La recente normativa emergenziale da COVID-19 e, in particolare, il Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34) hanno interessato anche il delicato tema dei dottorati di ricerca e dei loro termini di conclusione, alla luce della evidente difficoltà – per gli studenti di dottorato – di assicurare la piena ed effettiva prosecuzione delle proprie attività formative e di ricerca nella cornice della grave crisi sanitaria in atto.
In questa sede ci limiteremo all’analisi di alcuni profili interpretativi dell’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio”, con particolare riguardo alla situazione di quei dottorandi di ricerca senza borsa che, essendo dipendenti pubblici, godano del particolare congedo straordinario con assegni previsto dalla L. 448/2001.
I dipendenti pubblici dottorandi non borsisti e il congedo straordinario introdotto dall’art. 52 della legge 448/2001 nell’art. 2 della L. 13 agosto 1984, n. 476
Va premesso che, ai sensi del Decreto Ministeriale 8 febbraio 2013 n. 45 e della disciplina in materia di ordinamento accademico, l’ammissione ai corsi di dottorato di ricerca può avvenire con o senza borsa di studio. Nel secondo caso, il dottorando non percepisce alcuna forma di sostentamento economico, pur gravato dei medesimi obblighi dei colleghi titolari di borsa.
Nella vasta platea dei dottorandi non borsisti rientrano anche un certo numero di dipendenti pubblici, che hanno optato per un percorso di alta formazione accademica a completamento del proprio percorso di studi.
La legge 28 dicembre 2001 n. 448, allo scopo di valorizzare la partecipazione dei dipendenti pubblici ai corsi di dottorato, ha novellato l’articolo 2 della Legge 13 agosto 1984 che, in un primo momento, prevedeva per gli interessati il diritto a un congedo straordinario senza assegni. Il nuovo art. 2 per come integrato dall’art. 52 della legge 448/2001 prevede oggi che il pubblico dipendente ammesso al corso di dottorato senza borsa conservi il diritto al trattamento economico, previdenziale e di quiescenza già in godimento presso l’Amministrazione di appartenenza[1].
In collocamento in congedo – che in principio rappresentava un vero e proprio diritto per il dipendente – dall’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240[2] (il cui art. 19[3] ha innovato proprio il predetto art. 2), è invece sottoposto a una previa verifica di compatibilità con le esigenze dell’Amministrazione e il relativo rilascio è quindi assoggettato a un fisiologico tasso di discrezionalità.
Il successivo art. 5 del D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119 ha infine previsto la necessità per il dipendente pubblico – al fine di conservare il trattamento fruito nel periodo di congedo – di proseguire il rapporto alle dipendenze dell’Amministrazione per almeno un ulteriore biennio.
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Le ragioni del congedo straordinario con godimento del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza
Nel prevedere il mantenimento del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza per l’intero periodo di congedo straordinario, le norme richiamate intendono garantire ai pubblici dipendenti interessati all’alta formazione del dottorato adeguati mezzi di sostentamento economico nell’arco temporale del dottorato di ricerca.
Ciò sulla base di almeno due motivi.
Anzitutto, per una ragione di ordine meramente pratico: il dottorato di ricerca sarebbe altrimenti per il dipendente pubblico una scelta formativa antieconomica e dispendiosa. Il dipendente pubblico ammesso al corso di dottorato senza borsa, pur tenuto ai medesimi impegni del borsista, non riceverebbe – per la durata del dottorato – alcun sostegno economico diretto né indiretto, essendo per di più tenuto nella maggior parte dei casi alla corresponsione di contributi di iscrizione. Una seconda ragione si radica nell’evidente consapevolezza che il conseguimento del titolo non rappresenti una esclusiva utilità del singolo interessato, ma comporti un significativo giovamento riflesso anche per l’Amministrazione di appartenenza, arricchendo il livello di formazione dell’apparato pubblico. Sicché il periodo di formazione nel dottorato rappresenta – pur in via del tutto indiretta – una forma di servizio nell’interesse dell’Amministrazione, in quanto accresce professionalità e cultura. Una tale consapevolezza non si esaurisce nelle sole norme ma è riemersa più di recente in molteplici interventi riformatori dell’Amministrazione, non ultima la riforma Madia[4] che ha notevolmente valorizzato il dottorato di ricerca come titolo di accesso, preferenza e valutazione nei pubblici concorsi.
