Domanda ostensiva de executivis, tra tutela del “know-how” e del “need to know”

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Domanda ostensiva de executivis: l’implacabile tensione esistente tra tutela del “know-how” aziendale dell’aggiudicataria e del “need to know” della concorrente nel diritto dei contratti pubblici

Sullo sfondo della parabola giurisprudenziale disegnata dai più recenti arresti del Consiglio di Stato, l’Autore si propone di analizzare criticamente i complessi snodi del dibattito afferente ai rapporti tra il diritto di accesso agli atti di gara, illustrato nel duplice e astratto paradigma partecipativo e difensionale, e i segreti commerciali custoditi dall’impresa aggiudicataria e incorporati nella documentazione relativa alla sua offerta tecnica. Obiettivo sotteso allo scritto è quello di rispondere all’interrogativo se esista o meno un parametro normativo in grado di orientare l’interprete nella ricerca di un bilanciamento ragionevole tra le opposte istanze di tutela.

Indice:

  1. La divulgabilità delle informazioni contenute negli atti di gara quale “zona d’interferenza” tra contrapposti valori costituzionalmente protetti.
  2. Premesse sul sistema della trasparenza e sulla pluralità dei regimi di accesso tra settori speciali, aporie normative e disattenzioni tecniche del legislatore.
  3. Breve rassegna sullo stato della giurisprudenza amministrativa in merito alla possibilità di immutare il titolo dell’actio ad exhibendum.
  4. Segue: la soluzione restrittiva prospettata dall’Adunanza Plenaria n. 10/2020.
  5. Limiti oggettivi e soggettivi dell’accesso ex art 53 D.lgs. n. 50/2016: le due anime ispiratrici.
  6. L’accesso difensionale sull’incerto crinale tra istanze emulative/esplorative e interessi genuinamente difensivi: quid iuris in caso di segreti tecnici e commerciali della concorrente?
  7.  La ripartizione dell’onus probandi tra accedente e aggiudicatario e la soluzione al conflitto di posizioni: ubi maior minor cessat.
  8.  L’ipotesi escludente dei segreti professionali sub. art. 53, comma 5, lett. b) incorporati nei pareri legali.
  9. Volume consigliato

 

  1. La divulgabilità delle informazioni contenute negli atti di gara quale “zona d’interferenza” tra contrapposti valori costituzionalmente protetti.

La lunga e inarrestabile parabola normativa in tema di accesso ai documenti amministrativi è iscrivibile all’interno del più ampio processo teso ad accrescere la nitidezza dell’esercizio del potere pubblico e, contestualmente, a promuovere una nuova cultura del dialogo attivo tra cittadino e funzione amministrativa.

Gli esiti del cennato dibattito, impreziositi dalle conquiste raggiunte in sede giurisprudenziale e ulteriormente consolidatisi per mano di una rinnovata percezione socio-politica della Pubblica Amministrazione, hanno certamente contribuito a forgiare il moderno assetto organizzativo degli apparati pubblici. Cionondimeno, ad oltre un trentennio dal progetto elaborato dalla Commissione presieduta dal Prof. Mario Nigro[1] – che, tra i primi, a far data dal 1987, espresse e mise “nero su bianco” esigenze analoghe a quelle già manifestate dai paesi scandinavi e dal cui spirito originario si evinceva già chiaramente la volontà di trasformare anche il nostro procedimento amministrativo, traendo abbrivio dalla fondamentale premessa per cui «la scelta amministrativa non è più monopolio dell’elemento burocratico, ma diventa prodotto di questo e dell’elemento partecipativo»[2] – per molti aspetti conserva ancora attualità il rischio che la tanto agognata trasparenza amministrativa possa rimanere confinata entro un piano puramente teorico, assurgendo a presidio soltanto formale dei valori consacrati all’art. 97 Cost.. Le maggiori incertezze profilatesi al riguardo investono il settore degli appalti pubblici, per quanto concerne in particolare l’ostensibilità de executivis della documentazione di gara, in attuazione del principio di pubblicità e trasparenza della condotta delle pubbliche amministrazioni o dei soggetti ad essa funzionalmente equiparati (cfr. art. 1 l. n. 241 del 1990).

Una larga e crescente porzione del contenzioso amministrativo sviluppatosi in anni recenti involge il caso tipico in cui un operatore economico, concorrente alla gara, manifesti interesse a compiere un accesso agli atti della fase esecutiva del contratto pubblico, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della procedura. Muovendo da siffatte constatazioni, con riferimento alla materia in discorso è agevolmente intuibile il peso che rivestono le implicazioni pratiche connesse alla definizione delle modalità e dei concomitanti limiti all’esercizio del diritto di accesso. Segnatamente, il presente contributo intende approfondire il dibattito attorno alla conoscibilità del contenuto degli atti di gara, nei termini in cui i relativi sviluppi incrocino le contrapposte istanze di tutela della riservatezza e competitività nel mercato dell’impresa alla cui documentazione parte istante chiede di accedere. Come più approfonditamente si dirà infra, l’attenzione è in special modo rivolta verso la divulgazione di quella parte dell’offerta o delle giustificazioni della anomalia che riguardano le specifiche e riservate capacità tecnico-industriali o in genere gestionali proprie dell’impresa in gara (il c.d. know-how).

Trattasi di beni che, costituendo il prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva del singolo operatore, sono annoverate tra i segreti commerciali tutelati ai sensi e per gli effetti degli artt. 98 e 99 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale) e cui perciò l’ordinamento giuridico offre tutela al fine di garantire la corretta esplicazione della concorrenza. Alla stregua di ciò ben si comprenderà che, agli effetti della presente analisi, è d’uopo partire da una base di riflessione comunemente condivisa dalla dottrina amministrativistica[3] e che trova la più compiuta e lungimirante espressione nel pensiero manifestato dal Prof. Valerio Onida, il quale correttamente rammentava già sul finire degli anni ottanta che «nel nostro sistema giuridico non esistono di massima ostacoli legali alla libera circolazione e diffusione delle informazioni, se non quelli derivanti dalla esigenza di tutela di altri valori costituzionalmente protetti»[4], riecheggiando i contenuti della celebre sentenza n. 86/1977, tra le primissime sul tema, con cui la Corte Costituzionale[5] ebbe a puntualizzare – attraverso il delicato gioco del bilanciamento tra contrapposte istanze – il perimetro di legittimità e la ratio giustificante l’istituto del segreto di Stato.

