale contesto di difficoltà, ad esempio, si sono date molte situazioni ove, da una parte, molti conduttori si sono trovati a riuscire a saldare con fatica i propri canoni di locazione e, dall’altra parte, anche i locatori hanno potuto fare unico affidamento su queste entrate.
In questo stato di cose, però, v’è stata per qualcuno la possibilità di vedersi ridotto il canone per far fronte alla crisi a fronte dell’animo di solidarietà del proprio conduttore.
Tuttavia, non sempre è così pacifico che il canone di locazione possa essere agilmente ridotto a favore del conduttore; infatti, nel caso di un bene immobile in comproprietà, potrebbe darsi una situazione per la quale non tutti i comunisti siano favorevoli alla riduzione.
In questa sede, dunque, si analizzerà la disciplina codicistica di riferimento in caso di contrasto tra comproprietari circa la gestione dei canoni di locazione del bene in comune.
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L’impossibilità di autoriduzione del conduttore
Prima di analizzare le problematiche inerenti ai contrasti tra comproprietari circa la riduzione del canone di locazione del bene in comune, si ritiene opportuno apre una parentesi circa il fatto che, in ogni caso, non può essere il conduttore a ridurre il canone in maniera unilaterale.
Nello specifico, la giurisprudenza (trattando di compensazioni di controcrediti tra locatore e conduttore) ha ritenuto che non sia facoltà del conduttore procedere ad una modifica o riduzione, poiché tale condotta risulta lesiva del rapporto sinallagmatico del contratto di locazione ai danni dell’interesse e delle aspettative economiche del locatore[1].
Per maggiore chiarezza espositiva, il Tribunale di Salerno[2] ha espressamente definito che: “In materia di locazione, seppure il conduttore vanti dei controcrediti nei confronti del locatore, non è mai consentita l’autoriduzione del canone di locazione determinando, una tale eventualità, un’alterazione del sinallagma contrattuale determinante uno squilibrio tra le prestazioni delle parti e ciò a prescindere dalla carenza di prova circa la sussistenza dei presupposti del vantato controcredito”.
Dunque, l’unico modo per procedere alla modifica dei canoni è trovare un accordo tra locatore e conduttore ai sensi dell’art. 1322 c.c., disciplinante l’autonomia contrattuale, tutelata costituzionalmente all’art. 41 Cost..
Ecco che proprio qui, pertanto, assume rilevanza il caso di dissenso tra vari comproprietari che vogliano esercitare diversamente le proprie prerogative di autonomia contrattuale inerenti al contratto di locazione del bene in comproprietà.
I diritti dei comproprietari
Preliminarmente, occorre richiamare in breve le disposizioni che regolano la gestione della cosa comune tra più comproprietari.
Le norme essenziali che si richiamano sono l’art. 1105 c.c. comma 1, per il quale: “Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune” ed anche l’art. 1103 c.c. comma 1, il quale definisce che: “Ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota”.
Dunque, tali criteri inerenti alla comune gestione ed alla disposizione della propria quota da parte di ogni comproprietario sono le direttrici fondamentali che – come si dirà in seguito – possono anche consentire ad alcuni comproprietari di imporre il proprio volere ad altri comunisti dissenzienti, anche con riguardo alla modifica del canone di locazione della cosa comune; ciò ovviamente al verificarsi di determinati requisiti.
La riduzione dei canoni di bene in comproprietà
Come detto, è ben possibile che in qualche circostanza non vi sia un accordo pacifico tra i comproprietari di un immobile locato circa la possibilità di operare una modifica riduttiva del canone; almeno un comproprietario potrebbe esprimere il proprio dissenso.
Tuttavia, gli altri comproprietari possono “scavalcare” la preferenza del dissenziente a patto che sussistano alcune condizioni. Infatti, in via generale, la disciplina codicistica, nei casi di gestione comune di beni in comproprietà, prevede che – come si vedrà più nel dettaglio – possano essere “scavalcati” i dissensi degli altri comproprietari solamente qualora si tratti di casi inerenti ad atti di ordinaria amministrazione.
