A cura di Francesca Levato e Alessandro Livrieri
Un tema di grande interesse, troppo spesso ancora molto sottovalutato, è la stretta correlazione tra la valutazione dei rischi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e alcune particolari tipologie contrattuali, quali il contratto a tempo determinato, quello intermittente, quello in somministrazione e i rapporti di tirocinio. Con il presente contributi si cercherà di far chiarezza su un argomento ancora oggi ostico.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Indice
1. Documento di valutazione dei rischi: riferimenti normativi
Come noto, l’articolo 17 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 81/2008 prescrive in capo al datore di lavoro quale obbligo non delegabile quello di effettuare la valutazione di tutti i rischi, con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’ articolo 29 del medesimo T.U. e con l’indicazione dei contenuti di cui all’art 28 medesimo T.U.
In capo al datore di lavoro, infatti, sorgono per legge una serie di obblighi indelegabili tra qui quello inerente alla valutazione di tutti i rischi aziendali, il più importante e dinamico degli obblighi. Nella formulazione letterale si parla di TUTTI I RISCHI ivi compresi quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale con la conseguente elaborazione del relativo documento, il cui oggetto deve essere quello descritto nell’art. 28, c.1 D.lgs. 81/08.
In tale ultima disposizione si chiarisce (in termini esemplificativi tassativi ma non esaustivi) che la valutazione, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze impiegate, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, interessati da attività di scavo.
La valutazione dei rischi, contenuta nel relativo documento redatto a seguito di tale condotta, è un adempimento al quale sono tenuti tutti i datori di lavoro che, dall’inizio della loro attività, come previsto dal comma 3-bis dello stesso articolo 28, hanno 90 giorni di tempo per provvedervi senza però compromettere e/o sottovalutare l’attenzione e la cura per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e dei dipendenti eventualmente, nelle more, avviati. Non vi è spazio per l’insicurezza dei soggetti che a qualunque titolo prestino attività all’interno dell’azienda.
Molto particolare è l’architettura del D.lgs 81/08 in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ( ma non è certo l’unico esempio, si veda anche il D.lgs 151/01 a proposito del sostegno della maternità e della paternità), i cui capisaldi sono già descritti sin dai primi articoli della norma con la specifica descrizione ed identificazione dell’ambito di applicazione e delle definizioni.
Ciò che qui più ci interessa è la diretta correlazione della valutazione di tutti i rischi con alcune particolari tipologie contrattuali, rispetto alle quali il legislatore ha fissato un valore condizionante la loro stessa legittimità ai fini della loro validità ed efficacia.
La valutazione dei rischi deve essere effettuata tenendo conto della diversità della forza lavoro. Nel nostro Paese per lungo tempo la tipologia di contratto prevalente è stata quello “dipendente” caratterizzato dalle seguenti condizioni: l’assenza di un termine di scadenza, la continuità delle prestazioni e l’impegno temporale di tipo a tempo pieno. Negli ultimi anni diversi interventi normativi hanno prodotto una notevole differenziazione delle tipologie contrattuali rispondendo in questo modo alla richiesta di maggior flessibilità del rapporto di lavoro. Con il D.lgs. n. 276/2003 (c.d. Legge Biagi) è stata effettuata una ampia rivisitazione della normativa in materia di rapporti di lavoro con l’introduzione di nuove forme contrattuali quali ad esempio il lavoro a progetto, il lavoro a chiamata il lavoro ripartito.
Le nuove tipologie di rapporti avrebbero dovuto non solo rappresentare una risposta alle esigenze del mercato ma anche contribuire ad un migliore equilibrio tra la vita familiare e professionale introducendo maggiore flessibilità all’organizzazione dell’orario di lavoro, incrementando allo stesso tempo le possibilità di occupazione. Finora, infatti, erano conosciute essenzialmente tre categorie di lavoratori: i lavoratori subordinati, i lavoratori autonomi ed infine i c.d. lavoratori parasubordinati. Alla luce delle avvenute riforme del diritto del lavoro non può più parlarsi di tre sole categorie di lavoratori, in quanto il quadro è ora diventato molto più ampio e variegato. Si è creata una variabile di rapporti di lavoro definiti come “atipici” il cui grado di atipicità è direttamente proporzionale a quanto si discosta dalla tipologia di lavoro “standard” (a tempo pieno, durata indeterminata).
