La distruzione intenzionale del patrimonio culturale nel diritto internazionale

Approfondimento sulla distruzione intenzionale del patrimonio culturale.

Indice

1. Il concetto di distruzione intenzionale del patrimonio culturale

Nel precedente articolo che ho scritto per Diritto.it ho approfondito il concetto di protezione del patrimonio culturale in tempo di guerra e di pace e di quanto possa essere difficile tutelarlo. Con questo articolo affronto una questione più annosa: la distruzione intenzionale del patrimonio culturale.
Cosa si intende per distruzione intenzionale del patrimonio culturale? Con questa espressione dobbiamo fare riferimento ad attacchi deliberati contro il patrimonio culturale. Tali attacchi, siano essi intenzionati a distruggere in tutto o in parte il patrimonio, sono contrari al diritto internazionale e costituiscono una violazione tanto in tempo di pace che in tempo di guerra.
Fornisco subito due esempi noti e relativamente recenti: l’assedio di Dubrovnik durante la guerra di indipendenza croata con gli attacchi alla città vecchia (riconosciuto tra i Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO) nel 1991 e la distruzione ad opera dei Talebani dei Buddha della Valle di Bamiyan nel 2001.
Il confronto tra questi due esempi deve far riflettere: nel primo caso si tratta di un attacco ad un patrimonio culturale durante un conflitto armato nel più ampio contesto delle guerre nell’Ex Jugoslavia, nel secondo caso si tratta di un attacco, per la precisione una distruzione pressoché totale, di due enormi statue fuori da un contesto di guerra o di conflitto interno. Sia nel primo che nel secondo caso la comunità internazionale ha risposto a suo modo: la città vecchia di Dubrovnik – che era stata inserita nel 1979 nella Lista dell’UNESCO del Patrimonio dell’Umanità – venne inserita nel 1991 nella Lista del Patrimonio dell’Umanità in Pericolo (e rimase tale fino al 1998) [1]; quello che rimase a seguito della distruzione delle statue dei Buddha della Valle di Bamiyan venne iscritto nel 2003 nel sito UNESCO del Patrimonio dell’Umanità “Paesaggio culturale e resti archeologici della Valle di Bamiyan”. Lo stesso sito rimane dall’anno dell’iscrizione – il 2004 – nella Lista del Patrimonio dell’Umanità in Pericolo dell’UNESCO [2].
Potremmo elencare diversi attacchi deliberati contro il patrimonio culturale ma dobbiamo qui per prima cosa approfondire cosa è previsto nel diritto internazionale.

