La clausola del regolamento di condominio che comporta limiti all’utilizzo della proprietà privata, tanto da condizionare il diritto di ciascun condomino nell’utilizzo del locale di proprietà, rientra nella tipologia delle servitù atipiche e, in quanto tale, per essere opponibile ai terzi acquirenti deve risultare in una apposita nota distinta da quella dell’atto di acquisto.
Tali clausole limitative, infatti, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 2659 e 2665 Cc, devono essere specificatamente indicate, non risultando sufficiente il richiamo al regolamento condominiale inserito nell’atto di acquisto.
In altri termini, l’opponibilità delle clausole limitative della proprietà privata – come nel caso di specie quella relativa al divieto di destinare gli appartamenti ad uso diverso da quello abitativo – deriverà non tanto dalla trascrizione del regolamento condominiale, bensì dall’inserimento delle clausole costitutive della servitù all’interno dello stesso.
Ciò posto, qualora tali clausole siano inserite nel regolamento predisposto dal costruttore ovvero dall’originario unico proprietario, la nota di trascrizione del primo atto di acquisto contenente il suddetto vincolo, risulterà opponibile a tutti i successivi acquirenti.
In difetto di trascrizione, viceversa, tali clausole limitative opererebbero esclusivamente nei confronti del terzo acquirente informato specificamente della loro esistenza nel contratto d’acquisto.
L’eccezione di inopponibilità di tale clausole limitative quand’anche contenute nel regolamento ma, tuttavia, non inserite nell’apposita nota di trascrizione, risulta eccezione rilevabile d’ufficio, pertanto, sollevabile in ogni stato e grado del processo.
Questi i molteplici principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione (II sezione civile), nella sentenza n. 6769, relatore dott. Antonio Scarpa, depositata in data 19 Marzo 2018.
La questione è stata spesso dibattuta in giurisprudenza con decisioni, anche di legittimità, sovente confliggenti tra loro.
Lo “stato dell’arte”, prima della sentenza oggi in commento poteva così riassumersi.
Da una parte la tesi giurisprudenziale per cui il riferimento nell’atto d’acquisto dell’immobile del regolamento, purché enunciato in modo chiaro ed esplicito, avrebbe vincolato contrattualmente l’acquirente e il venditore, giacché la sola menzione ne presuppone la conoscenza e l’accettazione (Cass. 17886/2009; Cass. 10523/2003; Cass. 395/1993; Cass. 4905/1990. Da ultimo: Cass. 19212/2016 e Cass. 22310/2016), dall’altra quella fautrice della tesi più rigorosa per cui, le clausole che impongono il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva a determinate attività, devono essere approvate all’unanimità e per avere efficacia devono essere trascritte nei registri immobiliari oppure essere menzionate ed accettate espressamente nei singoli atti d’acquisto (Cass. 6100/93; Cass. 7396/2012: <<non bastando il mero richiamo delle stesse nella nota di trascrizione dall’atto di acquisto>>).
Nel mezzo, ulteriori interpretazioni giurisprudenziali intermedie che ritengono, a seconda della tipologia di clausole, solo per quelle impositive di una servitù o di un peso ovvero che prescrivano prestazioni positive a carico di alcuni condòmini in favore di altri o di soggetti diversi o, ancora, che pongano limiti il godimento o l’esercizio dei diritti del proprietario dell’unità immobiliare, sia necessaria la trascrizione nei registri immobiliari (Cass. 3749/99; Cass. n. 11684/02; Cass. 14898/13; Cass. n. 17493/14. Da ultimo: 20124/2016).
L’odierna decisione sposa decisamente tale ultima interpretazione, pur con alcuni importanti distinguo.
Ricorrono per cassazione due società, una proprietaria l’altra utilizzatrice (comodataria) di un appartamento in condominio, dalle stesse destinato ad attività di affittacamere, avverso la decisione della Corte d’Appello di Bari che aveva rigettato il gravame dalle stesse interposto contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del cambio di destinazione da abitazione ad albergo, siccome attività vietata dal regolamento di condominio.
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, evidenzia come <<va innanzitutto confermato l’orientamento interpretativo cui è pervenuta questa Corte, nel senso che vada ricondotta alla categoria delle servitù atipiche la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, comportante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive (quale appunto risulta, nella specie, l’invocato art. 5 del regolamento del Condominio Palazzo Farano), in modo da incidere non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino. Ne consegue che l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l’indicazione, in apposita nota distinta da quella dell’atto di acquisto (in forza dell’art. 17, comma 3, della legge 27 febbraio 1985, n. 52), delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c., non essendo, invece, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale (Cass. Sez. 2, 18/10/2016, n. 21024; Cass. Sez. 2, 31/07/2014, n. 17493). Non è, quindi, atto soggetto alla trascrizione nei registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2645 c.c., il regolamento di condominio in sé, quanto le eventuali convenzioni costitutive di servitù che siano documentalmente inserite nel testo di esso. Ove si tratti di clausole limitative inserite nel regolamento predisposto dal costruttore venditore, originario unico proprietario dell’edificio, con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un’unità immobiliare ivi compresa e del vincolo reale reciproco, si determina l’opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, ovvero ciascuno dei reciproci fondi dominante e servente.>>.
Pertanto, <<all’atto dell’alienazione delle ulteriori unità immobiliari, il regolamento andrà ogni volta richiamato o allegato e dovrà eseguirsi ulteriore trascrizione per le servitù che man mano vengono all’esistenza, fino all’esaurimento del frazionamento della proprietà originariamente comune. In assenza di trascrizione, queste disposizioni del regolamento del regolamento, che stabiliscano i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono altrimenti soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d’acquisto.>>
La Corte di Cassazione, infine, sulla rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di inopponibilità della clausola regolamentare, ricorda come <<non vi è più ragione, come già si sosteneva da parte della dottrina, per ritenere il difetto di trascrizione di un atto (nella specie, di un regolamento di condominio) quale fatto impeditivo dell’opponibilità di esso, affidato, in quanto tale, unicamente all’espressa e tempestiva eccezione della parte interessata.>>.
Conseguentemente, nell’accogliere il ricorso e rinviare la causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari, enuncia il principio di diritto per cui: <<La questione relativa alla mancata trascrizione di una clausola del regolamento di condominio, contenente limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, ed alla conseguente inopponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti, non costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, quanto di un’eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie>>.
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