Domanda di asilo: gli ostacoli all’accoglienza

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È ormai conosciuta e consolidata la prassi adottata da alcune Questure italiane di subordinare la domanda di protezione internazionale all’allegazione della dichiarazione di ospitalità e in alcuni casi persino alla cessione di fabbricato. Tale prassi causa notevoli disagi e forti ritardi nella proposizione della domanda di asilo e in alcuni casi può diventare addirittura un ostacolo all’iter di riconoscimento della protezione internazionale e in particolare quando il migrante è fuori dal circuito dell’accoglienza “ordinaria”. 
Per tale ragione è lecito chiedersi se sia legittimo subordinare la domanda di asilo alla presentazione di detta documentazione; se ciò sia ragionevole, ovvero, se tale richiesta sia priva di fondamento normativo, dunque, illegittima.

Indice

1. Le fonti normative della richiesta di asilo

Come noto, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è il primo documento ad elevare il diritto di asilo a diritto fondamentale dell’essere umano. L’art. 14 della Dichiarazione, difatti, recita: “Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”.
Il documento più importante in materia di asilo è rappresentato, tuttavia, dalla Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo Status dei Rifugiati adottato a Ginevra il 28 luglio 1951, che all’art. 1A  definisce rifugiato colui “che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. Ulteriori fonti si rinvengono ancora, nel diritto dell’Unione europea, che prevede il Diritto di asilo all’art. 18 co. 3 della Carta dei Diritti fondamentali dell’U.E.
Nell’ordinamento Nazionale, la fonte principale del diritto di asilo si rinviene nell’art. 10 della Costituzione, il quale al terzo comma prevede che: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
La disciplina che regola tale diritto è contenuta principalmente nel Decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 in attuazione della direttiva 2004/83/CE recante:“norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”; nel Decreto legislativo 28 gennaio 2008 n. 25 in attuazione della direttiva 2005/85/CE recante: “norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato” nonché nel D.P.R. 12 gennaio 2015 n. 21 recante: “Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale a norma dell’articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25. (15G00029)”.

2. Disposizioni relative alla presentazione della domanda di protezione internazionale

Secondo quanto disposto dall’art. 3 comma 1 del D.P.R. 12 gennaio 2015 n. 21: “La volontà di chiedere la protezione internazionale [..] può essere espressa dal cittadino straniero anche in forma orale e nella propria lingua con l’ausilio di un mediatore linguistico-culturale”.
La norma in commento, al comma 2  prevede ancora, che: “Quando la volontà di chiedere la protezione internazionale è manifestata all’ufficio di polizia di frontiera all’ingresso nel territorio nazionale, tale autorità invita formalmente lo straniero a recarsi al più presto, e comunque non oltre otto giorni lavorativi, salvo giustificato motivo, presso l’ufficio della questura competente alla formalizzazione della richiesta, informando il richiedente che qualora non si rechi nei termini prescritti presso l’ufficio indicato, è considerato a tutti gli effetti di legge irregolarmente presente nel territorio nazionale”.
A tal proposito il successivo terzo comma dispone che: “L’ufficio della questura provvede alla formalizzazione della richiesta ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del decreto, invita il richiedente ad eleggere domicilio, anche ai fini delle successive comunicazioni [..]”.
La norma appena richiamata, precisando che la volontà di chiedere protezione internazionale può essere esternata in qualsiasi forma prescrive solamente, che il richiedente deve essere convocato non oltre gli 8 giorni lavorativi presso la Questura. Nulla dispone invece, in merito all’allegazione di documenti.
A tal fine, è opportuno richiamare il Decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, il quale, in attuazione della direttiva 2005/85/CE all’art. 6 disciplina le modalità di “accesso alla procedura”.
Tale ultima norma, al primo comma recita testualmente: “La domanda di protezione internazionale è presentata personalmente dal richiedente presso l’ufficio di polizia di frontiera all’atto dell’ingresso nel territorio nazionale o presso l’ufficio della questura competente in base al luogo di dimora del richiedente”.
Dunque, dopo aver disciplinato rispettivamente al secondo ed al terzo comma il caso della domanda presentata dal genitore e quella presentata dal minore straniero non accompagnato, al successivo comma 3-bis prevede il caso in cui “lo straniero non si ((presenti)) presso l’ufficio di polizia territorialmente competente per la verifica dell’identità dal medesimo dichiarata e la formalizzazione della domanda di protezione internazionale”, disponendo dunque che “la manifestazione di volontà precedentemente espressa non costituisce domanda secondo le procedure previste dal presente decreto e il procedimento non è instaurato”.
Ebbene, ancora una volta nessuna delle disposizioni esaminate prevede l’allegazione di documenti alla domanda di asilo; salvo quelli strettamente necessari alla verifica dell’identità del richiedente. Scopo dell’invito in Questura non è solo quello di “cristallizzare” la domanda di protezione internazionale ma anche di verificare l’identità del richiedente.
Tale assunto è confermato dall’art. 3 del Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251 che nel disciplinare “l’esame dei fatti e delle circostanze”, al primo comma dispone che: “Il richiedente è tenuto a presentare, unitamente alla domanda di protezione internazionale o comunque appena disponibili, tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda. L’esame è svolto in cooperazione con il richiedente e riguarda tutti gli elementi significativi della domanda”.
La medesima norma al comma 2 stabilisce: “Gli elementi di cui al comma 1 che il richiedente è tenuto a produrre comprendono le dichiarazioni e tutta la documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, condizione sociale, anche dei congiunti, se rilevante ai fini del riconoscimento, identità, cittadinanza, paesi e luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di identità e di viaggio, nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale”.
Anche quest’ultima norma, dunque, nulla dispone in merito all’allegazione della dichiarazione di ospitalità o della cessione di fabbricato in occasione della presentazione della domanda di asilo.  