2. Cosa prevede il diritto internazionale sull’argomento

Parto subito con una precisazione: il diritto internazionale non contempla un trattato specifico sulla distruzione intenzionale del patrimonio culturale. D’altra parte, sono diversi trattati e una notevole giurisprudenza di tribunali internazionali che compongono il nucleo della tutela del patrimonio culturale per limitare gli attacchi contro il patrimonio e condannare quelli intenzionali.
La tutela del patrimonio culturale nel diritto internazionale è stata elaborata in tempi moderni. Tra i trattati adottati dagli Stati bisogna citare le Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907 sugli usi in guerra, la Convenzione dell’Aia del 1949 ed i Protocolli addizionali I e II del 1977 sul diritto umanitario, la Convenzione dell’Aia del 1954 ed il Secondo Protocollo del 1999 per la protezione del patrimonio culturale in caso di conflitto armato.
Vediamo alcuni articoli di questi trattati:
·       L’articolo 27 della Convenzione dell’Aia del 1907 stabilisce che “Negli assedi e nei bombardamenti devono essere prese tutte le misure necessarie per risparmiare, per quanto possibile, gli edifici dedicati alla religione, all’arte, alla scienza o a scopi caritatevoli, i monumenti storici, gli ospedali e i luoghi di raccolta dei malati e dei feriti, a condizione che non siano utilizzati in quel momento per scopi militari.
È dovere degli assediati indicare la presenza di tali edifici o luoghi con segni distintivi e visibili, che dovranno essere preventivamente notificati al nemico.”.
·       L’articolo 4 della Convenzione dell’Aia del 1954 stabilisce che “Le Parti contraenti si impegnano a rispettare i beni culturali, situati sia sul proprio territorio che su quello delle altre Parti contraenti, astenendosi dall’utilizzazione di tali beni, dei loro dispositivi di protezione e delle loro immediate vicinanze, per scopi che potrebbero esporli a distruzione o a deterioramento in caso di conflitto armato, ed astenendosi da ogni atto di ostilità a loro riguardo.
Non si può derogarsi agli obblighi definiti nel primo paragrafo del presente articolo, se non nei casi in cui una necessità militare esiga, in modo imperativo, una simile deroga.
Le Parti contraenti si impegnano, inoltre, a proibire, a prevenire, a far cessare qualsiasi atto di furto, di saccheggio o di sottrazione di beni culturali sotto qualsiasi forma, nonché qualsiasi atto di vandalismo nei riguardi di detti beni. Esse si impegnano ad astenersi dal requisire i beni culturali mobili situati nel territorio di un’altra Parte contraente.
Esse si impegnano ad astenersi ad ogni misura di rappresaglia diretta contro i beni culturali.
Una Parte contraente non può liberarsi, nei riguardi di una Parte contraente, degli obblighi contratti ai sensi del presente articolo, fondandosi sul motivo che quest’ultima non ha applicato le misure di salvaguardia prescritte all’articolo 3.”.
·       Gli articoli 8 e 9 della Convenzione dell’Aia del 1954. Il primo stabilisce che: “Può essere sottoposto a protezione speciale un numero limitato di rifugi destinato a proteggere dei beni culturali mobili in caso di conflitto armato, di centri monumentali e di altri beni culturali immobili di massima importanza, a condizione:
a)     che si trovino a distanza adeguata da qualsiasi centro industriale o punto che costituisca un obbiettivo militare importante, come un aerodromo, una stazione di radiodiffusione, un istituto che lavora per la difesa nazionale, un porto o una stazione ferroviaria di una certa importanza o una grande via di comunicazione;
b)     che non siano usati per fini militari.
Un rifugio per beni culturali mobili può essere posto sotto protezione speciale, anche a prescindere dalla sua situazione, purché sia costrutto in modo da renderlo verosimilmente sicuro dai bombardamenti.
Un centro monumentale si considera usato per fini militari, se serve al movimento di personale o di materiale militare, anche in transito. Ciò vale altresì nel caso di operazioni che abbiano un rapporto diretto con le operazioni militari, l’acquartieramento del personale militare o la produzione di materiale bellico.
