Il divieto di avvicinamento sussiste anche quando è la persona offesa a cercare l’incontro

Il divieto di avvicinamento trova applicazione anche nel caso in cui non sia l’indagato a cercare volontariamente l’incontro con la vittima.

Allegati

L’obbligo di evitare ogni possibile contatto con la persona offesa e la prescrizione di mantenere una distanza minima, trovano applicazione anche nel caso in cui non sia l’indagato a cercare volontariamente l’incontro con la vittima”.
Così si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, VI Sezione penale, con sentenza n° 4936 del 06 febbraio 2025.
Nella ricerca del corretto bilanciamento, nell’ambito dei reati di violenza di genere e di violenza domestica, tra i diritti di libertà dell’indagato e l’incolumità fisica e psicologica della vittima, non può che propendersi per la tutela di quest’ultima. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.

Corte di Cassazione -sez. VI pen.- sentenza n° 4936 del 06-02-2025

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Indice

1. Il fatto


Il tribunale di Firenze, in sede di riesame, annullava l’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Pistoia, per il reato di cui all’art. 387 bis del codice penale intitolato “Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”.
Per il tribunale del riesame, non erano ravvisabili i gravi indizi di reità a carico del destinatario del provvedimento cautelare del divieto di dimora e del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla donna atteso che era stata quest’ultima a recarsi volontariamente presso l’abitazione dell’uomo; ragion per cui, concludeva il tribunale di Firenze, non poteva pretendersi da quest’ultimo alcun allontanamento.
Avverso tale pronuncia, proponeva ricorso il Pubblico Ministero evidenziando che sebbene non avesse l’uomo cercato l’incontro, aveva comunque violato la prescrizione impostagli permettendo alla donna di intrattenersi nell’abitazione. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.

FORMATO CARTACEO

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Il presente formulario è stato concepito per fornire all’avvocato penalista uno strumento di agile consultazione.Attraverso gli schemi degli atti difensivi, sono esaminati i vari istituti processuali alla luce delle novità intervenute nell’ultimo anno, con l’evidenziazione della normativa di riferimento e delle più rilevanti linee interpretative della giurisprudenza di legittimità. La selezione delle formule, accompagnate da suggerimenti per una migliore redazione di un atto, tiene conto degli atti che un avvocato è chiamato a predisporre come difensore dell’imputato, ma anche come difensore delle parti private (parte civile, persona offesa, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria).  Il volume contiene sia gli atti che vanno proposti in forma scritta, sia quelli che, pur potendo essere proposti oralmente nel corso di un’udienza, sono di più frequente utilizzo.Un approfondimento particolare è dedicato al fascicolo informatico e al processo penale telematico, alla luce del D.M. 27 dicembre 2024, n. 206, che ha introdotto rilevanti novità in materia di tempi e modi del deposito telematico.Completa il volume una sezione online in cui sono disponibili le formule anche in formato editabile e stampabile. Valerio de GioiaConsigliere della Corte di Appello di Roma.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma.  

 

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2. Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa


Nell’ottica di fornire ampia protezione alla vittima, il decreto legge n. 11 del 2009 ha inserito nel codice di procedura penale, subito dopo l’articolo 282 bis (Allontanamento dalla casa familiare) l’articolo 283 bis intitolato “Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”.
Modificato negli anni, per effetto di numerosi interventi legislativi (legge n. 69 del 2019, legge n. 168 del 2023, decreto legge n. 178 del 2024, convertito con modificazioni dalla legge n. 4 del 23 gennaio 2025) così recita: “Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi  determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi o dalla persona offesa, disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275 bis. Nei casi di cui all’articolo 282 bis, comma 6, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280. Con lo stesso provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prevede l’applicazione, anche congiunta, di una misura più grave qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo previste dall’art. 275 bis. Qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, delle predette modalità di controllo, il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi”.
Il secondo comma recita: “Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri da tali luoghi o da tali persone, disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275 bis”.
Proseguendo nella lettura del citato articolo si legge: “Il giudice può inoltre vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2”.
Ed ancora: “Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni”.
Il citato articolo menziona l’articolo 275 bis del codice di procedura penale il cui primo comma sancisce che nel disporre la misura egli arresti domiciliari, anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, salvo che le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, previo accertamento della relativa fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione dei mezzi e strumenti anzidetti.
A sottolineare l’importanza delle misure cautelari di cui agli articoli 282 bis e ter del codice di procedura penale è stata recentemente la Corte Costituzionale con sentenza n. 173 del 2024 che, nel pronunciarsi sulla finalità del braccialetto elettronico, ha sottolineato che la diffusione della violenza di genere e dei femminicidi ha indotto il legislatore a reiterati interventi volti alla difesa delle persone vulnerabili.
La Corte Costituzionale ha precisato che, mentre negli arresti domiciliari il braccialetto è un presidio unidirezionale che consente alle forze dell’ordine di monitorare un’eventuale evasione, nel divieto di avvicinamento esso è un presidio bidirezionale che, in caso di avvicinamento vietato, allerta non solo le forze dell’ordine ma anche la vittima, dotata di apposito ricettore.
A tanto di aggiunga che la distanza dei cinquecento metri non appare esorbitante atteso che consente il tempo sufficiente, alla potenziale vittima di più gravi reati, di trovare riparo e alle forze dell’ordine di intervenire.

3. La violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa


A dettare le conseguenze in caso di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è l’articolo 387 bis del codice penale introdotto dall’articolo 4 comma 1 della legge n. 69 del 2019.
Il primo comma, in presenza delle suddette violazioni, prevede la reclusione da sei mesi a tre anni e sei mesi.
È questo il reato posto a base dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal tribunale di Pistoia e successivamente annullata dal tribunale di Firenze.

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4. La pronuncia della Suprema Corte


Se non era esigibile la condotta di lasciare la propria abitazione, era, nondimeno, esigibile lo “ius excludendi”.
La Suprema Corte ha così ritenuto che pur non avendo l’uomo cercato l’incontro abbia comunque cooperato nella violazione ab initio riferibile alla persona offesa.
Stabilendo scientemente e volutamente un contatto diretto e ravvicinato con la donna, l’ha fatta entrare nella propria abitazione ospitandola per l’intera giornata o forse per alcuni giorni.
Trattasi di comportamento alla luce del quale è chiaramente ravvisabile la dolosa violazione del contenuto precettivo della misura cautelare.
Ne consegue che alla volontà della vittima di recarsi nella sua abitazione non può essere attribuita efficacia scriminante e/o esimente; non può cioè il sottoposto alla misura cautelare ritenersi libero dagli obblighi di cui agli articoli 282 bis e ter atteso che il fine primario deve essere quello di proteggere la vittima.
Come precisato dal Pubblico Ministero, in sede di ricorso, la violazione degli obblighi è consistita nell’aver consentito alla donna di intrattenersi, omettendo di adottare comportamenti, scarsamente onerosi e quindi esigibili, come quello di richiedere l’intervento delle Forze dell’Ordine.
La decisione della Suprema Corte, di annullare l’ordinanza impugnata e di rinviare per un nuovo giudizio al tribunale di Firenze, è avallata da quanto previsto a livello internazionale e precisamente dalla Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica) che, all’articolo 52, nel disciplinare le misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice, precisa che “le misure adottate devono dare la priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo”.
A sostegno della pronuncia della Suprema Corte è, altresì, l’articolo 55 della citata Convenzione che, nel richiamare i procedimenti penali per i reati interessanti la violenza domestica e di genere, tenuto conto della condizione di vulnerabilità in cui la vittima potrebbe trovarsi, prevede che i procedimenti penali proseguano anche se la vittima ritira la denuncia.
Da questo articolo emerge chiaramente che comportamenti della vittima, quali il ritiro della denuncia precedentemente presentata o il recarsi spontaneamente presso l’abitazione di chi è sottoposto al divieto di avvicinamento, come nel caso di specie, non possono condurre ad una riduzione, se non addirittura privazione, della tutela accordatale dall’ordinamento giuridico.
Se questa tornasse dal suo “aggressore” per paura di conseguenze peggiori o per dipendenza psicologica?
Sarebbe per questo non meritevole di tutela?

Maria Teresa Caputo

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