3. Dichiarazione di ospitalità e cessione di fabbricato

La dichiarazione di ospitalità deve essere presentata alle Autorità Locali di P.S. da chiunque ospiti o offra alloggio a un cittadino straniero, non comunitario o a un apolide, o che conceda loro l’uso di beni immobili entro 48 ore dall’arrivo.
Il Decreto Legislativo del 25 luglio 1998 n. 286 recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” difatti, all’art. 7 disciplina gli “Obblighi dell’ospitante e del datore di lavoro” prevedendo al primo comma che: “Chiunque, a qualsiasi titolo, da alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all’autorità locale di pubblica sicurezza”.
A tal proposito, il secondo comma della norma appena richiamata prescrive, che: “La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l’esatta ubicazione dell’immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospitata o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta”.
L’eventuale violazione delle predette disposizioni comporta per il trasgressore, una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da 500 a 3500 euro.
La comunicazione di cessione di fabbricato rappresenta invece, un obbligo previsto dalla legge per tutti coloro che cedono a terzi, la proprietà o il godimento esclusivo di un immobile. Tale obbligo era disciplinato dall’art. 12 del Decreto-legge 59/78, convertito in legge 191/78, tuttavia, con l’introduzione del meccanismo della registrazione dei contratti, tale comunicazione è stata assorbita da quest’ultima procedura. L’obbligo di comunicazione rimane solo nei casi in cui il godimento del fabbricato viene concesso sulla base di un contratto non soggetto a registrazione entro un determinato termine. In tali casi, è prevista anche la possibilità di comunicazione telematica.
A tal proposito, il Decreto-legge 21 marzo 1978 n. 59 recante. “Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati” all art.12 recita: “Chiunque cede la proprietà o il godimento o a qualunque altro titolo consente, per un tempo superiore a un mese, l’uso esclusivo di un fabbricato o di parte di esso ha l’obbligo di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza, entro quarantotto ore dalla consegna dell’immobile [..]”.
Come si evince dalle norme in scrutinio, soggetto a tale obbligo è chiunque da alloggio, ospita o cede la proprietà o il godimento a qualsiasi titolo del bene. Nessun obbligo è prescritto invece, in capo al soggetto che è ospitato o a cui è il medesimo bene è ceduto. 