La vigilanza a un bene culturale indicato nel paragrafo 1, da parte di guardiani armati e specialmente destinati a tale scopo, e la presenza presso tale bene di forze di polizia ordinariamente incaricate d’assicurare l’ordine pubblico, non sono considerate usi per fini militari.
Un bene culturale indicato nel paragrafo 1 del presente articolo può essere posto sotto protezione speciale, ancorché sia situato presso un obbiettivo militare importante secondo quella disposizione, se l’Alta Parte contraente lo domandi e si obblighi a non servirsi di quest’obbiettivo in caso di conflitto armato, e in particolare, se si tratta d’un porto, d’una stazione o d’un aerodromo, a deviarne ogni traffico. In tale caso, la deviazione deve essere preordinata sin dal tempo di pace.
La protezione speciale è accordata ai beni culturali mediante la loro iscrizione nel «Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale». L’iscrizione dev’essere operata conformemente alle norme della presente Convenzione e alle condizioni previste nel Regolamento d’esecuzione.”.
Il secondo stabilisce che: “Le Alte Parti contraenti si obbligano ad assicurare l’immunità dei beni culturali sotto protezione speciale, astenendosi, dopo l’iscrizione nel Registro internazionale, da ogni atto di ostilità verso gli stessi e, salvo nei casi previsti nel paragrafo 5 dell’articolo 8, da ogni uso di questi beni o delle loro adiacenze per fini militari.”.
·       Gli articoli 7 ed 8 del Secondo Protocollo del 1999 della Convenzione dell’Aia del 1954. Il primo stabilisce che: “Senza pregiudicare le altre precauzioni stabilite dal diritto internazionale umanitario nella conduzione di operazioni militari, ogni parte al conflitto deve:
a)     fare tutto il possibile per verificare che gli obiettivi da attaccare non siano beni culturali protetti dall’articolo 4 della Convenzione;
b)     prendere tutte le precauzioni praticamente possibili per quanto riguarda la scelta dei mezzi e dei metodi di attacco al fine di evitare e in ogni caso di ridurre al minimo i danni che potrebbero essere causati incidentalmente ai beni culturali protetti in virtù dell’articolo 4 della Convenzione;
c)     astenersi dal lanciare un attacco dal quale ci si possa attendere che provochi incidentalmente ai beni culturali protetti dall’articolo 4 della Convenzione danni che sarebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto;
d)     annullare o interrompere un attacco se appare evidente che:
i.         l’obiettivo è un bene culturale protetto in virtù dell’articolo 4 della Convenzione;
ii.         si può prevedere che provochi incidentalmente ai beni culturali protetti in virtù dell’articolo 4 della Convenzione danni che sarebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto.”.
Il secondo prevede che: “Le parti in conflitto devono per quanto possibile:
a)     allontanare i beni culturali mobili dalle vicinanze degli obiettivi militari o fornire una protezione in situ adeguata;
b)     evitare di collocare obiettivi militari in prossimità di beni culturali.”.
Per quanto riguarda la giurisprudenza internazionale, meritano particolare attenzione lo Statuto del 1993 del Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia e lo Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale. Il Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia è stato istituito con la risoluzione numero 827 del Consiglio di Sicurezza del 1993. In base allo Statuto, questo Tribunale ha avuto giurisdizione sui crimini di guerra, crimini contro l’umanità e il genocidio commesso sul territorio dell’Ex Jugoslavia dal 1° gennaio 1991. Il Tribunale ha cessato di operare nel 2017. La Corte Penale Internazionale invece è stata istituita con trattato internazionale. Tale trattato è entrato in vigore nel 2002 con la sessantesima ratifica e ad oggi sono 123 gli Stati membri. La Corte Penale Internazionale non è un organo delle Nazioni Unite; il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite può deferire alla Corte, in base all’articolo 13, una situazione in cui si sia verificato uno o più dei crimini dell’articolo 5 dello Statuto (crimine di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione).
