Norme di riferimento:
Legge n. 6 del 9 gennaio 2004
Art. 774 cod. civ.
Art. 411, 4. comma 4, cod. civ.
Artt. 2 e 3 della Costituzione
Riferimenti giurisprudenziali:
Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 22602 del 27 settembre 2017
Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 11536 del 11 maggio 2017
Corte Costituzionale, sentenza n. 440 del 30 novembre 2005
Con la pronuncia in esame, è stata attuata una piccola rivoluzione all’interno dell’istituto dell’amministrazione di sostegno. Il giudice delle leggi ha di fatto statuito come il beneficiario di amministrazione di sostegno conservi la capacità di donare, a meno che il giudice tutelare non lo abbia privato di tale capacità nel Decreto di nomina dell’Amministrazione in base ad un’analisi che tragga origine dal caso concreto.
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Il fatto e la questione di legittimità costituzionale dell’art. 774 del Codice Civile
Prima di apprezzare le considerazioni in diritto portate avanti dai giudici di Palazzo della Consulta è conveniente ricostruire brevemente gli elementi fattuali matrice della pronuncia.
Il giudice tutelare sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 774 del Codice Civile. Nel caso di specie, un amministratore di sostegno aveva richiesto un’autorizzazione per donare una somma, con la forte convinzione del beneficiario, manifestata più volte e con la completa disponibilità da parte del Giudice tutelare, il quale sollevava che nel Codice Civile non esistono norme ad hoc sul tema della donazione ad opera del beneficiario di Amministrazione di sostegno. Il giudice tutelare ricorda come per inquadrare il problema dell’art. 774 Codice Civile, che vieta di far donazione a coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni, occorra risolvere prima il problema se i beneficiari dell’amministrazione di sostegno abbiano una piena capacità di disporre dei propri beni ai sensi del primo comma della medesima norma. Perché se è vero – in base anche al tenore letterale dell’art. 1 della Legge n. 6 del 9 gennaio 2004 che istituisce l’Amministrazione di sostegno – che le norme sull’Amministrazione abbiano come fine ultimo la tutela, con la minor limitazione possibile della capacità di agire, di persone prive in tutto od in parte di autonomia, è vero anche che, eccetto quelle attività stabilite dal giudice e che richiedono assistenza, il beneficiario conserva la propria capacità d’agire e che per la sola apertura della misura stessa lo stesso subisca una deminutio della stessa capacità. Secondo il rimettente, soluzione più idonea sarebbe «tratteggiare l’assistenza in termini di compartecipazione dell’amministrazione di sostegno al compimento di negozi giuridici apprezzabili nella loro essenza ed esistenza, ed altrimenti invalidi», così come stabilito dall’art. 412 del Codice Civile. In buona sostanza, in base al giudice tutelare rimettente, all’apertura di un’Amministrazione di sostegno consegue una privazione della capacità d’agire, con la conseguente necessità di prevedere l’autorizzazione giudiziale al compimento di atti di straordinaria amministrazione.
La non previsione della capacità di fare donazione nell’art. 774 del Codice Civile contrasterebbe quindi con gli artt. 2 e 3 della Costituzione che richiamano, rispettivamente, il rispetto della dignità e del valore della persona e il diritto che la Repubblica rimuova ogni ostacolo di ordine sociale che impedisca il pieno sviluppo della persona, in questo in condizioni di disabilità ed infermità.
L’istituto dell’Amministrazione di sostegno come istituto a sé stante e profondamente diverso dagli istituti dell’inabilitazione ed interdizione: gli indirizzi giurisprudenziali più rilevanti
La Corte Costituzionale ritiene non fondate le questioni opposte dal rimettente. In primo luogo, sottolinea come il presupposto che il divieto di donazione stabilito dalla norma sia riferito ai beneficiari di amministrazione di sostegno è errato, in quanto il tenore letterale della norma è palese e riguarda chi non può disporre dei propri beni e quindi interdetti, inabilitati e minori. Inoltre è lo stesso Codice Civile, all’art. 775 primo comma, a permettere al donante, eredi od aventi causa di chiedere l’annullamento della donazione se fatta da persona che, sebbene non interdetta, si sia trovata in momentanea incapacità di intendere e di volere.
Tuttavia, rilevano i giudici di Palazzo della Consulta, è pur vero che l’innovativo istituto dell’Amministrazione di sostegno, sin dall’alba del suo inserimento all’interno del Codice Civile, abbia trovato difficoltà nel coordinarsi all’interno della disciplina codicistica e, nella fattispecie, all’interno delle disposizioni in tema di atti personalissimi come donazioni, testamenti e matrimoni. Ciononostante, è pacifico all’interno del panorama giurisprudenziale che vi siano tratti profondamente distintivi rispetto agli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione. Il riferimento è alla sentenza della stessa Corte n. 440 del 2005 la quale ha statuito che il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, contrariamente a quanto accade per il provvedimento di interdizione ed inabilitazione, non determina uno status di incapacità della persona dal quale discendono limiti tipici di questi due istituti. Anzi, come rilevato dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 22602 del 27 settembre 2017, l’Amministrazione di sostegno protegge la persona affetta da una disabilità di qualunque tipo e con una possibilità di modulazione ed adattamento in base al caso concreto, stato personale e circostanze di vita di ciascun individuo e che ha come scopo ultimo salvaguardare la capacità di autodeterminazione dello stesso (ex multis Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza n. 11536 11 maggio 2017). I giudici di Palazzo della Consulta tratteggiando la norma sull’Amministrazione di sostegno come un grande passo in avanti rispetto alla situazione antecedente all’avvento della stessa, quando l’Ordinamento era solito distinguere solamente tra soggetti capaci ed incapaci.
L’Amministrazione di sostegno come istituto profondamente elastico e garante di ampi margini di libertà di autodeterminazione in capo all’individuo
Poste tali premesse, la Corte Costituzionale, nel precisare che l’Amministrazione di sostegno è un istituto fortemente elastico e perfettamente disegnato in base alle esigenze dei casi sottoposti al vaglio del giudice tutelare e nel precisare che con esso vengono valorizzate tutte quelle capacità che non sono affette da disabilità fisica o psichica, conferma che tutto ciò che non compete all’Amministratore sulla base di quanto disposto nel Decreto di nomina, resta nella piena disponibilità del beneficiario. Invero già la Corte di Cassazione – Sezione prima civile, sent. n. 25366 del 2006 – aveva statuito come la disciplina dell’Amministrazione «delinea una generale capacità di agire del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, con esclusione di quei soli atti espressamente menzionati nel decreto con il quale viene istituita l’amministrazione medesima». Risulta evidente, pertanto, come il giudice tutelare si limita a individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’interventobin quanto scopo dell’istituto e del giudice, in questo caso, non è l’accertamento dell’incapacità di agire quanto dell’individuazione di strumenti che, appunto, sostengano solo determinate categorie di atti tassativamente indicate.
In virtù di tale ricostruzione ermeneutica, la Corte Costituzionale esclude che il beneficiario di Amministrazione di sostegno abbia aprioristicamente preclusa la capacità di donare salvo che il giudice tutelare, anche d’ufficio, ritenga di limitarla applicando in via estensiva le disposizioni relative all’interdetto ed all’inabilitato. Tale ricostruzione, peraltro, risulta perfettamente coerente con il principio personalista sancito dall’art. 2 della Costituzione, che tutela la persona non solo nella sua dimensione individuale ma anche nell’ambito dei rapporti in cui sviluppa la sua personalità. E comprimere senza alcuna necessità verificata la libertà di donare gratuitamente ciò che appartiene rappresenterebbe un ostacolo irragionevole allo sviluppo della sua personalità, andando in contrasto quindi sia con l’art. 2 ma anche con l’art. 3 della Costituzione, potendo essere annoverata la condizione di disabilità tra le condizioni personali a prescindere dalle quali viene garantito il principio di uguaglianza.
Alla luce di tali principi, posti a fondamento dell’intero impianto della Costituzione italiana, deve escludersi che la persona beneficiaria di amministrazione di sostegno possa essere privata della capacità di donare fuori dai casi espressamente stabiliti dal giudice tutelare ai sensi dell’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ, restando tale capacità integra in mancanza di diversa espressa indicazione.
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