I riflessi dell’emergenza sulle attività dei dottorandi di ricerca
Svolte queste premesse, nell’economia della presente brevissima indagine, si vuol soffermare l’attenzione su un particolare aspetto della normativa emergenziale da COVID-19, che di recente ha interessato direttamente i dottorandi italiani e, in particolare, i predetti dottorandi non borsisti in congedo straordinario ai sensi dell’art. 2 cit, per come riformato all’esito dei molteplici interventi normativi sinteticamente richiamati nelle premesse.
Come noto, a seguito delle misure emergenziali previste a livello nazionale per limitare il pericolo di contagi nella cornice della difficile crisi epidemiologica da COVID-19, molteplici attività umane sono state significativamente limitate (prime tra tutti gli spostamenti).
Sono stati significativamente limitati anche molti servizi fondamentali, alcuni dei quali di assoluto rilievo per la prosecuzione delle attività di ricerca dei dottorandi (funzionalità dei centri di ricerca, delle biblioteche pubbliche e private, dei laboratori, delle attività imprenditoriali e commerciali). Inoltre, il divieto di spostamenti e la limitazione degli accessi a determinate strutture ha anche precluso lo svolgimento di attività di ricerca sul campo (interviste, raccolta dati).
Appare quindi evidente come la crisi epidemiologica e le conseguenti misure limitative della libertà personale abbiano pregiudicato il naturale evolversi delle attività di ricerca dei dottorandi, rendendo assai più gravoso condurre le proprie iniziative scientifiche, in particolare per quei dottorandi i cui corsi siano in esaurimento e che si addentrano quindi nella fase più delicata e complessa del proprio percorso, in corrispondenza del termine per la consegna della tesi (che rappresenta il prodotto finale dell’intero ciclo di studi).
La soluzione normativa e le sue criticità: l’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio” (D.L. 19 maggio 2020, n. 34)
Occorre ora vagliare quali opportunità e misure di sollievo siano offerte, a tal proposito, dalla normativa emergenziale oggi in vigore.
L’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio” (D.L. 19 maggio 2020, n. 34[5]), al fine di garantire un congruo prolungamento del corso a vantaggio dei dottorandi “in scadenza” interessati dall’emergenza, ha previsto: «I dottorandi titolari di borse di studio ai sensi del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’Università e della ricerca 8 febbraio 2013 n. 45, e dell’articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n.210, che terminano il percorso di dottorato nell’anno accademico 2019/2020, possono presentare richiesta di proroga, non superiore a due mesi, del termine finale del corso, con conseguente erogazione della borsa di studio per il periodo corrispondente.».
La norma, con formulazione non certo perspicua, sembrerebbe a prima lettura riferirsi ai soli dottorandi borsisti che esauriscano il proprio percorso accademico nell’anno in corso, prevedendo che – qualora richiedano la proroga del termine finale del corso – questa debba essere necessariamente concessa, con automatica erogazione della borsa di studio per il periodo corrispondente.
L’incerta sorte dei dottorandi non borsisti nelle maglie della norma
I dottorandi non borsisti non sono invece espressamente menzionati nella norma e della loro sorte giuridica nelle complesse spire della normativa emergenziale si è temuto potersi dubitare.
Pur premettendo che, per certi aspetti, la norma pocanzi richiamata appare carente e richiederebbe – in sede di conversione – alcune reingegnerizzazioni strutturali e linguistiche che ne fughino potenziali dubbi ermeneutici, in ogni caso una interpretazione estensiva che involga anche i dottorandi non borsisti nella disciplina speciale dell’emergenza appare confortata da molteplici concorrenti ragioni.
Una interpretazione della norma ispirata a ragioni di senso pratico e di equità, a prescindere dal dato letterale più o meno perspicuo, imporrebbe di equiparare il trattamento di dottorandi borsisti e non borsisti, sul fondamentale assunto per cui entrambe le categorie sono state indistintamente interessate dal fenomeno COVID-19 quanto ad attività didattica e di ricerca.
L’opzionale supplemento bimestrale di tempo per completare il proprio percorso di studi appare quindi parimenti necessario per entrambe le categorie: una diversa lettura parrebbe foriera di una ingiustificata disparità di trattamento e, per di più, genererebbe una disorganicità inspiegabile nella gestione dei flussi di dottorandi in entrata e in uscita, ancorando una sub-categoria a un termine di conclusione piuttosto che a un altro sulla base di un dato non decisivo per l’efficienza della ricerca (la titolarità della borsa).