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  1. Premesse sul sistema della trasparenza e sulla pluralità dei regimi di accesso tra settori speciali, aporie normative e disattenzioni tecniche del legislatore.

Sul versante normativo, la proliferazione – spesso disorganica – delle regole in materia di accesso rende particolarmente complessa e onerosa l’opera tesa a ricostruire il regime oggi vigente, non senza la sfavorevole evenienza di incorrere in frammentazioni applicative[6]. I timori paventati da certa dottrina si colorano di tinte ancor più fosche in ragione della necessità di calibrare le singole discipline settoriali sulla scorta dei principi generali che, nella materia de qua, sono imperniati sul capo V della l. n. 241/1990.

Prima di scendere nel dettaglio delle disposizioni speciali – da intendersi quali “proiezioni particolareggiate” dell’istituto dell’accesso e, per quanto qui di interesse, “ricamate” in funzione degli aspetti caratterizzanti le procedure ad evidenza pubblica – assume preliminare importanza rammentare come l’attuale ordinamento giuridico veda coesistere, in via generale, tre diversi modelli legali di accesso ai documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni: l’accesso documentale di cui agli artt. 22 e seg. della sopra citata legge 7 agosto 1990, n. 241; l’accesso civico ai documenti oggetto di pubblicazione, regolato dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (d’ora in avanti, “Testo Unico sulla Trasparenza”); l’accesso civico generalizzato, introdotto dalle modifiche apportate a quest’ultimo impianto normativo dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97[7].

Posta dunque la necessità di tenere ben distinte le fattispecie, si rende qui meritevole di un accenno – per la relativa pregnanza e capacità esplicativa – l’affermazione rinvenibile nelle Linee Guida dell’ANAC (approvate con la deliberazione del 28 dicembre 2016[8]) stando alla quale l’accesso documentale renderebbe possibile un’ostensione maggiormente approfondita dei “dati pertinenti” all’oggetto della richiesta laddove, di converso, l’accesso generalizzato opera sicuramente “meno in profondità”, ma  in misura più estesa[9]. Come graniticamente asseverato da una corrente maggioritaria della giurisprudenza amministrativa [10], ciascuno dei sistemi testé accennati – per quanto contraddistinto da propri presupposti, limiti ed eccezioni – è da ritenersi pari ordinato rispetto agli altri a livello ordinamentale, di guisa che nei rapporti reciproci ciascuno opera nel proprio ambito. Tanto vale ad escludere sia la possibilità di dar luogo all’assorbimento dell’una fattispecie in un’altra sia l’operatività dell’art. 15 Preleggi, che postula il principio dell’abrogazione tacita o implicita ad opera della lex posterior. In tale prospettiva, la suesposta tesi della pariteticità – che fa propria una lettura sollecitata da numerose recenti pronunce dai giudici di Palazzo Spada – conduce, ove accolta, ad accantonare quell’indirizzo onnicomprensivo che recava con sé l’effetto di «ampliare ovunque i casi di piena trasparenza dei rapporti tra pubbliche amministrazioni, società e individui».

  1. Breve rassegna sullo stato della giurisprudenza amministrativa in merito alla possibilità di immutare il titolo dell’actio ad exhibendum.

La surriferita esegesi apre la strada ad ulteriori interessanti oscillazioni interpretative, a ognuna delle quali fanno seguito inevitabili ripercussioni di ordine procedurale. Con riferimento a quest’ultimo dato, è utile ricordare che in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, di cui costituisce ineludibile corollario l’ulteriore principio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione. Sotto questo profilo, assume rilievo la questione della riqualificabilità in sede giudiziale dell’istanza di accesso del privato da parte dell’Amministrazione interpellata, al fine di individuare la disciplina applicabile. È fuor di dubbio che la previsione dell’accesso di cui alla legge n. 241 parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non) e la possibilità di proporre le diverse istanze, anche uno actu, costituisca uno degli aspetti più critici dell’attuale disciplina[11]. La tesi maggiormente restrittiva – sul presupposto della eterogeneità dell’ambito di azione delle summenzionate fattispecie di accesso – ha sposato i ragionamenti seguiti da un recente Consiglio di Stato[12] e si è orientata nel senso di ritenere che, fermi restando i presupposti di accoglibilità della domanda, laddove l’accedente abbia optato per un particolare modello, resta precluso all’Amministrazione qualificare diversamente l’istanza. Correlativamente, il richiedente, una volta proposta la relativa istanza, «motivata dai presupposti di una specifica forma di accesso, non potrà effettuare una conversione della stessa in corso di causa»[13]. Il che – riformulato secondo un antico brocardo latino che recitava “electa una via (in sede procedimentale), non datur recursus ad alternam” – si traduce in sostanza nella preclusione per il richiedente di immutare il titolo della formalizzata actio ad exhibendum, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e di introduzione di ius novorum[14]. Detta conclusione si radica sull’assunto per il quale è la richiesta di ostensione, unitamente alla risposta negativa dell’Amministrazione (o di altro soggetto equiparato), che concorrono a formare l’oggetto del contendere ed è proprio in ragione del fatto che il rapporto che avvince le due parti si è formato non attorno ad un generico (asserito) diritto del primo di accedere a una determinata documentazione ma su una richiesta precisamente connotata nei suoi presupposti giuridici e fattuali che non può quindi ammettersi un mutamento del titolo giuridico dell’accesso in corso di controversia. Il rigore di una consimile soluzione è in parte stemperato dalla possibilità concessa al privato di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale e di presentare un’unica istanza, quale “sintesi” tra le diverse discipline, dal momento che «nulla infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso»[15]. Di contro, si segnala l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale – contrapposto a quello sinora descritto – che accoglie favorevolmente la possibilità per l’amministrazione che detiene la documentazione richiesta, una volta al cospetto di una istanza di accesso c.d. complessa[16], di fare applicazione (alternativamente), di un istituto piuttosto che dell’altro, in ragione dell’esito della verifica circa la sussistenza dei presupposti legittimanti l’una o l’altra richiesta[17]. L’acceso dibattito “scatenato” dai concomitanti ed autorevoli arresti dei giudici amministrativi ha così reso impellente la “messa in funzione” del Massimo organo nomifilattico dopo che la III Sezione del Consiglio di Stato, ravvisata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in subiecta materia, ha sottoposto all’Adunanza Plenaria tre quesiti fondamentali. Tralasciando i primi due, è bene soffermarsi sulla terza delle questioni interpretative addotte dall’ordinanza in parola, che tuttavia il Consesso – rivedutane la tassonomia – decide di esaminare per prima in ragione del rapporto di consecuzione logico-giuridica tra le stesse. Orbene, la Sezione remittente delimita la res controversa domandando, in primo luogo, alla Plenaria «se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013 (…)»[18].

