Premessa
La Legge 6 maggio 2015, n. 55, contenente disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione legale tra coniugi ed entrata in vigore a decorrere dal 26 maggio 2015, ha introdotto il c.d. “divorzio breve”. “Breve” in quanto con la nuova legge vengono accorciati i tempi di separazione necessari per giungere allo scioglimento definitivo del vincolo.
Nel sistema italiano – salvo i casi di c.d. divorzio immediato, raramente ricorrenti nella prassi (art. 3, comma 2°, lett. a), c), g) – non è possibile ottenere il divorzio in assenza di un previo provvedimento di separazione legale.
In virtù della Legge 6.5.2015, n. 55 per proporre la domanda di divorzio, basta che la separazione personale dei coniugi si sia protratta per dodici mesi nel caso di separazione giudiziale o sei mesi nel caso di separazione consensuale.
Nella prospettiva di una contrazione temporale il testo inizialmente approvato alla Camera apportava un’ulteriore (e non insignificante) modifica in relazione al termine a quo, che non avrebbe più dovuto decorrere dall’avvenuta comparizione dei coniugi avanti al presidente del tribunale (cfr. il previgente testo dell’art. 3 l. 1° dicembre 1970, n. 898), ma dalla notifica del ricorso per separazione, ovvero dal deposito del ricorso congiunto in caso di separazione consensuale. Nell’iter di approvazione della legge tale prospettata modifica è tuttavia venuta meno e il dies a quo per la decorrenza dei nuovi termini per il divorzio resta ancorato alla comparizione dei coniugi avanti al presidente. (1)
Le cause di cessazione della comunione legale
Il 1° comma dell’art. 191 c.c. dispone: “La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l’annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.”
Vengono così individuate singole cause di scioglimento della comunione legale che possono distinguersi tra:
a) cause collegate ai rapporti personali tra i coniugi, quali la morte presunta, l’annullamento, lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’assenza e la separazione personale, e
b) cause che incidono solo sui rapporti patrimoniali, quali la separazione giudiziale dei beni, il mutamento del regime patrimoniale e il fallimento. (2)
Secondo l’opinione prevalente, l’elenco delle cause di scioglimento contenuto nella norma ha carattere tassativo, in ragione degli interessi che sottendono la scelta per l’applicabilità del regime di comunione legale. (3)
La riforma viene ora ad aggiungere all’art. 191 c.c. un 2° comma, inserito dall’art. 2, 1° co., L. 6.5.2015, n. 55, che si apre con l’affermazione seguente: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato».
Tesi prospettate prima della riforma del 2015 in tema di decorrenza degli effetti dello scioglimento del regime legale, in caso di separazione personale
L’art. 191 c.c., indicando tra le cause di cessazione della comunione la separazione personale, senza precisarne il dies a quo, aveva reso fino alla riforma, molto controversa la definizione di tale momento. A differenza di quanto stabilito in ordine all’ipotesi della separazione giudiziale dei beni, per la quale venne previsto che l’instaurazione del regime separatista retroagisse alla proposizione della domanda (art. 193, quarto comma, c.c.), per le fattispecie previste dall’art. 191 c.c. il legislatore della riforma del 1975 omise di specificare con precisione il momento a decorrere dal quale si sarebbe dovuto produrre lo scioglimento della comunione.
Il problema del momento da cui decorrono gli effetti dello scioglimento della situazione di cui all’art. 150 ss. c.c. è intrinsecamente legato a quello della pubblicità cui il legislatore non faceva menzione prima dell’emanazione del nuovo ordinamento dello stato civile.
Nella lacuna legislativa, erano sorte tre correnti interpretative.
Secondo l’orientamento prevalente della Cassazione, il dies a quo dello scioglimento si verificava ex nunc solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l’omologa della separazione consensuale (4).
A quest’ordine di idee poteva ascriversi anche un’ordinanza della Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 191 c.c., aveva negato l’idoneità dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c. a determinare lo scioglimento della comunione (5).
Una seconda tesi, seguita da svariati Autori (6), faceva retroagire gli effetti della pronuncia di separazione al momento della proposizione della domanda, che si faceva coincidere con la notifica del ricorso introduttivo nel caso di separazione giudiziale e con il suo deposito in cancelleria nel caso di separazione consensuale.
Due erano gli argomenti portati a sostegno di tale tesi: in primo luogo l’estensione per analogia dell’art. 193, comma quarto, c.c., il quale stabilisce che «gli effetti della sentenza di separazione giudiziale dei beni retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda»; in secondo luogo, la norma dell’art. 146, comma secondo, c.c. che consente l’allontanamento dalla residenza familiare al momento della proposizione della domanda, per cui non sarebbe apparso ragionevole che la comunione legale proseguisse nonostante il possibile allontanamento di uno dei coniugi.
Il terzo orientamento caldeggiato soprattutto dalla giurisprudenza di merito, era quello, per così dire, «progenitore» della soluzione adottata con la riforma del 2015, vale a dire quello secondo cui la cessazione del regime si sarebbe prodotta a partire dall’emanazione dei provvedimenti temporanei ed urgenti del Presidente del Tribunale (7).