Sulla scorta di tale assunto, occorre preliminarmente verificare se la stipula di un contratto di locazione sia da intendersi come un atto di ordinaria amministrazione oppure come un atto di straordinaria amministrazione della cosa comune ai comproprietari; infatti, appare lapalissiano come la facoltà dei vari comproprietari di disporre del contratto debba avere la stessa natura del contratto stesso, in quanto attività strettamente dipendente e connessa alla stessa natura di questo. Pertanto, è logico che anche la modifica del canone di locazione dovrà avere la stessa natura del contratto connesso.
Per rispondere a tale quesito, viene in rilievo la durata del contratto di locazione di ogni caso specifico, poiché essa determina se esso sia un atto di ordinaria o straordinaria amministrazione.
Più nel dettaglio, l’art. 1572 c.c. comma 1 prevede che: “Il contratto di locazione per una durata superiore a nove anni è atto eccedente l’ordinaria amministrazione”.
Pertanto, secondo tale disposizione, è ben possibile operare un argomento a contrario per il quale è da ritenersi pacificamente, all’inverso, che un contratto di locazione di durata inferiore a nove anni sia atto non eccedente l’ordinaria amministrazione.
Dunque, a logica, la riduzione del canone di un contratto locativo di durata ultranovennale è atto di straordinaria amministrazione, mentre la riduzione del canone di un contratto locativo di durata infranovennale è atto di ordinaria amministrazione.
Venendo, quindi, alla disciplina reale qui coinvolta e sopra genericamente anticipata, la disposizione che rileva per questo punto è l’art. 1105 c.c. al comma 2, per il quale: “Per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente”.
Pertanto, appare immediatamente intuibile come, in caso di un contratto locativo di durata infranovennale, qualora si discutesse della possibilità di riduzione del canone di locazione di un bene in comproprietà, colui il quale fosse titolare della quota di minoranza dissenziente sarà vincolato dalla decisione della maggioranza (intesa sempre in termini di quota di proprietà) ai sensi dell’art. 1105 c.c…
Contrariamente, se si trattasse di un contratto di locazione di durata superiore ai nove anni, gli altri comproprietari non potrebbero costringere il dissenziente ad accettare le proprie decisioni sulla riduzione, con il risultato di attribuire sostanzialmente una sorta di diritto di veto al comproprietario contrario.
Peraltro, anche all’art. 1108 c.c. comma 1 si prescrive che: “Con deliberazione della maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune, si possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento”.
Dunque, in caso di dissenso sulla riduzione del canone di locazione v’è anche una indicazione specifica da parte del codice civile di quale maggioranza sia necessaria per imporre al comproprietario dissenziente il volere degli altri comproprietari. Peraltro, in una situazione di difficoltà economica del conduttore, ecco che una riduzione potrebbe favorire il pagamento di canoni ridotti, che, contrariamente, potrebbero essere non saldati per intero se fossero in misura maggiore.
Ancora, sempre l’art. 1108 c.c. comma 3 specifica anche che: “È necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni”.
Anche qui si dà conferma di quanto precedentemente detto, cioè che per le locazioni ultranovennali è necessario il consento di tutti i partecipanti, mentre solo se si tratta di un contratto di locazione con durata inferiore a nove anni, allora la riduzione del canone potrà lecitamente essere operata grazie alla specifica maggioranza di almeno due terzi delle quote degli altri comproprietari, così come previsto dal primo comma del medesimo articolo.
Conclusioni
Concludendo e riassumendo, le disposizioni codicistiche delineano una coerente disciplina, per la quale, in caso di mancanza di un accordo pacifico tra i comproprietari di un immobile locato circa la possibilità di operare una modifica riduttiva del canone, l’effettiva riduzione sarà subordinata all’esito della votazione pro quota dei comproprietari, a patto che si tratti di un contratto di locazione infranovennale, ossia non eccedente l’ordinaria amministrazione.
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Note
[1] Tribunale Bari Sez. III, 10/07/2012
[2] Tribunale Salerno Sez. I, 01/04/2015
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