Indipendentemente dal genere di rapporto contrattuale che lega datore di lavoro e lavoratore, l’art. 2 del d.lgs. 81/08 impone comunque l’obbligo di comprendere nella valutazione dei rischi tutti i lavoratori definendo in questo modo tutti coloro che a vario titolo sono inseriti in una organizzazione lavorativa compresi i soggetti che non percepiscono una retribuzione. La volontà del legislatore viene poi ribadita in modo più chiaro ed aderente alla realtà in continua trasformazione nel successivo art. 28 del T.U. 81/08 (integrato alla luce del D.lgs 106/2009) dove si precisa che il processo di valutazione dei rischi dovrà prestare particolare attenzione ai rischi “connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro”.
Non viene ad essere presa in considerazione la mansione, come a volte tecnicamente gli operatori tecnici intendono, ma si fa riferimento al senso e significato giuridico della tipologia contrattuale.
Viene quindi fatto obbligo di prendere in considerazione tutte le “variabili” che possono rendere alcuni gruppi di lavoratori, per le loro peculiarità anche solo contrattuali, più “fragili e comunque diversi rispetto agli ordinari lavoratori avviati a tempo indeterminato.
Infatti i rapporti di lavoro “non standard” o “atipici” possono, proprio per le loro caratteristiche, determinare nuove situazioni di rischio legate ad esempio alla frammentarietà del lavoro, temporaneità della prestazione, ai frequenti cambi di mansione, alle particolari modalità di inserimento di tali tipologie di lavoratori nell’impresa ( anche ai fini dell’incidenza sul benessere organizzativo della società) ed inoltre alla condizione di precarietà che influisce sui comportamenti dando più rilevanza alla “sicurezza del posto di lavoro che non alla sicurezza sul posto di lavoro” .
L’articolo 20 del D.Lgs n. 81/2015 (con le sue modifiche ed integrazioni della L. 85/29023 cd “ Decreto Lavoro”), riprendendo quanto già in precedenza contenuto nell’abrogato articolo 3 del D.Lgs. 368/2001, stabilisce espressamente al comma 1 lettera d), che l’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Peraltro, la nuova disposizione ha previsto in più, al comma 2, una specifica sanzione per la violazione di detto divieto, consistente nella trasformazione in contratto a tempo indeterminato.
Allo stesso modo, il successivo articolo 32, anch’esso riferito ai divieti relativi, questa volta, alla stipula di un contratto di somministrazione di lavoro, ripropone alla lettera d) quello previsto per i datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi, in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. La medesima impostazione si ritrova anche in tema di lavoro intermittente, rispetto al quale, come vedremo, si è più volte espresso anche il Ministero del Lavoro. L’articolo 14 del medesimo D.Lgs. 81/2015 e s.m.i , ancora una volta alla lettera d), vieta il ricorso al lavoro intermittente ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Infine, se pur in modo più generale, le linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento, diramate dalla Conferenza Stato-Regioni il 25.5.2017, hanno indicato, tra i requisiti soggettivi, che deve necessariamente possedere il soggetto ospitante, l’essere in regola con la normativa sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, di fatto, comprendendo anche una corretta redazione del documento di valutazione dei rischi quale condizione di validità di un tirocinio.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni):
Il lavoro subordinato
Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.