Il momento dello scioglimento della comunione legale e suo regime pubblicitario
La separazione personale dei coniugi, come è noto, costituisce la causa più frequente di scioglimento della comunione. Dati i tempi del procedimento, è evidente l’interesse dei coniugi, ormai non più legati da vincoli di solidarietà, a liberarsi quanto prima dal vincolo della comunione, ed a poter compiere acquisti personali senza dover rendere conto all’altro.
La L. n. 55/2015 finalmente modifica l’art. 191 c.c. prevedendo che lo scioglimento della comunione si verifichi dall’udienza presidenziale. Novità di non poco conto data dalla riforma, perché è la legge che ci dice espressamente, dissipando ogni dubbio, che lo scioglimento della comunione legale si verifica per effetto dei provvedimenti presidenziali o della sottoscrizione del verbale di separazione consensuale (art. 191, comma 2).
Questa soluzione pare rispondere alle esigenze effettive delle coppie che si separano, esigenze di cui aveva cercato, senza successo, di farsi carico la giurisprudenza di merito.
Da una prospettiva processual-civilistica, occorre chiedersi che natura abbia questa ordinanza al fine di stabilire l’esecutività o meno di essa ai fini della sua eventuale impugnazione.
Poiché infatti, contro l’ordinanza è ammesso reclamo in Appello entro il termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione del provvedimento (art. 708 co. 4° c.p.c.), qualora si ritenga che l’ordinanza abbia natura di volontaria giurisdizione, dovrebbe farsi riferimento ai procedimenti in camera di consiglio (art. 742-bis c.p.c.) e all’art. 741 c.p.c. in forza del quale “il provvedimento acquista efficacia quando sono trascorsi dieci giorni dalla comunicazione”.
In questo caso, la comunione legale si dovrebbe considerare sciolta, una volta decorso questo termine.
Se invece, si ritiene che l’ordinanza in esame ha natura di provvedimento cautelare, la disciplina applicabile al reclamo sarà quella dell’art. 669-terdecies c.p.c. il cui ultimo comma stabilisce che il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento con la conseguenza che la comunione legale sarà sciolta fin dall’emanazione del provvedimento. (8)
Per quanto riguarda l’opponibilità ai terzi, l’art. 69, d) ord. stato civ. (d. P. R. 396/2000) prevede che la sentenza di separazione o il decreto di omologa vengano annotati nei registri di stato civile.
In questo quadro si inserisce il nuovo art. 191 c.c., che in aggiunta, dispone ora che “l’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale di stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione”, integrando in tal modo la pubblicità ai fini dell’opponibilità ai terzi.
Nessuna incidenza sulla decorrenza dell’effetto dello scioglimento della comunione legale potrebbe ricollegarsi alla pubblicità dell’ordinanza nei Registri dello Stato Civile, dal momento che l’annotazione prevista dall’art. 191 c.c. non ha natura costitutiva: lo scioglimento della comunione legale avverrà alla data dell’emanazione dell’ordinanza che autorizza i coniugi a vivere separati, notificata e non reclamata.
Altro interrogativo riguarda l’esigenza di trascrivere il provvedimento di separazione personale ai sensi dell’art. 2647, 1° co. c.c. in forza del quale “Devono essere trascritti, se hanno per oggetto beni immobili, la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni matrimoniali che escludono i beni medesimi dalla comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento della comunione…”
La Suprema Corte ha avuto modo di qualificare le trascrizioni in oggetto come ipotesi di pubblicità notizia (9).
Tale configurazione non solo è stata seguita da diverse pronunce di merito (10) ma ha avuto anche l’avallo della stessa Corte Costituzionale (11).
La giurisprudenza della I Sezione della Suprema Corte, inoltre, è intervenuta con due decisioni di impostazione radicalmente diversa: da un lato, ha ritenuto adeguata, per rendere opponibile ai terzi lo scioglimento della comunione legale derivante da separazione personale, la trascrizione (nella cui nota risulti lo status del coniuge) nei registri immobiliari, ed ha motivato tale opinione facendo riferimento anche al regime degli acquisti di beni personali, dove pure non è necessario procedere all’annotazione dell’acquisto a margine dell’atto di matrimonio, restando l’opponibilità affidata alla trascrizione ex art. 2647 (12).
Dall’altro, delibando degli effetti della riconciliazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, ha ricondotto l’opponibilità del regime patrimoniale all’annotazione opportunamente integrato dal sistema generale della trascrizione nei pubblici registri per i beni immobili e i beni mobili registrati (13).
In concreto, a seguito della Novella, comunque, si deve affermare che la trascrizione deve essere compiuta per ogni atto o provvedimento che comporti lo scioglimento della comunione legale e quindi anche l’ordinanza ex 708 c.p.c. ed il verbale di separazione consensuale omologato, sono soggetti a trascrizione.
La trascrizione sarà effettuata relativamente ad ogni bene immobile o mobile registrato originariamente compreso nella comunione legale, a favore e contro ciascun coniuge.
