1. La legge 38/2009: la disciplina originaria e le modifiche apportate rispetto al disegno di legge
Il 23 aprile 2009 è stato convertito in Legge (n. 38/2009) il decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009, le cui norme si inseriscono nell’ambito del c.d. Pacchetto sicurezza predisposto dal Governo in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di reati persecutori.
Mi soffermerò in maniera specifica sulla definitiva introduzione nel c.p. dell’art. 612 –
bis, sulle modifiche che ha subito detto articolo rispetto alla formulazione originaria, nonché sui possibili profili di applicabilità e sul risarcimento del danno cagionato alla vittima
[1].
Nel disegno di legge, così come nell’attuale norma, gli atti persecutori vengono puniti con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, pena comminabile a chi eserciti minaccia o molestie ad altri attraverso condotte ripetute.
Condizione ulteriore per la punibilità del reato è che venga cagionato un “perdurante e grave stato di ansia o paura” ovvero ingenerato “un fondato timore per la incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva”, o ancora che il soggetto passivo sia costretto “ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Quali aggravanti specifiche del reato in esame compaiono la qualità personale dell’attore quale coniuge legalmente separato o divorziato, ovvero quale persona che sia stata legata alla persona offesa da relazione sentimentale.
Ulteriore aggravante con aumento, fino alla metà, vi è quando soggetto passivo del reato risulti un minore, una donna in stato di gravidanza o un soggetto disabile (soggetti evidentemente reputati più deboli e considerati meritevoli di maggiore tutela), ma anche nel caso in cui vengano utilizzate armi o l’offesa sia inferta da persona travisata.
Nel disegno di legge vi era medesima aggravante anche nel caso in cui l’offesa fosse arrecata con scritto anonimo. A ben vedere scoprire uno stalker anonimo non deve risultare una impresa facile a meno di non riuscirvi in quanto il mezzo utilizzato è Internet e si può tramite l’ausilio della Polizia Postale e delle Comunicazioni risalire comunque in maniera inequivoca all’autore.
Restano ferme la perseguibilità del reato a querela, che deve esser sporta entro 6 mesi
[2] e la perseguibilità d’ufficio quando la persona offesa sia un minore o persona disabile e quando il fatto è connesso con altro delitto procedibile d’ufficio
[3].
Nessuna modifica è stata apportata alla norma che prevede un intervento del Questore in via preventiva (prima della avvenuta denuncia penale), per cui sarà possibile per la persona offesa esporre i fatti accaduti alla Autorità di Pubblica Sicurezza
[4], unitamente alla richiesta di far ammonire l’autore da parte del Questore, in qualità di Autorità Provinciale di Pubblica Sicurezza. Quali ulteriori misure a sostegno delle vittime di molestie insistenti, poi, è stato definitivamente introdotto l’obbligo in capo alle forze dell’ordine, ai presidi sanitari e alle istituzioni pubbliche che ricevano una notizia di reato di atti persecutori dalla vittima, di rendere edotta quest’ultima circa la esistenza di centri anti-violenza presenti sul territorio e nella zona di residenza, nonché di ulteriori informazioni utili. Le medesime Autorità sono deputate anche, su richiesta dell’interessato, a favorire un contatto con i Centri summenzionati.
Novità introdotta, invece, in sede di Decreto Legge risulta essere la istituzione di un apposito numero verde nazionale ad opera della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le pari opportunità. Tale servizio sarà a disposizione delle vittime degli atti persecutori, sarà attivo ventiquattro ore su ventiquattro, e avrà l’obiettivo di fornire un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica
[5] da parte di personale dotato delle adeguate competenze, nonché di comunicare prontamente, nei casi di urgenza e su richiesta della persona offesa, alle forze dell’ordine competenti gli atti persecutori segnalati.
- La fattispecie “atti persecutori”, possibili ambiti di applicabilità e rispetto del principio di tassatività
La fattispecie di “atti persecutori” già da un primissimo sguardo, sembra poter abbracciare molte condotte accomunate dalla ripetizione nel tempo di minacce e/o molestie e dalla idoneità a cagionare alla vittima un duraturo e grave stato di ansia o paura o a ingenerare un timore fondato per la incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona ad esso legata da relazione affettivaovvero ancora a indurre il soggetto passivo a cambiare abitudini.