Si legga anche:

  1. Segue: la soluzione restrittiva prospettata dall’Adunanza Plenaria n. 10/2020.

Il Massimo Consesso, con una pronuncia contraddistinta da una singolare minuziosità argomentativa[19], mostra di prediligere un approccio decisamente sostanzialistico ed affronta la vexata quaestio osservando in premessa che l’esclusivo riferimento dell’istanza ai presupposti propri dell’accesso documentale non osta a che la Pubblica Amministrazione possa esaminarla anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato. Ciò sempre secondo il principio generale di stretta necessità e di non aggravamento procedimentale, di cui si diceva sopra, per cui la Pubblica Amministrazione ha l’onere di valutare la domanda di accesso nel complesso, «nel suo anelito ostensivo», e di fornire una risposta “onnicomprensiva”, evitando quegli inutili formalismi e appesantimenti procedurali che condurrebbero altrimenti ad una defatigante duplicazione del suo esame[20]. Ciò posto, ammessa sempre la possibilità di un cumulo di istanze, nella specifica ipotesi in cui l’accedente formuli la richiesta in modo indistinto, duplice o – per dirla con le parole del Consiglio di Stato – “ancipite”[21], rimanendo perciò sospeso sull’incerto crinale tra l’una e l’altra disciplina dell’accesso (quella documentale e quella civica), la Pubblica Amministrazione ha il «dovere di rispondere, in modo motivato, sulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere i presupposti dell’una e dell’altra forma di accesso, laddove essi siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati nell’istanza»[22]. Tale scelta trova ulteriormente conforto nelle necessità di fare corretta applicazione del principio di tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo nella sua più ampia estensione. Diverso è il caso in cui l’istante abbia inteso inequivocabilmente limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, uti singulus od uti civis. In questa seconda ipotesi – se è vero infatti che, come detto, il rapporto tra le diverse forme di accesso, generali e anche speciali, va letto sempre secondo un canone ermeneutico di completamento/integrazione[23], in maniera tale da garantire la migliore soddisfazione dell’interesse conoscitivo, nella sua integralità e multiformità – tuttavia, l’Amministrazione ricevente non può, neanche su impulso del privato, convertire l’istanza da un modello all’altro. In altri termini, il Consiglio di Stato, concordemente con l’indirizzo giurisprudenziale più restrittivo, riconosce che i riferimenti normativi posti a base della richiesta di accesso assumano carattere vincolante. Ove così non fosse, la volontà della P.A. si sostanzierebbe in quello che il giudice amministrativo ha definito un «diniego difensivo in prevenzione» rispetto ad una istanza mai proposta dal privato[24]. Su queste stesse basi argomentative, l’Adunanza Plenaria scioglie anche il secondo nodo della quaestio deferita dalla III Sezione[25], escludendo il potere del giudice, adito ai sensi dell’art. 116 c.p.a., di mutare il titolo dell’accesso, quale definito dall’originaria istanza proposta dal privato e dal conseguente diniego dell’Amministrazione e che valgono perciò a cristallizzare il thema decidendum.