Non sembrano quindi esservi ragioni possibili per consentire un prolungamento delle attività di ricerca alla sola categoria dei dottorandi borsisti. Per questa ragione, parrebbe evidente che anche ai dottorandi non borsisti debba essere riconosciuto il diritto di richiedere – e ottenere automaticamente – il prolungamento del corso di dottorato, con proroga bimestrale del termine di conclusione.
La lettera dell’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio”
Potrebbe sostenersi che una tale lettura non trovi corrispondenza certa nel tenore testuale dell’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio” (D.L. 19 maggio 2020, n. 34).
L’obiezione incontra risposta in un rilievo di tecnica legislativa.
Il riferimento espresso ai soli dottorandi borsisti può essere spiegato considerando che il D.L. 19 maggio 2020, n. 34 contiene una normativa emergenziale di natura schiettamente economica e rivolge l’attenzione in via principale alla distribuzione delle risorse in questo momento di difficile crisi sanitaria nazionale, concentrandosi sullo stanziamento e sulla razionalizzazione dei fondi. Per il particolare caso dei dottorandi borsisti, il prolungamento della borsa di studio richiedeva quindi un intervento normativo diretto che individuasse i fondi necessari a coprire il maggiore esborso.
Su un tale rilievo sembrerebbe potersi escludere una tale interpretazione restrittiva, al di là del rigore del dato letterale, ai soli dottorandi borsisti, che non sarebbe giustificata per di più da alcuna ragione concreta e che porrebbe i dottorandi non borsisti – già economicamente meno garantiti dei colleghi borsisti – in una situazione deteriore.
Parrebbe quindi potersene concludere che anche i dottorandi non borsisti possano richiedere la proroga bimestrale del termine per la conclusione del dottorato.
Diversamente opinando, la norma solleverebbe concreti dubbi di costituzionalità, per prevenire i quali sarebbe comunque opportuno che il legislatore della conversione apporti oculate riperimetrazioni ai confini linguistici della sua formulazione.
Il congedo straordinario ex art. 2 della L. 13 agosto 1984, n. 476 per come modificato dall’art. 52 della legge 448/2001 nel caso di proroga del termine di conclusione del corso di dottorato
L’aspetto più delicato attiene, però, al congedo straordinario ex art. 52 L. 448/2001.
Accogliendo le prospettate ragioni che depongono per la possibilità di richiedere la proroga bimestrale anche da parte dei dottorandi non borsisti, resta da indagare in che modo la concessione della proroga influisca sul congedo straordinario in parola, ove già concesso per il triennio del dottorato.
Alcune ragioni logiche militano per l’estensione automatica dell’aspettativa anche per l’ulteriore bimestre così concesso in supplemento all’ordinario triennio.
La prima, più solida e più rilevante è di ordine letterale.
Avendo riguardo all’art. 2 della L. 13 agosto 1984, n. 476 che disciplina – appunto – il congedo straordinario in discorso, vi si prevede che il dipendente pubblico sia collocato in congedo «per il periodo di durata del corso» e che conservi il trattamento economico ove sia non borsista. Interpretativamente, non sembrano possibili dubbi sulla commisurazione della fruizione dell’aspettativa e del congedo alla durata effettiva del corso di dottorato.
In altri termini, la concessione del congedo non sembra avere una durata “di valuta”, numerica, obiettiva, predeterminata nella misura, statica, pari a un triennio, bensì “di valore”, plastica, ancorata al termine del corso di durata del dottorato medesimo.
Sicché ove il termine ultimo di questo corso sia differito – su richiesta – per l’effetto di una misura emergenziale dovuta a una crisi sanitaria, non sembra necessario precisare che l’aspettativa, anche ove già concessa, trasli diacronicamente per riallinearsi al nuovo termine di conclusione del corso di dottorato.
In altri termini, il bimestre di proroga dovrebbe essere considerato – quanto al congedo straordinario – privo di una specifica autonomia ontologica e rilevante esclusivamente ai fini di una mera rideterminazione dei termini dell’aspettativa originariamente concessa. Sembra meno persuasivo che tale bimestre debba essere oggetto di uno specifico procedimento di richiesta e concessione di apposito congedo. Semmai, l’Amministrazione – su istanza del dottorando non borsista che documenti di aver ottenuto la proroga bimestrale – provvede con atto ricognitivo a rideterminare lo spirare del periodo di congedo.