Mi spiego meglio, anche se tradizionalmente alla figura dello stalker viene ricondotta la persona che mette in atto una serie di intrusioni e/o pedinamenti verso un soggetto di sesso opposto, di solito più debole, e nell’ambito di un rapporto / relazione affettiva, in realtà, specie in ragione della formulazione vaga e generica della fattispecie, ben potrebbero essere astrattamente puniti come “atti persecutori” anche comportamenti posti in essere al di fuori della sfera affettiva e familiare (ed infatti il vincolo di parentela o la relazione affettiva in corso o troncata sono previste come condizioni aggravanti del reato base).
Ad esempio, sono caratterizzati dalla ripetizione nel tempo gli episodi di bullismo e di mobbing, che si riferiscono, rispettivamente, ai comportamenti tenuti da minori nei confronti di coetanei e da colleghi e/o superiori nei confronti di lavoratori. Spesso la condotta tenuta dai bulli e dagli autori di mobbing si manifesta attraverso molestie e minacce, le quali sono tali da causare ansia e paura, ma esse possono spingersi anche sino a far temere danni per la propria incolumità (nei casi nei quali viene esercitata violenza) o quella di persone legate da vincolo affettivo. Innegabile, poi, che la pressione esercitata possa spingere le vittime a cambiare abitudini quotidiane.
Insomma, le riflessioni appena esposte potrebbero consentire di ampliare la applicabilità dell’art. 612 –bis c.p., sino a ricomprendere tra i reati anche il bullismo e il mobbing e fornire ad essi una rilevanza diversa da quella tradizionalmente conferita loro e limitata (tranne nei casi in cui sfocino in vere e proprie violenze e/o minacce singolarmente individuabili e accertabili), ossia una rilevanza unitaria. Ciò, in altre parole, potrebbe far assurgere a reato, attraverso una valutazione globale degli elementi indicati nella norma, anche condotte che magari prese singolarmente non verrebbero punite.
Al riguardo ben venga ad esempio per il bullismo la possibilità di far ammonire un minore da parte del Questore, in quanto si tratta di un intervento non di natura penale ma di natura amministrativa tale da esercitare un effetto deterrente senza il coinvolgimento di Tribunali e Giudici e prevenire ulteriori episodi.
Ben venga l’applicazione dell’articolo in questione anche in altri rapporti quali quelli di lavoro e/o altri contesti nei quali anche a prescindere dalla esistenza di un particolare rapporto tra i soggetti possono tuttavia essere realizzati atti persecutori.
Tuttavia, è lecito chiedersi se la norma introdotta del codice penale sia rispettosa o meno del principio di tassatività. Tale principio, infatti, prevede, in funzione garantista, che in materia penale il Legislatore disciplini in maniera puntuale e tassativa le fattispecie penali alle quali si applica il precetto, in modo che tutti i consociati siano posti nella condizione di poter conoscere in anticipo quali siano le condotte punite. Devono, poi, essere individuati gli elementi costitutivi, in modo che il Giudice non possa fornire interpretazioni del tutto personali e punire assecondando la propria soggettiva opinione. E sul punto la questione si complica se si considera che per la realizzazione del reato occorre il verificarsi di “ansia”, “paura”, “timore” e “cambiamento di abitudini”, condizioni soggettive e soggettivamente percepibili in maniera diversa dai vari soggetti coinvolti.
Ancora, le fattispecie costituenti reato sono solo quelle tipicizzate dal Legislatore per cui non vi è spazio per l’analogia in malam partem.
Conseguentemente, il rischio di una formulazione generica o complessa è duplice: quello di vedere disapplicata la norma o di vederla applicata a torto.
Sul punto non possiamo che attendere le prime pronunce dei Giudici di merito, per verificare meglio i contorni della fattispecie e gli ambiti applicativi.
- Il danno cagionato alla vittima e la risarcibilità in ambito civilistico
Dopo le premesse e le riflessioni di carattere squisitamente penale, appare lecito dedicare un po’ di attenzione anche alle possibili forme di tutela civilistica delle vittime del reato di atti persecutori.