  1. Limiti oggettivi e soggettivi dell’accesso ex art 53 D.lgs. n. 50/2016: le due anime ispiratrici.

All’interno delle ampie coordinate tracciate dalla più risalente normativa sul procedimento amministrativo, gli aspetti relativi alla conoscibilità degli atti e dei documenti rilevanti nelle diverse fasi di formazione ed esecuzione dei contratti pubblici delineano una sorta di microcosmo normativo le cui categorie sono state erette in ragione degli scopi ultimi connaturati alle specificità delle procedure ad evidenza pubblica. Le finalità principe che governano e contribuiscono a spiegare le scelte normative di settore sono, per un verso, quella di preservare la fluidità di svolgimento del procedimento di gara e di limitare nel contempo la possibilità di collusioni o di intimazioni degli offerenti e, per altro, di garantire il consolidamento dei processi e meccanismi di prevenzione e contrasto della corruzione nel contesto delle commesse pubbliche. Orbene, la disposizione speciale che regola l’accesso in materia è attualmente contenuta nell’art. 53 del Codice del 2016, che si pone in rapporto di sostanziale continuità con l’art. 13 del previgente D.lgs. n. 163 del 2006, oltre ad essere pienamente allineato sia con la normativa antesignana di fonte eurounitaria (art. 13 della direttiva 2004/17/CE e 6 della direttiva 2004/18/CE) che con quella oggetto del recepimento di cui al vigente Codice dei contratti pubblici (art. 28 direttiva 2014/23/UE, art. 21 direttiva 2014/24/UE e art. 39 direttiva 2014/25/UE). Sin già la rubrica della disposizione in parola si carica di una peculiare valenza semantica giacché esprime a chiare lettere la tensione esistente, come accennato in precedenza, tra due valori primari per l’azione amministrativa, quali sono la trasparenza e la riservatezza[26].  La tecnica redazionale che contraddistingue l’addentellato normativo suevidenziato ha condotto progressivamente la giurisprudenza amministrativa ad avallare la tesi della sua natura eccezionale adducendo, a suffragio della stessa, argomenti facenti leva in primis sulla previsione di limiti oggettivi e soggettivi del tutto peculiari rispetto a quelli propri della l. n. 241 e finanche di veri e propri divieti di divulgazione del contenuto di determinati atti di gara[27]. Sotto il profilo soggettivo, risalta in maniera evidente come l’accesso agli atti de quibus subisca giocoforza una contrazione quanto ai soggetti legittimati attivamente. È il caso di precisare infatti che – malgrado da più parti si sia data particolare enfasi al tenore letterale della norma che sembrerebbe descrivere tanto i soggetti tenuti a garantire l’accesso (che necessariamente si identificano con quanti, indifferentemente dalla propria natura pubblica o privata, conducono la procedura secondo le regole del Codice), quanto i titolari del diritto de quo[28] in termini assolutamente impersonali – sono in realtà soltanto i partecipanti alla gara che vanterebbero un interesse giuridicamente meritevole di tutela in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento del contratto e il conseguente interpello per il nuovo affidamento[29]. Ciò starebbe a significare che la preclusione all’accesso è totale qualora la richiesta sia formulata da un soggetto terzo, quand’anche questi avesse a dimostrare la sussistenza di un interesse differenziato, alla stregua della legge generale sul procedimento. Accanto alle suesposte limitazioni afferenti alla legittimazione/interesse, maggiormente composita e articolata si presenta l’opera di perimetrazione della norma sul versante oggettivo. Difatti, oltre a individuare le fattispecie di differimento dell’accesso di cui al comma 2° e sempre facendo salve le regole più restrittive previste per gli appalti interamente segretati[30], la disposizione in esame prevede una serie di preclusioni al diritto di accesso ratione materiae. In particolare, al comma 5°, è riportata un’elencazione di diverse fattispecie, di cui tre di esclusione assoluta[31], a fronte delle quali la trasparenza recede ed una di esclusione relativa[32]. Da tali fattispecie sembra evincersi la volontà, a livello legislativo, di far prevalere, nell’ambito delle ipotesi riconducibili alla disciplina di settore, le esigenze di riservatezza degli offerenti durante la competizione, salvo poi – come correttamente puntualizza il Consiglio di Stato – «ripristinare la fisiologica dinamica dell’accesso a procedura conclusa»[33]. Su detto presupposto è imperniata anche l’ipotesi c.d. di esclusione relativa (sub lett. a), configurantesi al ricorrere di segreti tecnici e commerciali, i quali – come chiosa giustamente il Consiglio di Stato – non integrano tuttavia una presunzione assoluta e valevole ex ante di prevalenza dei motivi addotti a difesa del segreto[34]. In questo caso difatti il legislatore delegato ha voluto che il “cedimento” delle garanzie di trasparenza e pubblicità dovesse subire un temperamento, di guisa che l’accesso alla documentazione di gara può (eccezionalmente) essere ammesso in risposta ad esigenze di «difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto». Peraltro la norma, così delineata, corrobora la tesi di quanti sostengono che all’interno della fattispecie giuridica generale dell’accesso convivano armonicamente due anime, di cui per l’appunto quella “difensiva” è costruita come fattispecie ostensiva autonoma, che «trascende dalla dimensione partecipativa procedimentale e dalla logica della trasparenza della funzione amministrativa»[35] ed è connotata, oltre che da una distinta funzionalizzazione, da un regime giuridico parzialmente diverso[36]. Di tutto riflesso, il rinvio fatto dalla normativa di settore alla disciplina generale, contenuta agli artt. 22 e ss. della legge sul procedimento amministrativo, è da interpretarsi in senso restrittivo, dal momento che la legge n. 241 contempla un ventaglio ben più ampio di possibilità, consentendo l’accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica del richiedente «senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale»[37].

  1. L’accesso difensionale sull’incerto crinale tra istanze emulative/esplorative e interessi genuinamente difensivi: quid iuris in caso di segreti tecnici e commerciali della concorrente?

Tornando ad esaminare la concreta ed effettiva portata della clausola derogatrice contenuta all’art. 53, comma 6, essa non fa altro che traslare all’interno della cornice degli appalti pubblici l’istituto dell’accesso c.d. difensivo o difensionale[38], così denominato poiché preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale del suo proponente, realizzando quel necessario coordinamento tra testi normativi che, viceversa, difetta in relazione al successivo D.lgs. n. 97/2016[39].

Nel mentre, è opportuno rammentare che il diritto in questione, come noto, ha trovato un suo “primordiale ingresso” nell’ordinamento giuridico in forza della previsione di cui all’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, a mente della quale: «Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici», laddove l’utilizzo dell’avverbio «comunque» denoterebbe l’intenzione del legislatore di non ridurre la sfera di applicazione del diritto de quo alla sola dimensione “partecipativa”[40]. Tuttavia, soltanto di recente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è giunta a delimitare con esattezza i presupposti legittimanti le esigenze difensive dell’accedente. In proposito, la sentenza n. 4 del 18 marzo scorso[41] ha fornito chiarimenti in risposta a due questioni di grande interesse adombrate dall’ordinanza di rimessione. La prima di esse, “lambita” solo incidentalmente in quanto logicamente prodromica rispetto alla seconda, involge il dibattuto tema afferente ai rapporti tra il rimedio dell’accesso documentale difensivo ed i metodi di acquisizione, in funzione probatoria, di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione e coniati dalle norme di fonte processual-civilistica (i.e. artt. 210, 211 e 213 c.p.c.). In merito a quest’ultimo aspetto, la Sezione remittente aveva ritenuto opportuno riagganciarsi alle conclusioni già rassegnate dalla Plenaria in occasione della pronuncia n. 19/2020[42], attingendo dalla ricostruzione in termini di complementarità del legame giuridico esistente tra i suddetti strumenti giuridici un utile supporto argomentativo per affermare che «l’acquisizione della prova, per coerenza del sistema, debba seguire le stesse regole sostanziali, quale che sia la via scelta»[43] e, quale logica conseguenza, sia l’amministrazione che il giudice dovrebbero operare lo stesso tipo di valutazione, ossia «escludere la prova non consentita dalla legge sostanziale, e ammettere la prova rilevante, ovvero utile per l’accertamento della verità di quegli specifici fatti su cui verte la causa proposta o da proporre»[44].