4. Ostacoli causati dalla mancanza della cessione di fabbricato o dichiarazione di ospitalità

Prassi consolidata [1] in molte Questure italiane è quella di chiedere al r.a. l’allegazione della dichiarazione di ospitalità al momento della formalizzazione della protezione internazionale. In alcuni casi è richiesta persino l’allegazione di una dichiarazione attestante la cessione di fabbricato. In assenza di tali documenti alcuni uffici di Polizia non procedono alla formalizzazione della protezione internazionale. 
Tale prassi ha la conseguenza di ritardare la presentazione della domanda di asilo aggravando la situazione del migrante che quindi, rimane privo di un valido documento di riconoscimento, nonché, dei servizi essenziali come ad esempio scuola, sanità ecc.
Orbene, la richiesta in esame può essere giustificata quando il r.a. è collocato presso una struttura di accoglienza, in tal caso egli ha la possibilità di allegare la dichiarazione di ospitalità inquanto, sottoscritta dallo stesso responsabile del centro in cui il migrante è accolto o trattenuto. Al contrario, tale richiesta appare ingiustificata ed oltremodo irragionevole, quando il migrante è fuori dal sistema di accoglienza ordinaria o ad esempio quando è sprovvisto di fissa dimora; ospite in via provvisoria di connazionali; di altri immigrati irregolari, dunque, anch’egli irregolare e privo di documenti.
V’è da segnalare un’altra delicata questione: la posizione del soggetto che offre ospitalità ad uno straniero irregolare. egli è difatti in una posizione alquanto delicata. Quest’ultimo potrebbe essere accusato del reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale. L’art. 12 comma 5-bis del T.U.I. prevede difatti, che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni [..]”.
Alla luce delle ultime questioni esaminate è evidente che la richiesta di allegazione della dichiarazione di ospitalità o della cessione di fabbricato rischia concretamente di trasformarsi in un’arma a doppio taglio; da un lato per il r.a. per il quale essa rappresenta un grave periculum in mora; dall’altro per il soggetto ospitante che rischia di essere imputato del reato di cui all’art. 12 comma 5-bis del T.U.I. Tale questione esige pertanto, un’attenta riflessione.

5. Il caso giudiziario di Milano

Particolarmente interessante è la vicenda giudiziaria [2] avente ad oggetto la mancata accettazione della domanda di asilo di un cittadino salvadoregno, da parte della Questura di Milano, per mancata allegazione della dichiarazione di ospitalità.
L’uomo entrato nel territorio italiano da minorenne non conosceva la normativa vigente in materia di protezione internazionale e permaneva irregolarmente sul territorio fino al raggiungimento della maggiore età. Nel marzo del 2018, il Prefetto di Milano emanava nei suoi confronti un decreto di espulsione. Il difensore dell’extracomunitario, quindi, ricorreva al G.d.P. chiedendo l’annullamento del provvedimento.
 A questo punto, ritenendo sussistenti i presupposti per ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria, il legale dell’uomo chiedeva alla Questura di Milano il rilascio di un permesso di soggiorno. Facendo seguito alla sua richiesta, il migrante veniva invitato a presentarsi presso gli uffici di Polizia per formalizzare la domanda di asilo. La Questura di Milano, tuttavia, rifiutava di ricevere la domanda di protezione internazionale per mancata allegazione della dichiarazione di ospitalità.
Per tale ragione, dopo una serie di vicissitudini con l’aiuto del proprio difensore il cittadino extracomunitario era costretto a adire il Tribunale di Milano denunciando la prassi adottata dalla Questura milanese di subordinare la formalizzazione della domanda di asilo all’allegazione della dichiarazione di ospitalità, deducendo che tale documentazione non è richiesta dalla legge. Il difensore evidenziava dunque, la violazione del diritto soggettivo del proprio assistito a poter accedere alla procedura di formalizzazione della protezione internazionale precisando che lo stesso non avrebbe potuto allegare il documento richiesto inquanto, provvisoriamente ospite di alcuni amici che si alternavano nel dargli ospitalità presso le proprie abitazioni. Si chiedeva al Tribunale di ordinare alla Questura di Milano di accettare la domanda di asilo sulla scorta delle dichiarazioni orali dal richiedente circa la propria dimora/domicilio, pertanto, in assenza della dichiarazione di ospitalità. 