In particolare, il primo prevede all’articolo 2 che sono processati presso il Tribunale tutti gli individui che commettono gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 tra cui, come indicato alla lettera d, “distruzione estesa e appropriazione di beni, non giustificate da necessità militare e realizzate illegalmente e volutamente” e all’articolo 3 che il Tribunale ha la competenza di processare gli individui che commettono violazioni delle leggi sugli usi di guerra che includono, come precisato alla lettera d, il “saccheggio di beni pubblici o privati”. Lo Statuto di Roma invece prevede all’articolo 2 che per crimini di guerra sono intesi oltre alle condotte nell’elenco della lettera a) anche le violazioni di leggi e consuetudini applicabili al diritto internazionale umanitario, tra cui rientra “rivolgere attacchi intenzionali contro edifici dedicati alla religione, all’istruzione, all’arte, alla scienza o a scopi caritatevoli, monumenti storici, ospedali e luoghi di raccolta di malati e feriti, purché non siano obiettivi militari[3].
La giurisprudenza di questi Tribunali è segnata da casi di distruzione e danneggiamenti al patrimonio culturale.
Fioccano in particolare i casi presso il Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia: “Strugar” [4], “Kordić and Čerkez” [5], “Enver Hadžihasanović and Amir Kubura” [6], “Bralo” [7], “Hadžihasanović & Kubura” [8] sono alcuni dei casi che hanno riguardato la distruzione totale o parziale di monumenti religiosi e culturali.
Per quanto riguarda invece la Corte Penale Internazionale, il caso Al Mahdi è certamente il più eclatante per diversi motivi. I fatti in breve: Ahmed Al Faqi Al Mahdi era uno dei leader del gruppo fondamentalista islamico Ansar Dine ed è stato giudicato colpevole per la distruzione tra giugno e luglio 2012 di alcuni mausolei e della moschea Sidi Yahia di Timbuctu, in Mali mentre Timbuctu ed il nord del Mali erano sotto il controllo di alcune organizzazioni islamiche. Il patrimonio culturale oggetto dell’attacco era riconosciuto dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio dell’Umanità: per la gravità dei fatti, Al Mahdi venne consegnato alla Corte Penale Internazionale con l’accusa di aver violato proprio l’articolo 8(2)(e)(iv) dello Statuto di Roma. Nel settembre 2016 arrivò la condanna a 9 anni di carcere.
Il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha affermato nel caso Al Mahdi che la perdita “non è da circoscrivere a livello locale. L’entità della perdita di tale insostituibile incarnazione fisica della storia e della cultura è stata avvertita dall’intera umanità, e a spese delle generazioni future”.
Il caso Al Mahdi rappresenta una pietra miliare tra le decisioni della Corte Penale Internazionale ed è uno dei casi più citati quando si parla di protezione del patrimonio culturale e giustizia internazionale. Questo caso è anche l’emblema che il patrimonio culturale debba essere protetto perché attaccando il patrimonio si cerca di distruggere l’identità di un popolo. Anche l’allora Direttore-Generale dell’UNESCO, Irina Bokova, aveva riconosciuto l’importanza del caso Al Mahdi [9].
Sfortunatamente dopo questo caso, la distruzione intenzionale del patrimonio culturale è avvenuta ripetutamente. Tra le tragedie da menzionare nel decennio 2010-2020 c’è la distruzione intenzionale del patrimonio culturale in Siria da parte dello Stato islamico (ISIS). A questi fatti sono succedute due importanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, la numero 2199 del 2015 e la numero 2347 del 2017 [10]. Nessun tribunale internazionale è stato istituito per determinare la responsabilità di uno Stato o di un individuo. 
Mi pare opportuno menzionare sull’argomento uno strumento internazionale di soft law elaborato dall’UNESCO: la Dichiarazione sulla Distruzione Intenzionale del Patrimonio Culturale del 2003.

