La seguente decisione offre una analitica disamina della differenza tra i vincoli urbanistici a natura sostanzialmente ablativa, con la conseguente previsione dell’indennizzo a favore del proprietario, e vincoli conformativi, che non costituiscono titolo per il diritto all’indennizzo.
I vincoli urbanistici di tipo conformativo non indennizzabili sono quelli che riguardano intere categorie di beni, mentre i vincoli urbanistici ablativi, soggetti alla scadenza quinquennale e che devono essere indennizzati, sono quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, fino alla privazione dello jus aedificandi.
Sono inoltre soggetti alla scadenza quinquennale i vincoli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria, ove non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio, con l’approvazione dei piani urbanistici esecutivi, e quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dal legislatore in applicazione dell’art. 42 della Costituzione.
La sentenza precisa anche che non è ammissibile l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum qualora non sia specificamente determinabile l’interesse dedotto .
Secondo giurisprudenza pacifica, l’atto di intervento può essere proposto soltanto dal titolare di una posizione giuridica che sia collegata o dipendente da quella del ricorrente principale.[****************]
Tribunale Amministrativo Regionale della Campania -Sezione staccata di Salerno (Sezione Prima); Presidente *************; Estensore Cons. ******************.
Sentenza n ° 1264 del 14 luglio 2014
sul ricorso, proposto da ****, rappresentato e difeso dall’avv. ****;
contro
Comune di Battipaglia in Persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. ****;
e con l’intervento ad opponendum :
di ****, rappresentato e difeso dagli avv. ****;
per l’annullamento
provvedimento n.19/13 del 02/05/2013 a firma del responsabile apo servizio edilizia privata/suap del comune di Battipaglia recante il diniego del rilascio del permesso di costruire di cui all’istanza prot.1535 del 08/01/2013; di ogni atto connesso
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Battipaglia in Persona del Sindaco p.t.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 aprile 2014 il dott. ****************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con l’atto notificato il 17.9.2013, depositato il 3.10.2013, il nominato in epigrafe, premesso di essere comproprietario di un lotto di terreno inedificato di circa 733,00 mq, ricadente in zona “B2-residenziale da ristrutturare” del vigente Prg del Comune di Battipaglia, in catasto al foglio *****, e di aver presentato in data 20 settembre 2012 istanza di permesso di costruire inteso a realizzare un fabbricato residenziale multipiano, con piano terra a destinazione commerciale, con richiesta di usufruire del premio volumetrico previsto “a regime” dall’art. 5 d. l. 70/2001 (conv. in l. n. 106/2011), rigettato dall’amministrazione con provvedimento n. 31 del 19.11.2012 con la motivazione della non assentibilità della premialità aggiuntiva siccome applicabile esclusivamente ai volumi esistenti; di aver ripresentato, in data 8 gennaio 2013, nuova istanza, rinunciando al premio e con esclusivo riferimento alle potenzialità edificatorie del lotto, pari ad un indice di 3 mc/mq, rimasta inesitata nel termine previsto dall’art. 20 DPR n. 380/2001 per mancanza di un provvedimento espresso; di aver chiesto, quindi, la determinazione degli oneri di costruzione e di urbanizzazione per avviare i lavori, tacitamente assentiti; impugna il diniego, in epigrafe meglio specificato, emesso dallo Sportello unico per l’edilizia, motivato in ragione del contrasto con l’art. 7 l. r. 19/2009 e 1/2001, trattandosi di un’area carente dei requisiti definiti dall’art. 2 l.r.c. 19/2009, né risulterebbe dimostrato quanto previsto dall’art. 11, comma 1, dpr 380/2001, chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.
2.- Resiste in giudizio l’intimata amministrazione comunale chiedendo il rigetto della domanda perché inammissibile ed infondata.
3.- E’ intervenuto ad opponendum il sig. ****.
4.- Non risultano provvedimenti cautelari.
5.- All’udienza del 17 aprile 2014, sulla conclusione delle parti presento come da verbale di udienza, il Collegio si è riservata la decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato, alla stregua delle considerazioni che seguono.
2.- Dubita parte ricorrente della legittimità del diniego, in epigrafe meglio specificato, con il quale la resistente amministrazione si è determinata alla reiezione dell’istanza di permesso di costruire presentata in data 8.01.2013, prot. n. 1535, assumendo nel predetto diniego che “l’area oggetto della richiesta non possiede i requisiti definiti dall’art. 2 della L. R. 19/09 e 01/11” e che “non risulta dimostrato quanto previsto dall’art. 11 comma 1 del DPR 380/2001”.