Valeria Cianciolo – Avvocato del Foro di Bologna
Bibliografia
(1) F. DANOVI, Al via il «divorzio breve»: tempi ridotti ma manca il coordinamento con la separazione, in Fam. e Dir., 2015, 6, pg. 607.
(2) CECCHERINI, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, 97-98.
(3) MORELLI, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Padova, 1996, 124.
(4) V. tra gli altri Cass., 11.7.1992, n. 8469, in Giur. it., 1992, I, I, 1414, con nota di Balestra; Cass., 5.10.1999, n. 8707, in Gius, 1998, 3163.
(5) Cfr. Corte cost., 7 luglio 1988, n. 795, in Foro it., 1989, I, c. 928; in Giur. cost., 1988, I, p. 3787; in Dir. fam., 1988, p. 1218. L’ordinanza, dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 191 c.c. in relazione all’art. 3 Cost., rileva il carattere temporaneo dei provvedimenti di cui all’art. 708 c.p.c., e perciò la loro inidoneità a fondare lo scioglimento della comunione, mancando in tali provvedimenti un accertamento formale definitivo della cessazione dell’obbligo di convivenza e di reciproca collaborazione. In motivazione si sottolinea «che la ragione per cui, perdurando il rapporto di coniugio, non solo la separazione di fatto dei coniugi, ma nemmeno i provvedimenti temporanei ex art. 708 cod. proc. civ. non sono previsti dall’art. 191 come cause di scioglimento della comunione, è la mancanza in questi casi di un accertamento formale definitivo della cessazione dell’obbligo di convivenza e di reciproca collaborazione; che il carattere temporaneo del provvedimento presidenziale impedisce che la situazione dei coniugi provvisoriamente autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione possa essere equiparata a quella dei coniugi legalmente separati, e dunque esclude che il perdurare per essi del regime di comunione dei beni possa costituire una violazione dell’art. 3 Cost.; che per configurare una simile violazione il giudice remittente si è riferito come a tertium comparationis non già all’effetto estintivo della comunione legale dei beni previsto dall’art. 191 (ai fini di una sentenza additiva che tale effetto estenda anche ai provvedimenti presidenziali ex art. 708 cod. proc. civ.), bensì a un effetto giuridico non previsto da questo articolo, né da alcun’altra norma positiva, consistente nella “quiescenza temporanea” del regime di comunione, ossia nella provvisoria sospensione della vis adquisitiva ad esso attribuita dall’art. 177 cod. civ.; che, prospettata in questi termini, la questione, prima che infondata, è inammissibile, perché postula una sentenza che introduca nella disciplina della comunione legale dei beni un nuovo istituto normativo, in merito al quale lo stesso giudice a quo riconosce necessaria una valutazione di opportunità, anche per quanto riguarda le varie possibili modalità tecniche: una sentenza, cioè, che invaderebbe il campo delle scelte di politica del diritto riservate al legislatore».
(6) Cfr. Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p.p. 439; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, in Trattato di diritto civile e commerciale.
(7) V. per tutti App. Genova, 1.10.1998, in Famiglia e dir., 1999, 147, con commento di Grondona; Trib. Roma, 14.12.1994, in Gius, 1995, 352. Per la dottrina v. ROSSI CARLEO, Cause di scioglimento della comunione, in AA.VV., La comunione legale, cit., 889; DOGLIOTTI, Separazione e divorzio, Torino, 1995, 103 ss.
(8) M. LEO, in Segnalazione novità normative, CNN, 26 maggio 2015, Lo scioglimento del regime di comunione legale dei beni in caso di separazione personale, Legge 6 maggio 2015 n. 55
(9) Cass. civ. Sez. II, 15.03.1990, n. 2104 in Mass. Giur. It., 1990.
(10) T. Genova 1.3.1999; T. Milano 5.11.1990; T. Latina 17.3.1988.
(11) C. Cost. 6.4.1995, n. 111.
(12) Cass. civ. Sez. I, 28.11.1998, n. 12098: “Per la opponibilità ai terzi degli effetti dello scioglimento della comunione legale dei beni tra coniugi, derivante dalla separazione personale dei coniugi stessi, relativamente all’acquisto di beni immobili o mobili registrati, avvenuto con dichiarazione del coniuge acquirente dello stato di separazione, è sufficiente la trascrizione nei registri immobiliari (dell’atto di acquisto recante la detta dichiarazione) e non è richiesta, altresì, l’annotazione del provvedimento di separazione a margine dell’atto di matrimonio.” in Giust. Civ., 1999, I, 2373 nota di FINOCCHIARO.
(13) Cass. civ. Sez. I, 12.11.1998, n. 11418: “La riconciliazione, intervenuta tra coniugi separati, fa cessare con effetto “ex nunc” tutti gli effetti della separazione, sia personali che patrimoniali, con il conseguente ripristino del regime della comunione dei beni esistente in origine tra i coniugi, venuto meno in seguito al provvedimento di separazione.”, in Corriere Giur., 1999, 190 nota di SCHLESINGER oppure in Foro It., 1999, I, 1953 nota di NICOLUSSI.
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