Sul punto una condanna per stalking, posto che nel corso del giudizio penale sono stati accertati quantomeno i fatti e gli effetti del reato (determinazione nella vita altrui di stato di “ansia”, “paura”, “timore” e “cambiamento di abitudini”), potrebbe essere presupposto e giustificazione per porre in essere un’azione civile di risarcimento dei danni subiti.
Tali danni risulterebbero sicuramente di natura non patrimoniale (salvo l’accertamento anche di danni ulteriori di natura patrimoniale) e consisterebbero nel danno morale e/o esistenziale.
Il danno morale viene definito in giurisprudenza come “
sofferenza psichica transeunte”
[6] o ancora come “
sofferenza soggettiva causata dal reato”
[7].
Il danno esistenziale, invece, è stato definito in giurisprudenza come quel danno che altera le condizioni di vita e le abitudini del soggetto, peggiorandole
[8].
Sulla scorta di tali orientamenti, per anni vi è stata la possibilità di riconoscere un duplice danno non patrimoniale con conseguente duplice risarcimento: da una parte il danno morale inteso come sofferenza psichica, dall’altra il danno esistenziale accertabile sulla base del mutamento delle abitudini di vita.
Nel corso del 2008 tuttavia le Sezioni semplici della Suprema Corte hanno rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa per chiarire la natura del danno esistenziale e verificare se fosse plausibile la individuazione di un terzo genere di danno esistenziale in aggiunta al danno biologico e al danno morale
[9].
All’esito della rimessione sono state emanate alcune Sentenze che per alcuni versi limitano il ricorso indiscriminato al riconoscimento del danno esistenziale.
In particolare la Suprema Corte ha evidenziato come “
Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. È compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione”. (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/11/2008, n. 26972).
Ancora con la Sentenza Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/11/2008, n. 26975, viene specificato che “
Il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. È, pertanto, scorretto e non conforme al dettato normativo pretendere di distinguere il c.d. "danno morale soggettivo", inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali: la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell’unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante”[10].
Orbene, le prime pronunce del 2009 dei Tribunali di merito hanno dato largo seguito all’orientamento delle Sezioni Unite appena citato, negando la possibilità di risarcire il danno esistenziale quale autonoma e aggiuntiva categoria di danno
[11].
Ciò tuttavia, a mio avviso, non dovrebbe impedire al Giudice nel caso in cui si trovi di fronte ad una vittima di atti persecutori di condannare l’autore al risarcimento di un danno di entità quantitativamente superiore nel caso in cui venga accertata la sussistenza sia di un danno morale propriamente detto e quindi lo stato di ansia, paura e timore, sia il cambiamento di abitudini.
*Anna Rita Marchionda
In un mio precedente intervento, Stalking: il disegno di legge approvato dalla Camera, gli atti persecutori, i poteri specifici del Questore e la collaborazione dei Centri Anti-violenza reperibile al seguente link https://www.diritto.it/indice.php?cat=21, ho già avuto modo di esaminare il disegno di Legge, motivo per cui nel presente mi limiterò ad analizzare le modifiche e integrazioni apportate, nonché a fornire alcune riflessioni.
[2] Si vedano le osservazioni al riguardo già fatte nel precedente intervento.
[3] Con tale previsione si intende evidentemente evitare che il minore e la persona disabile possano essere pregiudicati dall’inerzia della persona cui sono affidati, creando una sorta di controllo pubblico a tutela della loro incolumità.
[4] Si vedano le indicazioni già fornite nell’intervento precedente.
[5] Tale intervento appare in linea con la tendenza emersa negli ultimi tempi volta a valorizzare forme di tutela immediate e tali da consentire di fronteggiare situazioni di emergenza (ad esempio in materia di pedopornografia è stato istituito il numero 114).
[6] Si veda tra le altre Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/11/2008, n. 26972.
[7] Si veda in merito la recente Sentenza della Suprema Corte Sez. Unite, 11/11/2008, n. 26972: “Quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest’ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall’evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione”.