Avverso la sfavorevole determinazione è insorto il deducente, osservando che :
– l’atto impugnato sarebbe illegittimo siccome emesso in presenza di un provvedimento tacitamente assentito ex art. 20 DPR 380/2001;
-il diniego sarebbe privo di congrua motivazione, non integrabile ex post, non risultando esplicitato il contrasto del progetto presentato con specifiche norme urbanistiche unitamente alla compiuta esposizione delle ragioni per le quali sussiste la difformità urbanistica;
-l’intervento progettato, ricadente in zona “B2 – residenziale da ristrutturare”, con indice di fabbricabilità pari a 3 mc/mq, posta in pieno centro urbano ed inutilizzata, sarebbe statao oggetto di un’apposita istanza presentata ai sensi dell’art. 7 l.r.c. n. 19/2009 che intende promuovere ed agevolare la riqualificazione delle aree urbane “degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti”; la valutazione dell’istanza, pertanto, contrariamente a quanto rappresentato dall’ufficio, andava condotta alla luce dei parametri ordinari vigenti per la zona in parola e non con riferimento alla legislazione premiale del “piano casa”.
– l’amministrazione resistente avrebbe dovuto attivare il soccorso istruttorio laddove orientata a ritenere insufficiente la posizione di comproprietario dell’interessato.
2. La ricostruzione attorea risulta contestata dalla resistente amministrazione che, nel costituirsi in giudizio, ha osservato che, contrariamente a quanto dedotto, l’interessato avrebbe chiesto il rilascio di un permesso di costruire, ai sensi della l. r. n. 19/09 (c.d. Piano Casa) per edificare su un’area non degradata, sita nel centro urbano ed urbanisticamente satura, destinata a verde pubblico semplice; l’interessato, inoltre, non avrebbe allegato atti certi che dimostrano la titolarità del bene ex art. 11 comma 1, dpr 380/2001, a mente delle cui indicazioni, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per richiederlo.
3.- Anche l’interventore ad opponendum spiega difese finalizzate a demolire la pretesa attorea.
4.- Va in primo luogo dichiarata l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum di ****, attesa l’estrema indeterminatezza dell’interesse dedotto in causa. Come chiarito dalla giurisprudenza, nel processo amministrativo, l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto soltanto dal titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente principale (Cons. Stato, Sez., 2 agosto 2011, n. 4557). In questo senso la qualità di cittadino, nativo nel comune di Battipaglia, di per sé appare generica e non significativa per costruire un concreto collegamento con l’interesse dedotto nel processo (cfr Tar Salerno Sez, I n. 500 del 28.2.2014).
5.- Nel merito, per comprendere le conclusioni cui è giunto il Collegio, necessita prendere le mosse dalla memoria di replica nella quale parte ricorrente contesta “la pretesa ultravigenza, a distanza di oltre quarant’anni dall’adozione del PRG del vincolo a verde pubblico semplice” affermando che “trattasi all’evidenza di un vincolo sostanzialmente ablativo, caduco, la cui decadenza non ha tuttavia prodotto l’azzeramento della disciplina urbanistica, ma la riespansione della disciplina contemplata nella tavola 9 del vigente PRG ove l’area è zonizzata come B2…”.
La difesa non coglie nel segno, atteso che, nella specie, non si è in presenza di un vincolo ablativo bensì conformativo, per quanto di seguito si dirà.
5.a.- La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che “… alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 20 maggio 1999, n. 179 – dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, n.2, 3 e 4 e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo – i vincoli urbanistici non indennizzabili, e che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, e che devono essere indennizzati, sono: a) quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l’imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta; b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l’approvazione dei piani urbanistici esecutivi; c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell’ambito dell’art. 42 Cost..
La Sezione ha, poi, precisato che di tali principi ha fatto coerente applicazione l’orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo il quale costituiscono vincoli soggetti a decadenza, ai sensi dell’articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, quelli preordinati all’espropriazione, o che comportino l’inedificabilità, e che, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone significativamente il suo valore di scambio.
Sulla base di tali generali premesse, la decisione ha ritenuto che, nel caso di specie, la destinazione di “area a verde pubblico – verde urbano” costituisce espressione della potestà conformativa del pianificatore, avente validità a tempo indeterminato, come correttamente affermato dal primo giudice.
