Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale di cui si darà atto, assume rilievo dirimente (i) il fatto che tale domanda risulti effettivamente precisata con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1) come conseguenza delle difese della controparte, (ii) il fatto che essa si basi su circostanze di fatto già allegate nell’atto introduttivo con riferimento alla domanda di adempimento contrattuale, nonché (iii) il fatto che sussista un rapporto di “alternatività” o “incompatibilità” tra domanda originaria e domanda modificata.
SS.UU. n. 26128/2010: un passo verso la mutatio libelli
Con sentenza del 27 dicembre 2010, n. 26128 le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sul tema della proponibilità, da parte dell’opposto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, della domanda riconvenzionale di ingiustificato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c.. Tale situazione è assimilabile alla proposizione della domanda di giustificato arricchimento con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1) nel giudizio ordinario, giacché l’opposto convenuto riveste, come noto, la posizione sostanziale di attore: egli, infatti, agisce per primo con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo, in seguito al quale il debitore avvia (solo formalmente come attore) un giudizio di opposizione allo stesso.
In quell’occasione le Sezioni Unite hanno innanzitutto precisato che le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla causa petendi (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonché, ove l’arricchito sia una P.A., il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente), sia quanto al petitum (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo).
Le Sezioni Unite ne hanno tratto la conseguenza che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo (al quale si applicano le norme del rito ordinario e, dunque, anche l’art. 183 c.p.c.) è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare la nuova introduzione di una domanda di arricchimento senza giusta causa e il relativo esame.
Se, dunque, la nuova introduzione della domanda di arricchimento senza giusta causa non trova giustificazione nell’introduzione di un nuovo argomento di indagine da parte dell’opponente, all’opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa.
Le Sezioni Unite hanno infine precisato che tale inammissibilità è rilevabile d’ufficio dal giudice.
SS.UU. n.12310/2015: una nuova definizione di domande modificate
Con la sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015, le Sezioni Unite, sono state chiamate a risolvere il contrasto sulla questione relativa alla modificabilità, con la memoria prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 5 (nella formulazione ratione temporis applicabile), della domanda costitutiva ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo.
In quell’occasione, dunque, le Sezioni Unite hanno affrontato in termini più generali il tema dello ius variandi, di tal che il pronunciamento in discorso risulta senz’altro rilevante anche con riferimento al tema dei rapporti tra azione di esatto adempimento e azione di arricchimento senza giusta causa.
Le Sezioni Unite, in prima battuta, hanno dato atto del tradizionale principio, affermato dalla giurisprudenza, secondo il quale sono ammissibili solo le modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice emendatio libelli, ravvisabile quando non si incide né sulla causa petendi, né sul petitum (essendo quindi inammissibile ogni forma di mutatio libelli, che ricorre quando si avanza una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima).
Di contro, però, le Sezioni Unite hanno evidenziato che non è dato rinvenire un esplicito divieto di domande nuove nell’ambito dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., ciò che invece avviene in relazione all’art. 345 c.p.c., per il giudizio di appello.
Le Sezioni Unite hanno inoltre rilevato come, in rapporto alla domanda originaria, sia dato ravvisare altri tre tipi di domande: le domande “nuove”, le domande “precisate” e le domande “modificate”.
Per domande nuove si intendono domande che non sono conseguenza delle domande della controparte e che del tutto differiscono sul piano del petitum e della causa petendi. Le domande nuove risultano implicitamente vietate per il fatto che l’art. 183 c.p.c., a valle dell’atto di citazione, ammette per l’attore le domande e le eccezioni “che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”. Le domande nuove, dunque, sono inammissibili.
Le domande “precisate”, invece, sono le stesse domande introduttive che non hanno subito modificazioni nei loro elementi identificativi, ma sono semplici precisazioni, per tali intendendosi tutti quegli interventi che non incidono sulla sostanza della domanda iniziale ma servono a meglio definirla, puntualizzarla, circostanziarla, chiarirla. La loro ammissibilità non è mai stata posta in dubbio.
Del pari ammesse sono le domande modificate, con la precisazione la differenza tra le domande “nuove” implicitamente vietate e le domande “modificate” sta (non nel fatto che in queste ultime le “modifiche” non possono incidere sul petitum o la causa petendi, bensì) nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive” rispetto a quelle originarie. Si tratta, infatti, o delle stesse domande iniziali modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali – o di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali, bensì le sostituiscono in quanto si pongono in un rapporto di alternatività rispetto alla domanda originaria.
Le Sezioni Unite hanno quindi concluso affermando il seguente principio di diritto: “La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi) , sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue che deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all’uopo prevista dall’art. 183 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo”.
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Con la SS.UU. n. 22404/2018 una svolta affermativa
In quest’ultima occasione le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover dare continuità all’indirizzo indicato dalle Sezioni Unite n. 12310 del 2015, che hanno superato in senso evolutivo il precedente criterio che vedeva nel petitum e nella causa petendi il limite invalicabile delle modifiche ammesse con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1)
Rilevano le Sezioni Unite che “milita in tal senso, altresì, la considerazione che l’interpretazione adottata in questa sede risulta maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, in quanto non solo incide sulla durata del processo in cui la modificazione interviene ma influisce positivamente anche sui tempi della giustizia in generale, in quanto favorisce la soluzione della complessiva vicenda sostanziale sottoposta all’esame del giudice in un unico contesto, evitando la proliferazione dei processi”.
Dunque, ciò che assume rilievo dirimente ai fini della ammissibilità della domanda modificata è: (i) la verifica di “alternatività” o”incompatibilità” tra domanda originaria e domanda modificata; (ii) il fatto che le due domande si riferiscano alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio; (iii) il fatto che la domanda modificata sia conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto
Con specifico riferimento alle domande di adempimento contrattuale (originaria) e di arricchimento senza giusta causa (frutto della modifica in sede di memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1)) le Sezioni Unite hanno rilevato che esse “si riferiscono indubbiamente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale; sono attinenti al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale (pur se, nell’una, come corrispettivo di una prestazione svolta e, nell’altra, come indennizzo volto alla reintegrazione dell’equilibrio preesistente tra i patrimoni dei soggetti coinvolti); sono legate da un rapporto di connessione “di incompatibilità”, non solo logica ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento, ai sensi dell’art. 2042 c.c., e tale nesso giustifica ancor di più il ricorso al simultaneus processus”.
Le Sezioni Unite hanno dunque conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: “E’ ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata”.
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