Automatismo e discrezionalità nell’erogazione del sostegno economico
Una terza ragione è riferita più specificamente alla norma di cui all’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio” (D.L. 19 maggio 2020, n. 34) e alla necessità di una sua applicazione uniforme. Tale previsione contempla per i dottorandi borsisti un riconoscimento automatico dell’erogazione della borsa nel caso del prolungamento del dottorato, sicché – per esigenze di parità di trattamento – non sembrerebbero esservi ragioni per negare ai corrispondenti dottorandi non borsisti l’erogazione dell’aspettativa supplementare in modo altrettanto automatico.
La norma ha infatti inteso assicurare, in modo automatico e non soggetto a margini di discrezionalità, l’erogazione di un sostegno finanziario ulteriore a vantaggio dei dottorandi borsisti per sostenere il prolungamento del corso. Non parrebbero esservi ragioni per negare una corrispondente copertura finanziaria anche a vantaggio dei colleghi non borsisti.
Diversamente, si costituirebbero ingiustificatamente due canali, per cui soltanto una sub-categoria di dottorandi fruirebbe di un sostegno economico automatico, mentre l’altra vedrebbe le proprie misure di ausilio assoggettate a una verifica discrezionale da parte dell’Amministrazione.
Breve glossa sulla rilevanza della sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, 10 gennaio 2019, n. 432
Nelle riflessioni giurisprudenziali a proposito del congedo straordinario art. 2 della L. 13 agosto 1984, n. 476, si evidenzia la pronuncia in rubrica[6], che ha escluso – per il dottorando di ricerca pubblico dipendente – la fruizione del trattamento economico nel caso di proroga annuale motivata da esigenze personali, prevista dalla regolamentazione di settore e regolarmente accordata dalle competenti istituzioni accademiche. Ha invece ritenuto applicabile il diverso istituto dell’aspettativa senza assegni eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva.
La pronuncia richiama un precedente orientamento per cui la concessione del congedo in parola è implicitamente condizionata alla «prevedibilità (in base ai diversi ordinamenti universitari) della durata dell’assenza del dipendente stesso, a prescindere dalla ricorrenza di sue specifiche esigenze personali (Cass. 3 maggio 2017 n. 10695).».
Preme qui spendere una breve considerazione per evidenziare come la posizione giurisprudenziale sinteticamente richiamata debba essere considerata in relazione alla proroga bimestrale prevista dal decreto “Rilancio”
Sin da una prima lettura della sentenza n. 423 del 2019, si comprende la ratio del disposto giurisdizionale. La pronuncia nega il diritto all’aspettativa, valorizzando il dato della «norma di legge, assolutamente chiara nel limitare il diritto alla “durata del corso” e nel porre una stretta correlazione fra il beneficio in parola ed il godimento della borsa di studio».
Ancora a margine della giurisprudenza sulla proroga del congedo straordinario: “durata del corso” e “correlazione” all’erogazione della borsa di studio
Entrambi i profili, la “durata del corso” e la “correlazione” con la borsa di studio, depongono nella specie a favore di una estensione del periodo di aspettativa per i dipendenti pubblici.
Anzitutto, la borsa di studio, per i dottorandi borsisti, è stata espressamente estesa per il bimestre di proroga, sicché la correlazione impone l’estensione anche del periodo di congedo.
Quanto alla “durata del corso” la pronuncia in parola negava il diritto all’aspettativa del dipendente pubblico in quanto egli l’aveva richiesta a livello esclusivamente individuale per proprie esigenze personali: «la proroga, pertanto, che ha carattere individuale e riguarda il termine entro il quale deve essere sostenuto l’esame finale, non incide sulla durata legale del corso, che resta quella originariamente fissata». La pronuncia mira evidentemente anche a contenere fenomeni di proroga strumentale al fine di ottenere una dilatazione del congedo.
È evidente che, nel caso di specie, la proroga non ha affatto carattere individuale, bensì scaturisce da una previsione normativa nazionale riferita all’intera platea universale dei dottorandi degli atenei italiani, borsisti e non borsisti, in conseguenza di una emergenza sanitaria che ha interessato l’intero Paese. Proprio su questo assunto la norma ha esplicitamente previsto, per i borsisti, la proroga del sostegno economico.
La natura generale, nazionale ed emergenziale della proroga induce a ritenere che essa incida sulla “durata del corso” a livello strutturale. Se così non fosse, non sarebbe stato possibile accordare ai dottorandi borsisti l’erogazione della borsa di studio per l’ulteriore bimestre.