Difatti, l’art. 31 delle N.T.A., che destina le “aree a verde pubblico” al tempo libero e quindi all’utilizzo da parte della collettività (in tal senso dovendosi correttamente intendersi l’espressione “sono di proprietà pubblica” che, altrimenti, nel contesto in cui è inserita, non potrebbe giuridicamente avere portata attributiva di proprietà alcuna), prevede, peraltro, che su tali aree possano essere ubicate attrezzature per lo svago, chioschi, bar, teatri all’aperto, impianti sportivi per allenamento e spettacolo, e simili, nonché biblioteche e giochi per bambini, e consente, altresì, la costruzione di edifici ed impianti previa approvazione di piano particolareggiato o di progetto planovolumetrico.
Da qui la conclusione che, essendo consentita, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del verde, va escluso, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale e non è, quindi, ravvisabile alcun vincolo preordinato all’espropriazione né comportante inedificabilità assoluta né è configurabile un obbligo di nuova tipizzazione.” (ex multis Cons. St. 2718 del 2005).
5.b.- Trasponendo le menzionate acquisizioni giurisprudenziali al caso in esame deve convenirsi che l’area del ricorrente sia gravata da un vincolo conformativo e non espropriativo, la cui vigenza a tempo indeterminato esclude che possa ritenersi avverata la dedotta riespansione della disciplina contemplata nella tavola 9 del vigente PRG ove l’area è zonizzata come B2.
La documentazione versata in atti evidenzia che l’area è destinata ad “attrezzature di interesse generale o di zona e di uso pubblico o aperte al pubblico, nonché attrezzature commerciali, per lo svago e lo spettacolo se espressamente indicate nel piano”.
In definitiva risultando consentita, anche ad iniziativa del privato, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del verde, va escluso, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale e non è, quindi, ravvisabile alcun vincolo preordinato all’espropriazione né comportante inedificabilità assoluta né è configurabile un obbligo di nuova tipizzazione.
6.- Acclarata l’effettiva tipizzazione dell’area, le censure devono stimarsi infondate, atteso che :
-non risulta dimostrata la ricorrenza di tutti i presupposti per invocare l’esistenza di un titolo validamente formato per silenzio-assenso ex art. 20 dor 380/2001. E’ pacifico in giurisprudenza che il silenzio-assenso di cui alla citata disposizione presuppone necessariamente che vi sia una dichiarazione del progettista (comma 1), atteso che la sua mancanza è significativa della non conformità agli strumenti urbanistici. La riferita carenza o l’approssimazione della dichiarazione resa dal progettista preclude la formazione del silenzio assenso, in quanto la procedura semplificata consente lo snellimento dell’azione amministrativa solo sul presupposto che la stessa sia stata messa nelle condizioni di conoscere nella sua completezza tutti gli elementi necessari al fine di valutare l’assentibilità dell’intervento (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, sentenza n. 20 del 2013; Tar Campania Napoli Sez. II 3 maggio 2013 n. 2281);
– non sussiste il difetto di motivazione, atteso che le emergenze processuali non provano che l’area de qua sia degradata nel senso reso esplicito dall’art. 2 l. r. n. 19/09 e cioè “compromesse, abbandonate, a basso livello di naturalità, dismesse o improduttive in ambiti urbani ed in territori marginali e periferici in coerenza al Piano territoriale regionale (PTR) di cui alla legge regionale 13/2008; al contrario, risulta che l’area ed qua è posta in pieno centro urbano;
-parimenti non risulta che vi siano sul fondo volumi assentiti, necessario presupposto per concedere la premialità volumetrica del 20 % di cui alla l. r. n. 19/09, configurandosi, invece, un fondo inedificato non utile ai fini dell’invocata misura aggiuntiva;
-per le riferite considerazioni, inutiliter data si rivela la censura relativa al soccorso istruttorio, dal momento che, l’eventuale delibazione, in ipotesi, favorevole alla tesi attorea alcun vantaggio arrecherebbe al ricorrente, in applicazione di un principio, consolidato in giurisprudenza a mente delle cui indicazione, quando un provvedimento è sorretto da più motivi, tra di loro autonomi, deve stimarsi legittimo anche quando uno solo di essi si riveli fondato (ex multis Cons. St. Sez. V 27.9.2004 n. 6301).
Per tutte le suesposte ragioni, il ricorso è infondato e come tale va respinto.
7.- Sussistono giuste ragioni per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, previa declaratoria d’inammissibilità dell’intervento ad opponendum, lo rigetta.
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