È proprio a partire da consimili statuizioni che val la pena dare preliminarmente atto dell’esistenza di due contrapposti orientamenti in seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, mai compiutamente espressosi prima di allora mediante la formale enunciazione di un apposito principio di diritto. Orbene, in merito ai poteri di valutazione dell’istanza di accesso difensivo da parte dell’amministrazione o del G.A. nel giudizio in materia di accesso, ex art. 116 c.p.a. – posto che l’ostensione del contenuto di un documento amministrativo si rifà ad ogni modo ai canoni ermeneutici di immediatezza, concretezza, attualità e corrispondenza[45] ad una situazione giuridicamente tutelata – si segnala un primo indirizzo giurisprudenziale più estensivo[46] e propenso a declinare l’anzidetto requisito del nesso di strumentalità tra la situazione che si assume protetta (rectius, l’oggetto della res controversa) ed il documento di cui si invoca la conoscenza, in termini di “connessione” o anche di semplice attinenza o astratta pertinenza[47]. A detto filone se ne contrappone altro più rigoroso[48] e maggiormente in linea con i dettami suggeriti dall’Adunanza Plenaria in precedenti occasioni[49]. Quest’ultimo, antitetico al primo, sembrerebbe invigorire il processo valutativo dell’istanza di accesso, al punto che la situazione legittimante l’accesso deve risultare tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivocabile il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione[50], e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite. Volgendo lo sguardo verso quest’ultima soluzione interpretativa, il parametro della “stretta indispensabilità” assurge così a strumento principe di cui avvalersi nell’ottica di operare un concreto contemperamento tra i contrapposti interessi testé ricordati.

Date siffatte premesse, il Collegio – onde evitare una irragionevole dilatazione della portata derogatoria del comma 6° e, con essa, che vengano in certo modo “aggirate” le limitazioni frapposte all’accesso dal comma 5° – esclude recisamente che il diritto alla riservatezza aziendale del concorrente alla procedura di gara pubblica il cui esito è controverso possa assumere carattere recessivo rispetto alla tutela delle ragioni sottese alla difesa in giudizio degli interessi dell’istante, ogni qualvolta queste ultime appaiano suffragate da «non meglio precisate esigenze probatorie e difensive»[51], portatrici di un interesse a ricorrere ex art. 35 c.p.a. meramente stereotipato e dai tratti nebulosi ed evanescenti. Ne consegue, ad ogni effetto, la necessità di espletare – a cura dell’amministrazione detentrice – un accurato controllo in ordine alla effettiva utilità della documentazione richiesta rispetto ad uno specifico giudizio e, in conseguenza, l’esperimento della necessaria prova c.d. di resistenza nei confronti dell’offerta della ricorrente, utile ad appurare la sussistenza del dedotto rapporto di strumentalità[52]. Detti requisiti non possono certamente dirsi assolti in tutte quelle ipotesi in cui il giudice amministrativo abbia già delibato in senso negativo sulla impugnativa degli atti di gara.

Tale è ad esempio il caso della sentenza di irricevibilità del ricorso, che, determinando una sorta di “frattura” tra l’istanza ostensiva e l’interesse (processuale) che dovrebbe sorreggerla, comporterebbe in ogni caso l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, anche dell’azione ex art. 116 c.p.a., essendo venuta meno la meritevolezza dell’esigenza conoscitiva che ne è alla base[53]. Del pari, difetta la dimostrazione della specifica e concreta indispensabilità della documentazione richiesta ai fini di giustizia in un caso in cui la parte accedente abbia manifestato la mera intenzione di verificare e sondare l’eventuale opportunità di proporre ricorso giurisdizionale, mediante allegazione in termini puramente ipotetici o dubitativi della semplice eventualità della futura riedizione di una gara[54], ciò valendo ad integrare i caratteri di un accesso meramente esplorativo, quando non addirittura emulativo, ad informazioni riservate[55]. Gli esiti cui è addivenuta la giurisprudenza in termini di modulazione del rapporto tra la tutela delle informazioni riservate da un lato e, da un altro, la difesa in giudizio degli interessi che innervano la posizione del concorrente nella procedura di affidamento hanno trovato una compiuta definizione da parte del Consiglio di Stato che, occupandosi del tema, ha riconosciuto che «il discrimine tra interesse emulativo/esplorativo, insufficiente a giustificare la deroga all’esigenza di protezione dei segreti tecnici e commerciali della concorrente incorporati nella documentazione relativa all’offerta tecnica, ed interesse genuinamente difensivo, atto secundum legem a superare la suddetta barriera opposta dal legislatore al soddisfacimento dell’interesse ostensivo, coincide con l’avvenuta (o meno) instaurazione di un giudizio inerente agli atti della gara cui l’istanza di accesso si riferisce»[56] e sempreché, come anticipato, il contesto processuale in cui si inserisce l’istanza ostensiva non sia destinato a risolversi con la complessiva reiezione della domanda.

  1. La ripartizione dell’onus probandi tra accedente e aggiudicatario e la soluzione al conflitto di posizioni: ubi maior minor cessat.

Sotto un aspetto diverso ma speculare a quello sopra riproposto, resta inteso che, secondo la citata giurisprudenza e coerentemente con i principi generali del processo sottesi al 2697 c.c., l’onere della prova del suddetto nesso di strumentalità incomba unicamente sul soggetto che agisce e non può essere ribaltato sul soggetto opponente[57]. Sempre sul versante dell’onus probandi, vi è da segnalare tuttavia un’altra corrente giurisprudenziale che adduce, quale prova a discarico del concorrente controinteressato, l’onere di allegare a sua volta «motivata e comprovata dichiarazione», ove questi intenda preservare il carattere (asseritamente) riservato e (generalmente) non divulgabile, per chiare ragioni di opportunità, dell’insieme delle componenti e dei beni essenziali di cui consta il bagaglio conoscitivo ed esperienziale dell’impresa.

Trattasi, per definizione, di competenze, conoscenze e/o informazioni maturate ed acquisite nel corso dell’esercizio professionale dell’attività industriale e commerciale e che confluiscono nel “saper fare” aziendale, concorrendo pertanto a definire e qualificare la specifica competitività qualitativa dell’impresa nel mercato aperto alla concorrenza. Detto “appesantimento” sul versante probatorio a carico del partecipante alla gara si rende necessario, secondo quest’ultimo indirizzo, ai fini del completo ed esauriente apprezzamento da parte della Stazione Appaltante dell’effettiva rilevanza delle argomentazioni addotte per sostenere l’operatività del regime di segretezza[58].

Secondo questa tesi è lo stesso offerente che deduce l’esistenza di segreti industriali, e cui solo spetta valutare l’opportunità di non rendere ostensibili alcune informazioni che lo riguardano, a dover allegare e provare a sua volta le ragioni dell’opposizione – senza che ciò stravolga tuttavia il meccanismo incentrato sul 2697 c.c. – in caso contrario esponendosi al rischio di accoglimento dell’istanza di accesso presentata dal concorrente. Tale soluzione, confortata anche dal principio di vicinanza della prova per l’opponente[59] e che trova un appiglio testuale nell’art. 53, comma 5, lett. a), induce a ritenere che la ponderazione tra gli interessi confliggenti non possa ritenersi devoluta alla irrimediabile discrezionalità dell’amministrazione[60].

Invero, ove quest’ultima fosse messa in condizione di enucleare sue proprie ed autonome ragioni di segretezza circa il contenuto dell’offerta tecnica o delle giustificazioni della anomalia, viene da sé che finirebbe per avvantaggiare ingiustificatamente la posizione del controinteressato. A ben vedere, il giudizio mirato a saggiare, secondo una logica di pesi e contrappesi, la prevalenza dell’una o dell’altra istanza è già insito a monte nella legge, potendo la singola stazione appaltante limitarsi ad una mera verifica in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti. E così, cercando di tirare le fila del discorso, sul punto è utile chiarire che la legge sembra accordare prevalenza alle ragioni di segretezza aziendale addotte dall’offerente, a condizione che le stesse siano state presentate in maniera sufficientemente precisa e circostanziata. Di converso, la tutela dei segreti di carattere tecnico o commerciale può dirsi superata dalle esigenze difensive dell’accedente al cospetto della prova della correlazione strumentale tra l’accesso e la difesa in giudizio dei suoi interessi, accompagnata alla «concreta, specifica e circostanziata valorizzazione di elementi fattuali o giuridici inerenti le modalità di regolare attuazione del rapporto negoziale e idonei a prefigurare, sia pure in termini di possibilità e non necessariamente di certezza o anche solo di probabilità, le condizioni di una vicenda risolutiva, per sé idonea a riattivare le chances di subentro o anche solo di rinnovazione della procedura evidenziale»[61]. In esito al continuo e delicato sforzo di bilanciamento tra i due estremi, lo scenario descritto, lungi dal tradursi nell’automatica prevalenza in re ipsa di un interesse su quello “antagonista”, postula dunque un accurato vaglio in contraddittorio delle posizioni reciproche in grado di restituire un giudizio calibrato sulla scorta dei citati, rigorosi, criteri di legge e sottratto alla discrezionalità delle singole amministrazioni.

  1. L’ipotesi escludente dei segreti professionali sub. art. 53, comma 5, lett. b) incorporati nei pareri legali.

Tra le ipotesi di esclusione del diritto di accesso e di ogni altra forma di divulgazione figurano anche i «pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici»[62]. Essa può a buon diritto assumersi quale ulteriore esempio paradigmatico dell’atteggiamento “prudenziale” mostrato dal nostro legislatore rispetto alla vis espansiva accordata alle ordinarie regole in materia di accesso. A questo proposito, la giurisprudenza suole ulteriormente distinguere tra pareri legali endo-procedimentali amministrativi e pareri legali in funzione pre-contenziosa. Soltanto i primi, quali sintesi di strategia legale e delle condotte processualmente più convenienti per l’Amministrazione da assumere in una controversia giurisdizionale già instaurata o instauranda, sono sussumibili nel novero dei segreti che godono di una tutela qualificata ex artt. 622 c.p. (rivelazione di segreto professionale) e 200 c.p.p. e, come tali, sottratti all’accesso[63]. Con riferimento alla seconda tipologia di pareri, ciò che ne renderebbe ostensibile il contenuto inerisce al fatto che la consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto privatistico, di norma caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, è in questo caso legata al procedimento ed al provvedimento amministrativo cui l’organo di consultazione partecipa dando un proprio contributo decisorio e costituisce pertanto uno degli elementi condizionanti la scelta dell’Amministrazione[64].

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Note

[1] Istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri nel corso della nona legislatura dal governo Craxi e coordinata da Massimo Severo Giannini.

[2] In tal senso, M. NIGRO, Il procedimento amministrativo tra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge) in Atti del Convegno (Messina – Taormina 25-26 febbraio 1988), Milano, 1990, p. 12.

[3] Spunti utili ad approfondire un insieme di questioni correlate alla trasparenza e alla disciplina generale in materia di accesso ai documenti amministrativi sono offerti da G. BARRERA, La nuova legge sul diritto di accesso ai documenti amministrativi in Rassegna degli Archivi di Stato, II – III (1991), pp. 342 e ss..

[4] V. ONIDA, Riflessioni sullo stato del diritto all’informazione in Italia, in Politica del diritto, XIX (1988), pp. 304-305.

[5] Si fa riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale del 24 maggio 1977, n. 86 in giurcost.org. Per un breve commento si rimanda a A. MITROTTI, Brevi considerazioni sulla disciplina del segreto di Stato in Osservatorio Costituzionale, II (2018), pp. 13 – 14.

[6] Numerosi autori si sono occupati del fenomeno della consistente moltiplicazione delle regole (anche speciali) in materia di accesso; in tal senso, si segnala in particolare l’interessante contributo offerto da M. LIPARI, Il diritto di accesso e la sua frammentazione dalla legge n. 241/1990 all’accesso civico: il problema delle esclusioni e delle limitazioni oggettive, in federalismi.it n. 17 (2019)

[7] Cfr., per le differenze tra i vari tipi di accesso, tra le altre Cons. Stato, IV, 12 agosto 2016, n. 3631 e, di recente, id., V, 20 marzo 2019, n. 1817.