6. L’ordinanza del Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 25.07.2018, R.G. n. 32311/2018 accoglieva totalmente i motivi del ricorso, affermando il diritto del richiedente a presentare la domanda di asilo senza alcun onere di allegazione della dichiarazione di ospitalità e obbligava la Questura di Milano ad accettare la domanda di asilo.
Nell’ordinanza, il Tribunale richiamando l’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, precisava che la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo e come tale annoverabile tra i diritti fondamentali garantiti dagli artt. 2 Cost. e 3 della CEDU pertanto: “non degradabile ad interesse legittimo, per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, cui può demandarsi solo l’accertamento dei presupposti di fatto legittimanti la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato al legislatore[3].
Per questo motivo, nel determinare il diritto del ricorrente a formalizzare la domanda di protezione internazionale nei termini indicati dall’art. 6 del decreto legislativo 25/2008 il Tribunale di Milano decideva: “che la dichiarazione di ospitalità, alla cui produzione la Questura di Milano ha subordinato la procedibilità dell’istanza di protezione da parte del ricorrente non ha fondamento giuridico. Inoltre, ai fini dell’individuazione della Questura competente in relazione al luogo di dimora dell’interessato, è evidente che non si può fare che riferimento alla situazione di fatto di trovarsi l’interessato fisicamente in un determinato luogo, non potendosi ragionevolmente esigere da un cittadino straniero, in situazione di irregolarità sul territorio nazionale, la disponibilità di un alloggio adeguato. L’impostazione del requisito della dichiarazione di ospitalità, oltre che illegittimo, finirebbe per rendere impossibile, o eccessivamente oneroso, l’esercizio del diritto di asilo riconosciuto e tutelato nel contesto normativo europeo e a livello costituzionale italiano”. 
Alla luce delle considerazioni che precedono il Tribunale concludeva affermando che: “il diritto di parte ricorrente di presentare presso la Questura di Milano domanda di protezione internazionale, pur in assenza di dichiarazione di ospitalità, con conseguente obbligo di parte resistente di ricevere tale istanza trattandosi di attività vincolata secondo quanto disposto dal citato art. 6 D.L.vo n. 25/2008”.

7. Conclusioni

La decisione del 2018 del Tribunale di Milano appare pienamente condivisibile e coerente con il vigente dettato normativo nazionale ed europeo posto che nessuna norma che disciplina la procedura di formalizzazione della protezione internazionale subordina il ricevimento dell’istanza all’allegazione della dichiarazione di ospitalità, né tanto meno a quella di cessione di fabbricato. Tale orientamento peraltro è ormai consolidato nelle più recenti pronunce di merito [4] e di legittimità.
Tale condizione, dunque, dovrebbe essere ormai pacifica non solo dal punto di vista giuridico ma anche sotto il profilo della ragionevolezza. È lecito chiedersi, al contrario, come si possa pretendere da un soggetto irregolare e privo di documenti l’allegazione di tali dichiarazioni.
È bene dunque rammentare che, lo scopo dell’invito in Questura non è solo quello di “cristallizzare” la domanda di asilo ma anche di verificare le corrette generalità del richiedente. Le informazioni raccolte sono difatti, necessarie a ricostruire proprio quell’identità che il r.a. ha “smarrito” durante il viaggio. Contestualmente alla formalizzazione difatti, al migrante è rilasciato un attestato nominativo contenente le proprie generalità (nome, cognome data e luogo di nascita, codice fiscale), elementi che successivamente serviranno al r.a. per ottenere la carta di identità, il permesso di soggiorno provvisorio, ecc. Tale documento, dunque è necessario al migrante per poter accedere proprio a quei servizi essenziali che, altrimenti gli sarebbero negati.
In conclusione, l’accesso alla procedura di formalizzazione è fondamentale per garantire una protezione adeguata ai migranti. Ogni eventuale ritardo, difatti, li esporrebbe a numerosi rischi e gravi vulnerabilità, tra cui anche il mancato accesso a servizi sanitari essenziali. La loro condizione diverrebbe ancora più precaria costringendoli a dipendere interamente dagli eventi. È, quindi, necessario promuovere delle “best practices” anche tra le forze di Polizia per consentire ai migranti un immediato accesso alla procedura di formalizzazione, dunque una migliore integrazione.

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Note

  1. [1]

    Biglietto d’invito ex art. 15 TULPS

  2. [2]

    Tribunale di Milano, Ordinanza del 25.07.2018 R.G. n. 32311/2018

  3. [3]

    Corte di Cassazione, sezioni unite n. 5059 del 28.02.2017 RV. 643118 – 01

  4. [4]

    Tribunale di Treviso, G.i.p. sentenza 30.03.2023 R.G. Sent. 317/2023

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