A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023
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2. La reale portata percettiva delle disposizioni normative
In passato, come sopra anticipato, il Ministero del Lavoro è intervenuto sul tema, occupandosi con le circolari 18 e 20 del 2012 dell’importanza del documento di valutazione dei rischi per la validità di un contratto di lavoro intermittente. Più in particolare, con la circolare n° 20 si precisa che, ai fini dell’attivazione di contratti di lavoro intermittente, occorre sempre tenere presente che il DVR deve essere “attuale” e adeguato alle condizioni strutturali, logistiche e organizzative della realtà aziendale, nonché alle problematiche di formazione e informazione proprie dei lavoratori a chiamata.
In altre parole, il Ministero sembra esprimere un concetto tutt’altro che scontato: non è sufficiente che l’azienda abbia elaborato il Documento di Valutazione dei Rischi, ma occorre che quest’ultimo si esprima direttamente sulle singole e specifiche tipologie contrattuali, valutandone le peculiarità in rapporto con l’ambiente lavorativo. Tale circostanza ad oggi è sottovalutata dagli operatori ed in primis dai datori di lavoro che non hanno cura di rielaborare il sopra citato documento ogni qual volta viene modificato l’assetto organizzativo dell’impresa con nuove assunzioni a termine, oppure con il ricorso alla somministrazione di lavoro oppure con l’inserimento di un tirocinio o con l’avviamento di un lavoratore intermittente.
Peraltro, come ricordato dallo stesso Dicastero del Lavoro, l’articolo 29 comma 3 del T.U. 81/08 e s.m.i impone un continuo aggiornamento del documento in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. La valutazione dei rischi e la redazione conseguenziale del documento deve essere dinamica e aderente in modo realistico alla situazione aziendale: dalla sola lettura del DVR si deve avere la corretta fotografia della azienda.
Più di recente anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro è tornato sul punto con la lettera circolare n. 49 del 15 marzo 2018, ricordando proprio come il Ministero del Lavoro, con le circolari n. 18 e n. 20 del 2012, ha sempre sostenuto che la stipula di un contratto di lavoro intermittente, in violazione della richiamata disposizione imperativa, comporta la conversione del rapporto di lavoro intermittente in un ordinario rapporto di lavoro subordinato. Tale conclusione – spiega l’INL – si fonda su di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione che, sebbene formatosi in relazione al contratto a termine, ha espresso il principio generale secondo il quale la contrarietà a norma imperativa di un contratto di lavoro “atipico” ne comporta la nullità parziale ai sensi dell’art. 1419 c.c. con conseguente conversione dello stesso nella “forma comune” di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Secondo la Cassazione, la norma che sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, costituisce norma imperativa,la cui ratio è diretta alla più intensa protezione dei lavoratori, rispetto ai quali la flessibilità d’impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro, con la conseguenza che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi degli artt. 1339 e 1419 secondo comma c.c.
Con riferimento al lavoro intermittente o a chiamata ed alla corretta interpretazione dell’art. 14, co.1, lett. c), D.lgs. n. 81/2015 e s.m.i , il documento di valutazione dei rischi (DVR) deve contenere, di norma, specifiche indicazioni in ordine alle tipologie contrattuali diverse da quella del lavoro subordinato “comune” (ex art. 1, D.lgs. n. 81/2015), come, appunto, il lavoro intermittente. Pena, la conversione del rapporto di lavoro intermittente in rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato (v. Min. lav. circ. n. 20/2012 e INL nota n. 49/2018; in giurisprudenza, v. Trib. Vicenza n. 343/2017; e Trib. Milano. nn. 1806/2017 e 1810/2017).
Tali indicazioni, come sottolinea l’INL (nota 21 dicembre 2020, n. 1148), devono essere finalizzate: a) “quanto meno” ad escludere i rischi pertinenti alle prestazioni “non comuni”; b) nonché a prevedere le correlate modalità per l’effettuazione dell’attività di formazione e informazione; c) e ad una “più intensa protezione dei rapporti dì lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione, come con dovizia emerge dal rapporto OIL, del 28 aprile 2010, Rischi emergenti e nuove forme dì prevenzione in un mondo del lavoro che cambia” (così Cass. n. 21683/2019 e n. 5241/2012).