[8] Recante le «Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33/2013».

[9] Ciò affinché il cittadino possa valersi di un sostrato di conoscenze sì ampio da consentirgli di esplicare quel controllo democratico sull’attività amministrativa che è proprio dell’accesso civico.

[10] In questo senso, si vedano, tra le altre, T.A.R. Toscana, II, 20 dicembre 2019, n. 1748, ove il giudice fiorentino chiarisce che ciascuno dei suddetti istituti a carattere generale «(…) presenta caratteri di specialità rispetto all’altro» (p. 5).

[11] Come correttamente messo in rilievo anche dall’ANAC nelle Linee guida di cui alla delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 (par. 2.3, p. 7).

[12] Il riferimento è al Consiglio di Stato, Sez. V, 2 agosto 2019 n. 5503.

[13] Id., punto 5.2.

[14] In questo senso, cfr. Cons. Stato, IV, 28 marzo 2017, n. 1406 e id., V, 20 marzo 2019, n. 1817. Dette considerazioni sono riproposte dal citato T.A.R. Toscana, n. 1748/2019; in questo caso, il Collegio ha escluso che la richiesta della ricorrente, effettuata ai sensi della legge n. 241/1990, potesse essere (ri)esaminata alla luce del d.lgs. n. 33/2013, rigettando inoltre la «richiesta di qualificazione dell’istanza di accesso della ricorrente alla stregua di una domanda di informazioni ambientali ex d.lgs. n. 195/2005, poiché questa a sua volta costituisce un sottosistema normativo disciplinante una fattispecie specifica di accesso ed operante solo nel proprio ambito».

[15] V., sul punto, mutatis mutandis, Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503. Il Collegio correttamente non può fare a meno di osservare che, così facendo, «si produce un evidente aggravio per l’Amministrazione dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti differenti» (punto 5.2).

[16] Ovverosia, formulata sia ai sensi della l.n. 241/1990, che del D.Lgs. n. 33/2013.

[17] Si inseriscono all’interno del rappresentato filone giurisprudenziale, tra le altre, il Cons. Stato, Sez. VI, 29 aprile 2019, n. 2737, come pure il TAR Lombardia, 27 dicembre 2019, n. 2750.

[18] Cons. St., Adunanza Plenaria, 2 aprile 2020, n. 10, punto 7.2.

[19] Per un’analisi più approfondita e dettagliata della sentenza in commento, la quale – anche sulla base di quanto si dirà oltre – «segna una vera e propria tappa “culturale” nel processo di consolidamento dell’istituto dell’accesso civico», applicato alle procedure dei contratti pubblici, si rimanda al contributo di A. CORRADO, L’accesso civico generalizzato, diritto fondamentale del cittadino, trova applicazione anche per i contratti pubblici: l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato pone fini ai dubbi interpretativi in federalismi.it, n. 16/2020.

[20] Id., punti 8.4 e 8.5.

[21] Sarebbe a dirsi, senza far riferimento in modo specifico e circostanziato alla disciplina dell’accesso procedimentale o a quella dell’accesso civico generalizzato

[22] Id., punto 9.6.

[23] Che, in sé, «rifugge da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline». Si v. in proposito T.A.R. Sardegna, II, 12 aprile 2021, n. 263.

[24] Cfr. Cons. St., A.P., n. 10/2020, punto 11.2.

[25] Id., punto 3.2.: «se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato».

[26] Per un’interessante analisi critica della disciplina in materia di accesso alle offerte presentate dai concorrenti nel corso di una gara d’appalto si rimanda a V. MIRRA, Accesso agli atti di gara e segretezza industriale: una conciliazione impossibile? in Urbanistica e Appalti 2020, II, pp. 171 e ss..

[27] cfr. Tar Lazio, sez. II, n. 4945/2019 che richiama Cons. Stato, sez. V, n. 3079/2014.

[28] Che, secondo un recente Consiglio di Stato qui più volte richiamato, non necessariamente andrebbero identificati «nei “concorrenti”, salvo che non sia previsto come al comma 6» (si v. Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).

[29]  Come più volte chiarito dal Supremo Consesso amministrativo, la titolarità di un interesse differenziato e qualificato legittimante l’accesso ordinario deve necessariamente sussistere ante istanza oltre ad essere posto alla base della motivazione della stessa.

[30] Il riferimento è all’inciso contenuto in apertura del co. 5 della norma sopra citata.

[31] Trattasi delle fattispecie meglio dettagliate alle lettere b), c) e d), di cui al comma 5 della disposizione in parola e riferentesi, rispettivamente, ai pareri legali preordinati alla difesa in giudizio e riguardanti una lite potenziale o in atto (lett. b), di cui si dirà avanti; le relazioni del direttore dei lavori e del collaudatore (lett. c), costituenti come noto strumento di tutela degli interessi dell’Amministrazione nell’eventuale contenzioso che l’appaltatore intenda istaurare per il riconoscimento delle riserve e per il pagamento dell’opera (cfr. A.P. n. 11/07) ed infine le soluzioni tecniche ed i programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da privativa intellettuale (lett. d).

[32] Tale è l’ipotesi sancita alla lettera a), di diretta attuazione dell’art. 24, comma 6, lett. d) e del comma 7, primo periodo, l. n. 241/90 e riferibile ai casi di divulgazione di informazioni che costituiscano segreti tecnici o commerciali e che sarà oggetto di dettagliata e approfondita trattazione più avanti.

[33] Così, Consiglio di Stato, sez. III, 26.10.2018 n. 6083 consultabile sul sito giustizia-amministrativa.

[34] Sul carattere relativo del divieto di accesso nella ipotesi de qua, si veda per tutte il recente Consiglio di Stato, Sez. V. n. 64 del 7 gennaio 2020.

[35] Si v. Consiglio di Stato, A.P., sent. 25 settembre 2020, n. 21.

[36] Diversamente dalla fattispecie c.d. “partecipativa”, l’istituto dell’accesso difensivo è giurisdizionalmente tutelato attraverso la specifica azione di cui all’art. 116 c.p.a.. Per un più ampio spunto di riflessione sul tema dell’accesso difensivo e relative differenze con quello partecipativo si rinvia a A. DE SIANO e F. LOMBARDI, Riflessioni brevi sulla perdurante vitalità del diritto d’accesso documentale alla luce del suo rapporto con il potere istruttorio del G.O. consultabile sul sito della Rivista amministrativamente, III, 2020, pp. 266 e ss.

