Varianti di intensità dolosa e risvolti applicativi
Il dolo è intenzionale quando l’evento consumativo del reato corrisponde allo scopo precipuo perseguito dall’agente, che finalizza la sua condotta alla realizzazione di questo.
Il dolo è diretto quando l’agente prevede e accetta l’evento come risultato certo o altamente probabile della propria condotta, finalizzata a conseguire un diverso scopo.
Infine, quando il soggetto si rappresenta l’evento come conseguenza probabile (o secondo taluni soltanto possibile) il dolo è eventuale.
Si è a lungo discusso sull’individuazione della linea di confine tra il dolo eventuale e la colpa con previsione dell’evento (colpa cosciente).
Secondo l’impostazione che attualmente risulta più accreditata, vi è dolo eventuale (e non colpa cosciente) allorché l’autore del reato abbia agito accettando il rischio di verificazione dell’evento all’esito di un bilanciamento tra il bene esposto a pericolo e l’obbiettivo avuto di mira. Nella colpa cosciente, invece, manca una adesione volontaristica all’evento, anche se è stata contemplata la possibilità che esso si verifichi. In questo secondo caso, infatti, la consumazione del reato è dovuta ad una inadeguatezza della condotta rispetto alle regole cautelari, non a una vera e propria accettazione della verificazione dell’evento.
Le distinzioni appena descritte comportano notevoli riflessi applicativi.
Innanzitutto, l’intensità del dolo costituisce uno dei parametri che in base all’art. 133 c.p. il giudice deve considerare nella quantificazione in concreto della pena. Infatti, in base alla norma appena citata “nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato desunta […] 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa”
Occorre poi tenere presente che nel nostro ordinamento sono rinvenibili peculiari fattispecie che sono compatibili solo con talune forme di intensità dolosa. Così è, ad esempio, nel reato di abuso di ufficio ex art. 323 c.p.: dalla lettera della norma appena citata si trae che la fattispecie di abuso d’ufficio è compatibile solamente con il dolo intenzionale, ragion per cui la giurisprudenza esclude che il reato di abuso di ufficio possa essere integrato quando il pubblico ufficiale abbia posto in essere la condotta con dolo diretto o eventuale.
Discorso analogo può essere compiuto in relazione al tentativo ex art. art. 56 c.p.: essendo necessari, ai fini dell’integrazione della fattispecie tentata, atti diretti in modo non equivoco a commettere un certo delitto, alcuni hanno sostenuto che il dolo richiesto dalla norma sia solo quello di tipo intenzionale o, al più, di tipo diretto. È invece discussa la compatibilità del dolo eventuale con la fattispecie tentata.
In tema: “Le sfumature del dolo“
Il dolo eventuale è compatibile con il tentativo?
Come anticipato, l’art. 56 c.p., ai fini della configurazione del delitto tentato, richiede la sussistenza di “atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto”. Per tale ragione taluni hanno ritenuto che il delitto tentato sia incompatibile con il dolo eventuale.
In particolare, in dottrina e giurisprudenza sono emerse due possibili letture dell’art. 56 c.p.
In base ad una prima tesi occorrerebbe accedere a una concezione soggettiva del requisito di univocità degli atti richiesto dall’art. 56 c.p. Tale norma, nel pretendere che siano stati posti in essere atti diretti in modo non equivoco a commettere il delitto, fotograferebbe non soltanto l’elemento materiale, ma anche l’atteggiamento psicologico di chi pone in essere la fattispecie tentata. In tal modo, essa richiederebbe il dolo intenzionale (o almeno diretto) del soggetto verso il delitto.
Per tale via, si giunge a sostenere che la fattispecie tentata sia caratterizzata da un dolo diverso e peculiare rispetto a quello della fattispecie consumata, giacché solo ai fini di quest’ultima può essere sufficiente il dolo eventuale. La fattispecie tentata viene così considerata come una fattispecie autonoma e distinta da quella consumata.
In base ad una seconda tesi occorrerebbe accedere a una concezione oggettiva del requisito di univocità degli atti richiesto dall’art. 56 c.p. L’art. 56 c.p., nel pretendere che siano stati posti in essere atti diretti in modo non equivoco a commettere il delitto, si riferirebbe solo alla valutazione degli elementi oggettivi della fattispecie, senza avere riguardo all’elemento psicologico. In tal modo, non si esclude la possibilità di ravvisare una fattispecie tentata connotata da dolo eventuale.
Secondo tale impostazione, sarebbe univoco l’atto che, sulla base delle circostanze del caso concreto, indichi inequivocabilmente il potenziale verificarsi di una fattispecie di reato, a prescindere dal grado del dolo del soggetto agente. In base a questa seconda impostazione, la fattispecie tentata non sarebbe fattispecie autonoma, ma risulterebbe “per sottrazione” rispetto alla fattispecie consumata.
Il dibattito appena delineato è risalente ma non è del tutto sopito, giacché tutt’ora talune sentenze accolgono l’una o l’altra delle due impostazioni appena descritte.
È invece generalmente ritenuto compatibile con la fattispecie tentata il c.d. dolo alternativo.
Il dolo alternativo consiste in un peculiare atteggiamento psicologico risultante dalla somma di due elementi strutturali: (i) l’incompatibilità in rerum natura tra due eventi che il soggetto si rappresenta e vuole (giacché il verificarsi di uno esclude il verificarsi dell’altro); (ii) l’indifferenza per il reo a che si verifichi l’uno o l’altro evento.
Si suole poi distinguere tra dolo alternativo in senso oggettivo (il soggetto vuole che indifferentemente si verifichi uno due eventi in relazione allo stesso soggetto) dolo alternativo in senso soggettivo (l’evento che il soggetto vuole e si rappresenta è unico, ma sono alternativamente aggredibili due diversi soggetti passivi).
Orbene, secondo la giurisprudenza, è pacifico che il dolo alternativo sia assimilabile a una forma di dolo diretto e, quindi, esso è ritenuto compatibile con il delitto tentato.
Il dolo alternativo si differenzia dal dolo eventuale in quanto solo nel secondo vi sarebbe una gerarchia tra gli obiettivi voluti dall’agente, di tal che risulta possibile distinguere uno scopo primario estraneo al fatto tipico di reato e un evento accessorio non direttamente perseguito dall’agente.
Volume consigliato:
I reati di falsoDi agile e immediata comprensione, questa nuovissima Guida esamina l’attuale sistema codicistico dei reati di falso e i possibili risvolti processualistici, sia in campo penale che civile, grazie al supporto di tabelle di sintesi e schemi a lettura guidata che evidenziano i punti critici della problematica analizzata.Il testo fornisce al Professionista un’approfondita e aggiornata analisi della disciplina relativa ai reati di falso, in particolar modo quelli relativi alle falsità in atti che sono stati oggetto d’intervento legislativo, con l’abrogazione di alcune fattispecie penali e l’introduzione di nuove ipotesi delittuose.Paolo Emilio De Simone, Magistrato dal 1998, dal 2006 è in servizio presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma, in precedenza ha svolto le sue funzioni presso il Tribunale di Castrovillari, poi presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonché presso il Tribunale del Riesame di Roma. Dal 2016 è inserito nell’albo dei docenti della Scuola Superiore della Magistratura, ed è stato nominato componente titolare della Commissione per gli Esami di Avvocato presso la Corte di Appello di Roma per le sessioni 2009 e 2016. È autore di numerose pubblicazioni, sia in materia penale sia civile, per diverse case editrici. Paolo Emilio De Simone | 2018 Maggioli Editore 32.00 € 30.40 € |
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento