Dopo trent’anni la “Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie” attende ancora di essere ratificata dai Paesi dell’UE

1. Introduzione

I fenomeni migratori hanno assunto sempre più rilievo negli ultimi decenni per l’Italia e per l’Unione Europea. Si tratta di fenomeni molto complessi che vanno analizzati da più punti di vista e che hanno ricadute inevitabili sull’economia, la tenuta sociale, il mondo del lavoro e anche la politica e la cultura dei singoli Stati.

Di recente, con il Nuovo Patto Europeo su Migrazione e Asilo presentato lo scorso 23 settembre dalla Commissione Europea e con il Decreto approvato dal Consigli dei Ministri italiano lo scorso 5 ottobre in riforma dei cosiddetti “Decreti sicurezza”, sono state annunciate novità nel campo del diritto dell’immigrazione.

In attesa che queste novità diventino effettive, può essere utile confrontarsi con quanto invece stabilito sin dal 1990 nella Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Una Convenzione che a distanza di trent’anni è stata firmata e ratificata solamente da 55 Paesi e, soprattutto, non è stata ratificata da nessuno degli Stati membri dell’UE.  Tutto questo non è affatto casuale ma piuttosto è da attribuire al fatto che proprio nel mondo del lavoro si registrano i più ampi conflitti tra lavoratori “autoctoni” e lavoratori stranieri con evidenti ricadute anche sul rispetto dei diritti umani.

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2. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

L’idea di una legislazione internazionale sul lavoro cominciò ad affermarsi con la grande fase di industrializzazione che investì l’Europa negli ultimi decenni del XIX secolo. Con lo sviluppo industriale e l’aumento dei flussi migratori apparve sempre più necessario istituire forme di coordinamento che permettessero di estendere ai migranti i diritti garantiti ai lavoratori nazionali.

Nel 1919, alla fine del primo conflitto mondiale, le Nazioni Unite decidono di dar vita all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), partendo dall’idea semplice che “una pace universale e durevole può essere fondata soltanto sulla giustizia sociale”[1] .

Con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro le Nazioni Unite si occupano di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne. Sin da subito, l’OIL avviò anche una importante opera di raccolta ed elaborazione di dati sui temi sociali e del lavoro, oltre a promuovere l’approvazione di 33 convenzioni tra il 1919 e il 1932.

L’azione dell’OIL è stata nel corso degli anni influenzata dalle contingenti vicende storiche (guerra mondiale, guerra fredda, distensione, ecc). Negli ultimi decenni, però, l’OIL ha ritrovato nuovo vigore mettendo in evidenza la stretta relazione esistente tra occupazione, protezione sociale, dialogo sociale e diritti nel lavoro, ma soprattutto intervenendo per una maggiore tutela della libertà di associazione e per l’effettivo riconoscimento del diritto di contrattazione collettiva.

Libertà sindacale, diritto di associazione sindacale, non mercificazione del lavoro, divieto di discriminazione e lavoro minorile, parità di trattamento e di opportunità sono tutti ambiti nei quali è intervenuto l’OIL promuovendo l’approvazione di Convenzioni specifiche.

3. Genesi della Convenzione.

Con l’intento di rafforzare i risultati raggiunti dall’OIL e a seguito dell’adozione della Risoluzione n. 34/172 da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, venne istituito – nel 1980 – un gruppo di lavoro formato da rappresentanti degli Stati membri dell’Onu e di varie organizzazioni internazionali con il fine di redigere una Convenzione che tutelasse in modo onnicomprensivo i diritti e la dignità dei lavoratori migranti. I lavori durarono nove anni e la bozza venne completata nel giugno del 1990. Successivamente, nello stesso mese di dicembre del 1980, la Convenzione venne adottata dall’Assemblea generale per “consensus” ovvero senza una votazione formale in assenza di obiezioni o manifestazioni di contrarietà da parte degli Stati.

La Convenzione costituisce un trattato internazionale globale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti. Con essa viene rafforzato il rapporto tra migrazione e diritti umani che ormai è divenuto un tema politico cruciale in tutto il Mondo. Con essa si mira a proteggere i lavoratori migranti e le loro famiglie stimolando anche la promozione dei diritti dei migranti nei singoli Stati. Ecco perché la mancata ratifica da parte degli Stati è un segnale negativo.

Se, da un lato, nel Preambolo della Convenzione vengono richiamati, tra le altre, alcune convenzioni già approvate dall’ Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), ovvero: 1) la Convenzione sui lavoratori migranti del 1949; 2) la Convenzione sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti del 1975; 3) la Convenzione sul lavoro forzato e obbligatorio del 1930; 4) la Convenzione per l’abolizione del lavoro forzato del 1975. Per altro verso, compie un passo in avanti nel considerare i migranti non solo come lavoratori ma soprattutto come esseri umani.

Un’interessante novità è data dall’attenzione mostrata nei confronti dei lavoratori migranti costretti a lavorare in condizioni di irregolarità. Sono questi infatti i soggetti più vulnerabili rispetto ai quali si tenta di apprestare una tutela effettiva. Se infatti, in generale, i diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie sono spesso messi in discussione negli Stati in cui vengono a lavorare, è però vero che i soggetti più esposti sono appunto quelli costretti a lavorare in condizioni di irregolarità. E’ rispetto a questi soggetti che si possono registrare le violazioni più gravi e che si ritiene pertanto di dover intervenire, innanzitutto per prevenire e eliminare i movimenti clandestini nonché il traffico di lavoratori migranti, ma anche apprestando un’adeguata tutela dei lavoratori migranti perché sicuramente l’impiego di “manodopera irregolare” può essere scoraggiato dal riconoscimento diffuso e generale dei diritti dei lavoratori migranti senza alcuna distinzione.

4. La Convenzione: struttura e contenuto.

La Convenzione si compone di 93 articoli e oltre al Preambolo si divide in nove parti distinte:

I. Campo di applicazione e definizioni.

II. Non discriminazione rispetto ai diritti.

III. Diritti umani di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie

IV. Altri diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie in      possesso di documentazione o in situazione regolare.

V. Misure applicabili a particolari categorie di lavoratori migranti e ai membri        delle   loro famiglie.

VI. Promozione di condizione giuste, eque, umane e legali in connessione   all’emigrazione internazionale di lavoratori e dei membri delle loro famiglie.

VII. Applicazione della Convenzione

VIII. Disposizioni generali.

IX. Disposizioni finali.

Il contenuto della Convenzione è particolarmente articolato e ricco, numerosi sono infatti i diritti che vengono riconosciuti e un’analisi delle singole disposizioni rischierebbe di diventare pedante. E’ opportuno però, almeno per sommi capi, soffermarsi su alcuni punti più interessanti e significativi almeno rispetto al discorso che si sta sviluppando.

La Convenzione è applicabile a tutti i lavoratori migranti e ai membri delle loro famiglie senza alcuna distinzione rispetto a sesso, razza, colore, lingua, religione o convinzioni, opinione politica o di altro tipo, origine nazionale, etnica o sociale, nazionalità, età, condizione economica, proprietà, stato civile, nascita o altro stato giuridico. “La presente Convenzione deve essere applicata durante l’intero processo migratorio dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, che comprende la preparazione all’emigrazione, la partenza, il transito e l’intero periodo di soggiorno, nonché il ritorno nello Stato di origine o nello Stato di residenza abituale” (art. 1).

Per lavoratore migrante si intende “una persona che sarà occupata, è occupata o è stata occupata in una attività remunerata in uno Stato del quale non è cittadino”. Rientrano inoltre in questa categoria: i lavoratori frontalieri, i lavoratori stagionali, i marittimi, “i lavoratori su una piattaforma a largo”, i lavoratori itineranti, i lavoratori a progetto, i lavoratori con un’occupazione determinata, i lavoratori autonomi.

Con il termine membro della famiglia si fa invece riferimento a persone sposate con lavoratori migranti o “che hanno con essi una relazione che, secondo la legge in materia produce effetti equivalenti al matrimonio”, nonché i loro figli a carico e altre persone, sempre a carico, che sono riconosciute dalla legislazione degli Stati interessati (art. 4).

Ancora.

L’art. 5 prevede che le disposizioni della Convenzione si riferiscono non solo ai lavoratori migranti in possesso di regolare documentazione o regolarmente autorizzati a entrare e soggiornare di arrivo; ma anche coloro che sono privi di regolare documentazione o in condizione irregolare. In altre parole, le tutele previste mirano a tutelare anche i lavoratori migranti irregolari.

La Parte Terza della Convenzione contiene un’elencazione dettagliata dei diritti che vengono riconosciuti in capo ai lavoratori migranti e ai membri della loro famiglia: diritto alla vita (art. 9), a non essere sottoposto a tortura o trattamenti inumani (art. 10), a non essere tenuto in schiavitù (art. 11), alla liberà di pensiero, coscienza e religione (art. 12), alla  propria opinione senza alcuna interferenza (art. 13), a non subire interferenze arbitrarie o illegali alla vita privata (art. 14), a non essere privato della proprietà (art. 15), a non essere compromessi nella libertà e nella sicurezza personale (art. 16). E ancora: il diritto all’uguaglianza tra lavoratori migranti e cittadini nazionali dello Stato interessato (art. 18), il diritto di uguaglianza davanti alla legge penale (art. 19), il diritto a non potere essere sottoposti a provvedimento di espulsione collettiva (art. 22).

Come è facile notare, non si tratta affatto di diritti nuovi in quanto trovano riconoscimento già in altre Convenzioni internazionale e da parte delle legislazioni dei singoli Paesi, eppure la Convenzione rappresenta un passo avanti rispetto a quanto già oggetto di tutela in quanto riconosce che non vi debba essere alcuna distinzione tra lavoratore migrante regolare e lavoratore migrante irregolare e che, anzi, quest’ultimo, in quanto soggetto più debole e più esposto debba avere maggiore attenzione e protezione.

La Parte IV della Convenzione invece è specificamente dedicata ai lavoratori migranti regolari per i quali vengono riconosciuti come diritti ulteriori quello di essere informati dallo Stato di origine o da quello di arrivo su tutte le condizioni applicabili alla loro ammissione e in particolare sulle regole relative al soggiorno e al lavoro (art. 37); o la libertà di movimento nel territorio dello Stato di arrivo (art. 39) o il diritto di fare parte di associazioni  e sindacati (art. 40), nonché i diritto di partecipare agli affari pubblici dello Stato di origine e di votare (art. 41), o ancora il diritto di uguaglianza di trattamento con i cittadini nazionali dello Stato di arrivo rispetto all’accesso ai servizi educativi, al collocamento, alla formazione, ai servizi abitativi, etc (art. 43). L’art. 44 invece  riconosce il ruolo fondamentale della famiglia nella società e si impegnano gli Stati parte ad assumere adeguate misure per garantire la salvaguardia dell’unità delle famiglie dei lavoratori migranti.

La Parte V della Convenzione infine si rivolge a particolari categorie di lavoratori migranti regolari e in particolare ai lavoratori frontalieri, agli stagionali, agli itineranti, ai lavoratori a progetto, ai lavoratori autonomi. Con particolare riferimento ai lavoratori stagionali, la Convenzione invita gli Stati parte a studiare forme di inserimento di lungo periodo per quei lavoratori stagionali che già si trovano sul territorio di uno Stato da lungo periodo e prestano attività lavorativa regolare anche se per brevi periodi all’anno.

5. La Convenzione: la collaborazione tra gli Stati.

Importanti sono le disposizioni contenute nella Parte VI (artt. 64 – 71) con le quali si dispone che gli Stati Parti alla Convenzione devono disporre di appropriati servizi per affrontare le questioni inerenti la migrazione internazionale di lavoratori e dei membri delle loro famiglie. In particolare sono previste le seguenti funzioni: a) la formulazione e attuazione di politiche relative all’immigrazione; b) lo scambio di informazioni e, attività di consultazione e collaborazione con le competenti autorità degli altri Stati Parti coinvolti nella migrazione; c) la fornitura di appropriate informazioni, in particolare ai datori di lavoro, ai lavoratori e alle organizzazioni, circa le politiche, le leggi e  i regolamenti relativi alle migrazioni e all’occupazione, gli accordi conclusi con gli altri Stati interessati dal fenomeno migratorio e su altre questioni connesse; d) la fornitura di informazioni e di adeguata assistenza ai lavoratori migranti e ai membri delle loro famiglie in relazione alle autorizzazioni e alle formalità richieste e alle disposizioni per la partenza, il viaggio, l’arrivo, il soggiorno, le attività remunerate, l’uscita e il rientro, oltre che sulle condizioni di lavoro e di vita nello Stato.

Accanto alla tutela dei diritti del lavoratore, la Convenzione si occupa anche della gestione delle migrazioni e della prevenzione ed eliminazione del traffico illegale di lavoratori migranti. Così si stabilisce che gli Stati parte devono collaborare al fine di prevenire ed eliminare movimenti illegali o clandestini, nonché l’occupazione di lavoratori migranti in situazione irregolare. In particolare, agli Stati è richiesto un impegno affinché siano adottare le misure adeguate ed efficaci per eliminare l’occupazione di lavoratori migranti in situazione irregolare.

L’art. 67 nello specifico prevede che “gli Stati Parti alla Convenzione collaborano opportunamente nell’adottare misure che riguardano il regolare ritorno dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie allo Stato di origine, quando decidono di ritornare o quando il loro permesso di residenza o di lavoro scade o, ancora, quando si trovano nello Stato di arrivo in situazione irregolare”.

Per quanto riguarda specificamente i lavoratori irregolari si prevede un obbligo di collaborazione tra gli Stati Parti alla Convenzione al fine di prevenire ed eliminare movimenti illegali clandestini, nonché l’occupazione di migranti in situazione irregolare (art. 68).

6. La Convenzione: il Comitato per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.

La parte VII della Convenzione istituisce il Comitato per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie al fine di sottoporre a controllo l’applicazione della stessa.

Il Comitato è composto da 14 esperti di alta reputazione morale, imparzialità e riconosciuta competenza nel campo.

I membri del Comitato sono eletti con voto segreto dagli Stati Parti per un periodo di quattro anni.

Gli Stati che sottoscrivono la Convenzione devono inviare al Segretario Generale delle Nazioni Unite un rapporto sulle misure legislative, giudiziarie, amministrative e di altro tipo adottate per dare effetto alle disposizioni della Convenzione entro un anno dalla entrata in vigore e, poi, ogni cinque anni o ogniqualvolta venga richiesto dal Comitato.

Il Comitato esamina i rapporti presentati da ogni singolo Stato e trasmette le sue considerazioni allo Stato Parte.

Il Comitato, inoltre, presenta un rapporto annuale all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull’attuazione della Convenzione.

 

7. Conclusioni

Dall’analisi effettuata si evince la portata innovativa della Convenzione che forse è anche la ragione principale della sua mancata ratifica da parte degli Stati dell’Unione Europea. Questi Stati appaiono generalmente restii a firmare e ratificare il testo della Convenzione in quanto la regolarizzazione e la protezione dei lavoratori migranti non è vissuta come una priorità da parte dei Governi. D’altra parte, entrare a far parte della Convenzione per gli Stati produce degli obblighi che devono essere rispettati. In primis, l’obbligo di presentare ogni 5 anni un report sulla situazione nel Paese alla Commissione sui lavoratori migranti.

Nonostante la maggior parte dei diritti riconosciuti e garantiti dalla Convenzione sia recepiti già dalla legislazione interna di molti di questi Paesi, le resistenze interne sono fortissime.  Il clima politico degli ultimi decenni ha poi sicuramente peggiorato al situazione determinando ancora di più questa volontà di non procedere alla firma e ratifica della Convenzione.

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[1] Preambolo della Costituzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

Arturo Raffaele Covella

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