I ciclomotoristi non soggiacciono al divieto ex art. 7 C.d.S.
Un uomo propose opposizione a 12 verbali di accertamento di violazioni del C.d.S. innanzi, e il Giudice di pace le accolse, annullando i verbali impugnati, sul rilievo che del divieto di circolazione nelle corsie riservate ai mezzi pubblici, posto dall’art. 7 C.d.S., non dovessero ritenersi destinatari i conducenti di ciclomotore, in ragione delle ridotte dimensioni del mezzo, inidonee a costituire intralcio alla circolazione dei mezzi pubblici. Il Giudice di pace ritenne, peraltro, sussistenti “giusti motivi” per compensare le spese di lite.
L’interpretazione innovativa giustifica la compensazione delle spese
Avverso tale pronuncia, per il capo relativo alle spese, l’uomo propose appello avanti al Tribunale, il quale ha confermato la decisione di primo grado, rilevando che la motivazione della sentenza si fonda su un’interpretazione dell’art. 7 C.d.S. innovativa, individuandone la ratio nella volontà del legislatore di garantire che i mezzi pubblici possano circolare in maniera spedita senza intralci, intralci che il Giudice di Pace ravvisa soltanto nei veicoli privati a quattro ruote, escludendo quelli a due ruote, in tal modo giungendo ad affermare che sarebbe carente di offensività la circolazione di questi ultimi in tali aree. Ne consegue che sia stato configurato un motivo di compensazione che deriva proprio dalla novità della questione e della sua interpretazione. Pertanto, il Tribunale ha concluso che il profilo relativo alla possibilità di circolazione da parte dei ciclomotori/motocicli nelle corsie preferenziali costituisse questione nuova, tale da giustificare la compensazione.
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La compensazione delle spese secondo l’orientamento giurisprudenziale
La sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto relativa alla compensazione delle spese processuali per “assoluta novità della questione trattata” in modo conforme alla giurisprudenza e l’esame del motivo di ricorso, secondo la VI Sezione Civile, non ha offerto elementi per mutare tale orientamento. In forza dell’art. 92, c. II, c.p.c., il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, se vi è soccombenza reciproca, ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, o ancora, qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. La valutazione di “novità della questione”, come quella di sussistenza delle “gravi ed eccezionali ragioni”, che possono sorreggere il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese, devono essere motivate e riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa. In tal senso, il Tribunale, chiamato a valutare la correttezza della statuizione di compensazione delle spese adottata dal giudice di primo grado, ha congruamente provveduto a integrare la motivazione della sentenza del Giudice di pace, in base ad argomenti radicati nelle risultanze acquisite al processo e contenuti entro i limiti del “devolutum”, quali risultanti dall’atto di appello, spiegando perché la questione posta dal primo giudice a base della sua decisione si connotasse come una “assoluta novità”.
L’art. 92, c. II, c.p.c., è norma elastica
Nel dichiarare inammissibile il ricorso, la Corte (VI Sezione Civile, Ordinanza n. 16801 del 24 maggio 2022) ha riaffermato il principio secondo cui l’art. 92, c. 2, c.p.c., là dove permette la compensazione delle spese di lite “nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza”, o allorché concorrano altre analoghe “gravi ed eccezionali ragioni”, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla a un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche.
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