1. La Dichiarazione dell’UNESCO sulla Distruzione intenzionale del patrimonio culturale: uno strumento di soft law

La Dichiarazione dell’UNESCO sulla Distruzione Intenzionale del Patrimonio Culturale è una dichiarazione – perciò uno strumento non vincolante ma in cui è contenuta l’intenzione o l’opinione degli attori internazionali di agire in un certo modo – adottata dall’UNESCO nel 2003. È importante anche qui fare riferimento all’anno in cui la Dichiarazione è stata adottata: siamo nei primi anni 2000 e, a seguito dei fatti della Valle di Bamiyan, è riconosciuto che gli attacchi diretti ed intenzionali al patrimonio culturale costituiscono un’azione che mira alla cancellazione o alla distruzione di un popolo e di una cultura. L’obiettivo della Dichiarazione è quello di “affrontare la distruzione intenzionale del patrimonio culturale, compreso il patrimonio culturale legato ad un sito naturale”.
È interessante notare che nella Bozza della Dichiarazione, discussa ed elaborata durante la trentaduesima Conferenza Generale dell’UNESCO tenutasi a Parigi nel 2003, viene presa in considerazione lo sviluppo del diritto internazionale consuetudinario che riguarda la protezione del patrimonio culturale in tempo di pace così come in tempo di conflitto armato: nella Bozza viene fatto specifico riferimento agli articoli 3(d) dello Statuto del Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia e 8(2)(b)(ix) e 8(2)(e)(iv) dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Gli stessi punti sono stati riportati poi nel testo finale della Dichiarazione.
La Dichiarazione prevede all’articolo 2 che per distruzione intenzionale si intende un “atto volto a distruggere in tutto o in parte il patrimonio culturale, compromettendone l’integrità, in modo da costituire una violazione del diritto internazionale o un’offesa ingiustificabile ai principi di umanità e ai dettami della coscienza pubblica, in quest’ultimo caso nella misura in cui tali atti non siano già disciplinati dai principi fondamentali del diritto internazionale.”.
La Dichiarazione dell’UNESCO sulla Distruzione Intenzionale del Patrimonio Culturale prevede delle misure per combattere questo fenomeno:
·       gli Stati dovrebbero prendere delle misure per “prevenire, evitare, fermare e sopprimere” gli atti di distruzione intenzionale del patrimonio culturale;
·       gli Stati dovrebbero prendere misure appropriate a livello legale, amministrativo, educativo e tecnico per proteggere il patrimonio culturale. Tali misure dovrebbero essere periodicamente riviste perché siano adattate all’evoluzione degli standards nazionali ed internazionali di protezione del patrimonio culturale;
·       gli Stati dovrebbero assicurare il rispetto del patrimonio culturale nella società soprattutto attraverso programmi educativi, di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di informazione;
·       gli Stati poi dovrebbero diventare membri – se già non lo sono – della Convenzione dell’Aia del 1954 e dei due Protocolli del 1954 e del 1999 e dei Protocolli Addizionali I e II delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, promuovere l’elaborazione e l’adozione di strumenti legali che forniscono più alti livelli di protezione del patrimonio culturale, promuovere un’applicazione coordinata di strumenti esistenti o futuri rilevanti per la protezione del patrimonio culturale.
La Dichiarazione prosegue poi indicando alcuni principi e trattati che gli Stati dovrebbero rispettare e di cui dovrebbero essere parte per la protezione del patrimonio culturale tanto in tempo di pace [11] quanto durante un conflitto. Successivamente, si riconosce che per atti di distruzione intenzionale può essere responsabile tanto uno Stato quanto un individuo.
Nella parte finale della Dichiarazione si raccomanda il bisogno di rispettare e tutelare le norme di diritto internazionale umanitario e dei diritti umani specialmente con riferimento alla distruzione del patrimonio culturale. Infine, si sottolinea l’importanza di adottare campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per rendere noto ai più il contenuto della Dichiarazione.
Per concludere, voglio sottolineare un punto dell’attuale sistema del diritto internazionale per quanto riguarda il patrimonio culturale: se è vero che la comunità internazionale ha elaborato vari trattati e strumenti di soft law e istituito tribunali internazionali che hanno pronunciato importanti sentenze, sono gli Stati i primi e più diretti interessati ad intervenire in casi di attacchi al patrimonio culturale, anche quelli intenzionali. Infine, l’attuale sistema di protezione del patrimonio culturale predilige una protezione del patrimonio culturale materiale sebbene il patrimonio culturale immateriale dovrebbe anche esso essere oggetto di tutela dato che i civili e le comunità sono i soggetti più vicini ad un patrimonio culturale.

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Note

  1. [1]

    La scheda dell’UNESCO: Old City of Dubrovnik – UNESCO World Heritage Centre

  2. [2]

    La scheda dell’UNESCO: Cultural Landscape and Archaeological Remains of the Bamiyan Valley – UNESCO World Heritage Centre

  3. [3]

    Art. 8(2)(b)(ix).

  4. [4]

    Strugar (IT-01-42) | International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (icty.org).

  5. [5]

    Kordić & Čerkez (IT-95-14/2) | International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (icty.org).

  6. [6]

    Hadžihasanović & Kubura (IT-01-47) | International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (icty.org).

  7. [7]

    Bralo (IT-95-17) | International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (icty.org).

  8. [8]

    Hadžihasanović & Kubura (IT-01-47) | International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (icty.org).

  9. [9]

    Interessante la ricostruzione fatta da Vrdoljak sulle difficoltà di proteggere il patrimonio culturale a livello internazionale in tempo di pace con riferimento all’elaborazione della Dichiarazione del 2003. Per approfondire: Intentional Destruction of Cultural Heritage and International Law (ohchr.org).

  10. [10]

    Timbuktu Trial: “A major step towards peace and reconciliation in Mali” – UNESCO World Heritage Centre.

  11. [11]

    Rispettivamente, S/RES/2199 (2015) e S/RES/2347 (2017).

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Lorenzo Venezia

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