Per di più, nel caso di specie la durata della proroga è di appena un bimestre, oggettivamente commisurato alla effettiva impossibilità di condurre le attività di ricerca per i dottorandi, e non dipende minimamente da ragioni individuali o personali come nel caso della proroga – di durata perfino annuale e dipendente da ragioni esclusivamente personali – oggetto del pronunciamento.
Conclusioni
Sulla base delle dedotte considerazioni parrebbe persuasivo che anche i dottorandi non borsisti possano richiedere – e ottenere del tutto automaticamente – la proroga di due mesi del termine finale del corso di dottorato.
Un tale bimestre di proroga – dal punto di vista del congedo straordinario di cui all’art. 2 della L. 13 agosto 1984, n. 476 – non dovrebbe essere considerato come un periodo concettualmente autonomo assoggettato alla concessione di una nuova e diversa aspettativa e a una attuale valutazione delle esigenze dell’Amministrazione (in base all’inserzione operata dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240).
Il congedo, ove concesso con provvedimento generico esplicitamente ancorato alla conclusione del corso di dottorato, dovrebbe intendersi implicitamente prorogato per il bimestre in parola, da recepirsi se del caso con mera presa d’atto dell’Amministrazione.
Nel caso in cui il provvedimento di concessione contenga una data determinata, l’Amministrazione – su istanza del dottorando non borsista che documenti di aver ottenuto la proroga bimestrale – dovrebbe provvedere con atto meramente ricognitivo a rideterminare lo spirare del periodo di congedo.
Va precisato che tali conclusioni, al di là del rigore del dato letterale dell’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio”, sembrano già ricavabili dalla norma dalla sua attuale formulazione e riconducibili all’alveo ermeneutico della norma.
Nonostante ciò, la conversione in legge rappresenterebbe una calzante occasione per provvedere a una tempestiva reingegnerizzazione della formulazione della norma, che tenga esplicitamente conto – nei termini suesposti – della posizione dei dottorandi non borsisti, così fugando ogni possibile incertezza ermeneutica.
In ogni caso espliciti chiarimenti in tal senso potrebbero comunque essere adottati anche in via amministrativa, in quanto non innovativi ma meramente interpretativi, e garantirebbero piena uniformità di trattamento dei dottorandi, valorizzando l’ovvia premessa per cui l’emergenza sanitaria ha generato identiche difficoltà e problematiche per tutti indistintamente.
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- Bibliografia utile
Capalbo, Il rapporto di lavoro pubblico. Disciplina e formulario, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2019;
Lombardinilo, Building university: In una società aperta e competitiva, Roma, Armando, 2014;
Longhi, Il dottorato di ricerca per il dipendente pubblico dopo la riforma ”Gelmini”, in Altalex, 24 gennaio 2012;
Montanari, La proroga del congedo straordinario del dipendente pubblico impegnato nel dottorato di ricerca (nota a Corte di Cassazione, 10 gennaio 2019, n. 432), in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2019, n. 2;
Narducci, R. Narducci, Guida normativa per l’amministrazione locale, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2015;
Neri, Il dottorato di ricerca nella pubblica amministrazione. Genesi ed evoluzione, in Il diritto amministrativo, consultato il 24 maggio 2020;
Paone, Le nuove fattispecie di aspettativa, in A. Perulli, R. Fiorillo, Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: Volume primo, Torino, Giappichelli, 2015.
Note
[1] Sul congedo straordinario per dottorato nel particolare caso dei dipendenti degli enti locali, F. Narducci, R. Narducci, Guida normativa per l’amministrazione locale, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2015, p. 643.
[2] Sulla quale G. Paone, Le nuove fattispecie di aspettativa, in A. Perulli, R. Fiorillo, Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: Volume primo, Torino, Giappichelli, 2015, p. 708.
[3] Per un sintetico commento A. Lombardinilo, Building university: In una società aperta e competitiva, Roma, Armando, 2014, p. 296.
[4] Decreti legislativi nn. 74 e 75 del 25 maggio 2017, pubblicati in Gazzetta ufficiale il 7 giugno 2017, in attuazione della Legge n. 124/2015.
[5] “Decreto-legge recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”.
[6] Per un commento alla sentenza A. Montanari, La proroga del congedo straordinario del dipendente pubblico impegnato nel dottorato di ricerca (nota a Corte di Cassazione, 10 gennaio 2019, n. 432), in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2019, n. 2.
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