Piu’ di recente la Cassazione con sentenza n. 15 del 2022, pubblicata il 18 gennaio 2022 ha precisato che la corretta valutazione dei rischi in azienda, e quindi la presenza del DVR, è fondamentale per il datore di lavoro, in particolare nell’ipotesi in cui questi stipuli contratti a termine con i propri lavoratori, pena la nullità di questi ultimi e la loro conversione in contratti a tempo indeterminato.
Il datore di lavoro deve valutare i rischi connessi alla specifica tipologia contrattuale, attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e, non semplicemente, quindi, rispetto alle mansioni che vengono svolte.
È necessario quindi innanzitutto inquadrare e censire tutte le forme di rapporto contrattuale presenti all’interno dell’unità produttiva identificando i rischi legati alla flessibilità, al fine di adottare le misure organizzative a garanzia di una maggiore tutela, verificando ad esempio se tutti i meccanismi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro come, ad esempio, la formazione o la sorveglianza sanitaria siano stati adeguatamente impostati. Per poterle compiutamente analizzare, le diverse forme contrattuali dovranno essere classificate tenendo conto dei fattori caratterizzanti, quali: la temporaneità del rapporto, la tipologia di lavoro dissociato, la flessibilità della prestazione nonché la natura del rapporto. La valutazione deve quindi tener conto della presenza di lavoratori temporanei, del loro numero, delle mansioni e dei rischi generici e specifici ai quali possono essere esposti, considerando che la presenza di questi lavoratori può comportare modifiche dell’assetto organizzativo e quindi essere un rischio aggiuntivo per il restante personale.
I Tribunali di merito hanno condiviso tale interpretazione (con la sentenza n.1631 del 10 gennaio 2020 della Corte appello Milano, la n. 1286 del 25 gennaio 2021 del Tribunale Torino nonché la n. 314/2021 pubbl. il 27/04/2021 del Tribunale di Firenze) stabilendo che la sanzione della nullità del termine opera, non solo nel caso di assoluta mancanza del documento di valutazione dei rischi, ma anche nel caso del suo mancato aggiornamento.
In precedenza la Suprema Corte (sentenza del 2 aprile 2012 n. 5241) era stata ancora più netta, affermando che la specificità del precetto, alla stregua del quale la valutazione dei rischi assurge a presupposto di legittimità del contratto, trova la ratio legis nella più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione, come con dovizia emerge dal rapporto OIL del 28 aprile 2010 .In questo quadro, i parametri fondamentali cui deve uniformarsi la valutazione dei rischi sono:
– La connessione. Essa deve riguardare anche i rischi “connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro” (art. 28, D.lgs. n. 81/2008).
– Il dinamismo. Ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori intermittenti, per i quali, in ragione della discontinuità ed atipicità del rapporto, si pongono specifiche problematiche in materia di sicurezza, anche attinenti all’adempimento degli obblighi di formazione e informazione, la valutazione dei rischi (ex art. 29, co. 3, D.lgs. n. 81/2008), va intesa come un processo “dinamico”, nel senso che “deve essere immediatamente rielaborata in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative” (v. Min. lav. circ. n. 20/2012).
– L’effettività. Con particolare riguardo alla questione se la conversione del rapporto di lavoro intermittente in rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato ricorra non solo nei casi di totale assenza del DVR ma anche qualora lo stesso, pur presente, risulti carente di una apposita sezione dedicata ai lavoratori a chiamata, l’INL (d’intesa con il Min. Lav., nota n. 13037/2020), ha formulato una risposta basata su un principio non formale ma di effettività”.
Pertanto, è necessario avere molta più attenzione nell’elaborazione del DVR che deve essere sempre un contenitore valido al fine di prevedere tutte le misure atte e necessarie per ridurre ed eliminare i pericoli in occasione delle prestazioni di lavoro da parte di tutti i lavoratori ad ogni titolo occupati.
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