[37] In questo senso, si vedano, tra le altre, Cons. Stato, sez. V, nn. 3953/2018 e 4813/2017 e prima ancora la n. 6121, “antenata” delle prime due e risalente al 2008.

[38] Rispondente, come prima accennato, alla logica di «non appiattire l’istituto dell’accesso amministrativo sulla sola prospettiva della partecipazione, dell’imparzialità e della trasparenza» cfr. Cons. di St.,cit., 2020/21.

[39] La questione del mancato coordinamento tra le diverse tipologie di accesso è emersa con particolare forza tanto da sollevare un conflitto giurisprudenziale in merito all’applicabilità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato alla materia degli appalti pubblici. Sul punto, si v. tra gli altri INGNEGNATTI S., Accesso civico generalizzato e appalti pubblici: il punto della Plenaria in giurisprudenza italiana, 2021, pp. 158 e ss.

[40] Valutazione che trae spunto dal ragionamento seguito dal citato Cds n. 21 del 25 settembre 2020, punto 9.1.

[41] Cfr. Cons. St., A.P., 18 marzo 2021, n. 4 con commento a cura di E. PAPPONETTI, Il diritto di accesso c.d. “difensivo” ai sensi dell’art. 24, comma 7, l. n. 241 del 1990 presuppone il “collegamento” tra la “situazione legittimante l’accesso” ed il “documento” al quale è chiesto l’accesso in Appalti&Contratti, 22 aprile 2021.

[42] Il riferimento è a Cons. di St., A.P., 25 settembre 2020, n. 19 – Pres. Patroni Griffi, Est. Lageder, che, sul punto, ha espresso conclusivamente il principio di diritto che di seguito si ripropone: «l’accesso documentale difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti ammnistrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc civ». La pronuncia de qua è da leggersi congiuntamente alle coeve e conformi sentenze nn. 20 e 21.

[43] Cfr. Cons. di St., A.P. 4/2021, cit., punto 11.

[44] Id., punto 11.3.

[45]  Ove il concetto di “corrispondenza” vale a circoscrivere «esattamente l’interesse all’accesso agli atti in senso “corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata”», così, A.P. 4/2021, citata, punto 17.

[46] Espresso dalle sentenze della sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444, e della sez. IV, 29 gennaio 2014 n. 461.

[47] In tal senso, vedasi in particolare il Cons. di St., sent. n. 461/2014, citata, dal cui tessuto argomentativo può chiaramente desumersi la conclusione per cui la legge «non richiede per l’ostensibilità del documento la pendenza di un giudizio, o la dichiarazione di volerlo proporre, né a fortiori autorizza valutazioni in ordine alla concreta utilità del documento rispetto alle ragioni difensive dell’istante, non foss’altro perché spesso è la stessa amministrazione ad essere indicata quale responsabile della lesione della posizione giuridica che l’istante vuol tutelare, sicché lasciare all’amministrazione il sindacato sull’utilità ed efficacia del documento in ordine all’esito della causa, significherebbe dare ad una parte del giudizio il dominio della causa».

[48] cfr. Cons. St. Sez. IV, 14.5.2014, n. 2472 e Sez. VI, 15.3.2013, n. 1568.

[49] Una per tutte, Cons. di St., A.P., N. 20/2020.

[50] Esigenza che pare trovare riscontro, sul piano procedimentale, nel successivo art. 25, comma 2, della l. n. 241 del 1990, ai sensi del quale «la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata».

[51] Mutatis mutandis, Cons. St., A.P., 18 marzo 2021, n. 4, punto 18.2.

[52] T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 02/02/2021, n. 307.

[53] Il caso pratico, illustrato a scopo puramente esemplificativo e chiarificatore delle statuizioni del Collegio, trae abbrivio dal piuttosto recente Cons. Stato, citato, n. 6083/2018. In tale vicenda, le censure formulate dal richiedente l’accesso, avendo questi impugnato l’esito della gara, quand’anche accolte e seguite dalla eventuale assegnazione dell’ulteriore e agognato punteggio, non gli avrebbero egualmente consentito di conseguire il primo posto in graduatoria.

[54] Così, Consiglio di Stato, sez. V, 10.03.2021 n. 2050.

[55] Consiglio di Stato, sez. V, 07.01.2020 n. 64, punto 2.5.

[56] Consiglio di Stato, sez. III, 13.07.2021 n. 5286.

[57] In particolare, con espresso riferimento alla esigenza di tutelare la conoscenza di procedimenti tecnici particolari, il Consiglio di Stato, nella sentenza 6083, cit., mette in evidenza che la suddetta inversione probatoria finirebbe per accollare a carico dell’operatore controinteressato l’onere di fornire spiegazioni sui dettagli della relativa offerta tecnica così da minare la prospettata necessaria riservatezza nei confronti delle imprese concorrenti del settore in merito ad informazioni che costituiscono i c.d. segreti di produzione.

[58] Consiglio di Stato, sez. V, 01.07.2020 n. 4220, punti 7.5 e 7.6.

[59] Atteso che le ragioni a corredo della sua opposizione si trovano nella sua totale e unica disponibilità.

[60] Sul tema della discrezionalità amministrativa si segnala a il contributo offerto da V. MIRRA, op. cit., pp. 175 e ss..

[61] In questo senso, Consiglio di Stato, n. 2050, citato, punto 4.2.

[62] Cfr. art. 53. comma 5°, lett. b), che riprende la medesima previsione contenuta all’art. 13, comma 5°, lett. c) del vecchio codice del 2006.

[63] In questo senso, si bv. Cons. St., sez. V, 5 maggio 2016, n. 1761; id., sez. VI, 13 ottobre 2003, n. 6200.

[64] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2004 n. 2163; Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2003 n. 6200; Cons. St., ord., sez. VI, 24 agosto 2011, n. 4798.

Dott. Gianpiero Gaudiosi

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