[8] Si vedano le seguenti pronunce: “In tema di danni, per danno esistenziale deve intendersi qualunque pregiudizio che alteri le abitudini di vita del soggetto e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Peraltro, il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed interiore (propria del c.d. danno morale), ma oggettivamente accertatile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse. Il danno esistenziale necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto può fornire, indicando le circostanze comprovanti l’alterazione delle sue abitudini di vita. (Cass. n. 6572/2006)” Trib. Monza Sez. II Sent., 13/11/2008
“Il danno esistenziale è dato da una forzosa rinuncia allo svolgimento di attività non remunerative, fonte di compiacimento o di benessere per il danneggiato, perdita non causata da una compromissione dell’integrità psicofisica (a differenza del danno biologico, tale voce di danno sussiste indipendentemente da una lesione fisica o psichica suscettibile di accertamento e valutazione medico legale). Il danno morale soggettivo viene invece solitamente inteso come un transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima, in una sofferenza od in un dolore. Peraltro, il risarcimento del danno non patrimoniale, fuori dall’ipotesi di cui all’articolo 185 c.p. e delle altre minori ipotesi legislativamente previste, attiene solo alla lesione di valori costituzionalmente garantiti (la salute, la famiglia, la reputazione, la libertà di pensiero, ecc.), e pertanto non è concepibile nel nostro ordinamento alcuna generica categoria di danno non patrimoniale definibile come "danno esistenziale", nella cui genericità ed indefinitezza confluiscono pregiudizi patrimoniali atipici e perciò irrisarcibili alla stregua dell’articolo 2059 c.c.”. T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 10/08/2006, n. 414 (in questo senso, Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2005, n. 6960; vedi anche, sez. VI, 16 marzo 2005, n. 1096; sez. V, 18 gennaio 2006, n. 125).
[9] La rimessione alle Sezioni Unite è stata resa necessaria a causa del contrasto generatosi in materia. Cfr. Cass., Sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4712: “Sussistendo un forte contrasto giurisprudenziale in seno alle sezioni semplici della Suprema Corte circa la configurabilità e la risarcibilità del danno esistenziale come terza (sotto) categoria autonoma, ossia distinta dal danno biologico e dal danno morale soggettivo, nell’ambito del danno non patrimoniale, si rimettono gli atti del procedimento al primo presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle alle Sezioni Unite”.
[10] Tali affermazioni hanno avuto ripercussioni anche in tema di determinazione della somma da liquidare in concreto. Si vedano le seguenti pronunce della Suprema Corte: “Per quanto attiene la liquidazione del danno il danno non patrimoniale va risarcito integralmente, ma senza duplicazioni: deve, pertanto, ritenersi sbagliata la prassi di liquidare in caso di lesioni della persona sia il danno morale sia quello biologico; come pure quella di liquidare nel caso di morte di un familiare sia il danno morale, sia quello da perdita del rapporto parentale: gli uni e gli altri, per quanto detto, costituiscono infatti pregiudizi del medesimo tipo”. (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/11/2008, n. 26973); “Il danno non patrimoniale va risarcito integralmente, ma non deve generare duplicazioni, ciò sul presupposto che tutte le figure di danno non patrimoniale indicano pregiudizi appartenenti al medesimo tipo. Pertanto, in caso di lesioni della persona: (a) è sbagliata la prassi di liquidare sia il danno morale sia quello biologico; (b) è pure sbagliata la prassi di liquidare nel caso di morte di un familiare sia il danno morale, sia quello da perdita del rapporto parentale.” (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/11/2008, n. 26972).
[11] Si vedano in particolare le seguenti Sentenze: Trib. Milano Sez. V, 19/02/2009, “A seguito delle pronunce della Cassazione dell’11 novembre 2008, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. In tal modo, è compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. Il giudice anziché procedere alla separata liquidazione del danno morale in termini di una percentuale del danno biologico (procedimento che determina una duplicazione di danno), deve procedere ad un’adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. Trib. Roma Sez. II Sent., 13/01/2009: “Il danno alla salute, quello morale, quello esistenziale non sono autonome voci di danno, ma indici e sintomi del fatto che si è prodotto un danno alla persona. Conseguentemente ciascuno di tali pregiudizi va specificamente provato e il risarcimento non si cumula, come avverrebbe se si trattasse di voci distinte ed autonome di danno, ma il concorso di conseguenze dannose diverse (sulla salute, sulla serenità d’animo ecc.) comporta una modulazione dell’ammontare sul caso concreto”.
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