(Normativa di riferimento: C.p.p., art. 574, c. 4; D.lgs., 28 agosto 2000, n. 274, art. 37)
Il fatto
Il Tribunale di Trapani dichiarava l’inammissibilità dell’appello con cui l’imputato aveva contestato il giudizio di responsabilità espresso dal giudice di pace nella sentenza emessa nei suoi confronti il 17.5.2016 (di condanna alla pena di Euro 1.500,00 di multa, per il delitto di diffamazione, oltre che al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile).
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione l’imputato denunciando violazione di legge in riferimento all’art. 37 del D.lgs. n. 274/2000 per avere il giudice monocratico dichiarato inammissibile l’appello ritenendo, erroneamente, non impugnato il capo della sentenza afferente il risarcimento del danno.
Sul punto:” L’ammissibilità dell’atto di impugnazione dopo la Riforma Orlando”
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il Supremo Consesso stimava il ricorso fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si evidenziava prima di tutto che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, recepito in questa pronuncia, è ammissibile l’appello proposto dall’imputato avverso la sentenza del giudice di pace di condanna a pena pecuniaria, ancorché non specificamente rivolto al capo relativo alla condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile in quanto l’art. 37 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 deve essere coordinato con la disposizione di cui all’art. 574, comma quarto, cod. proc. pen., secondo cui l’impugnazione proposta avverso i punti della sentenza riguardanti la responsabilità dell’imputato estende i suoi effetti agli altri punti che dipendono dai primi, fra i quali rientra quello concernente il risarcimento del danno, che trova il suo necessario presupposto nell’affermazione della responsabilità penale (ex multis Sez. 5, n. 17784 del 12/01/2017, Sez. 5, n. 35023 del 17-5-2016, Sez. 5, n. 31619 del 1-4-2016, Sez. 5, n. 5017 del 14-12-2015; Sez.5, n. 31678 del 22-5-2015, Sez. 5, n. 7455 del 16-10-2013), e ciò in ragione del fatto che, a norma dell’art. 2 d. lg. n. 274 del 2000, nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal predetto decreto si osservano, in quanto applicabili, le norme del codice di procedura penale.
Da ciò se ne faceva conseguire come l’applicazione dell’art. 574, comma 4, cod. proc. pen., invocata nel caso di specie, trovi applicazione in combinato disposto con l’art. 37 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
Si faceva altresì presente, ad ulteriore conferma della fondatezza di tale approdo ermeneutico, come anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 426 del 2008, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 d. Ig. 274 del 2000, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., abbia avuto modo di chiarire che il riferimento alle sentenze che applicano la sola pena pecuniaria sia da intendersi relativo alle pronunce che rechino esclusivamente tale condanna, non accompagnata da statuizioni civili.
Oltre a ciò, si evidenziava come fosse d’altronde incontrovertibile che, ove l’imputato contesti, con l’atto di impugnazione, la responsabilità, gli effetti della sentenza che verrà pronunciata si estenderanno alle statuizioni civili e dunque, ad avviso della Corte, non vi è alcuna necessità che queste ultime vengano espressamente impugnate poiché è già implicita nell’impugnazione del punto relativo alla responsabilità quella afferente le statuizioni civili dipendenti dalla condanna.
Pure sotto il profilo teleologico si riteneva condivisibile l’orientamento nomofilattico prevalente in quanto la ratio della disposizione di cui all’art. 37 d. Ig. 274 del 2000 è proprio quella di assicurare maggiori garanzie all’imputato qualora quest’ultimo debba affrontare la parte civile (Sez. 5, n. 4967 del 6-12-2006 Rv. 236610) e di evitare che una sentenza di primo grado inappellabile possa pregiudicare l’imputato impedendogli di promuovere un sindacato di merito sulla sua responsabilità civile in conformità a quanto stabilito, nel procedimento ordinario, dal primo comma dell’art 574 cod. proc. pen. che consente all’imputato di proporre impugnazione contro i capi della sentenza che riguardano gli interessi civili (Sez. 5, n. 33545 del 21-9- 2006, Rv. 235226) e pertanto, in questa prospettiva, ad avviso della Corte, è razionale che, ove si impugni, invece, un punto diverso dalla responsabilità (ad esempio, il trattamento sanzionatorio o la qualificazione giuridica del fatto o l’insussistenza di un’aggravante o la ravvisabilità di un’attenuante) sia necessaria, ai fini dell’ammissibilità dell’appello, un’esplicita impugnazione delle statuizioni civili ma, ove le censure investano la tematica relativa alla responsabilità, è superflua l’impugnazione delle statuizioni civili.
Non si negava però al contempo come vi fossero delle sentenze (Sez. 2, Sentenza n. 31190 del 17 42015, Rv. 264544) che avevano opinato in modo diverso essenzialmente affermando la natura speciale, derogativa e, dunque, prevalente dell’art. 37, d.lgs. n. 274 del 2000.
La Corte, nella decisione in commento, riteneva comunque di voler aderire all’altro indirizzo nomofilattico stante il fatto che l’argomento fondante l’orientamento contrario, e cioè la natura speciale e derogatoria dell’art. 37 d.igs. n. 274 del 2000 rispetto alla norma dell’art. 574 comma 4 cpp, non era condivisibile atteso che il disposto dell’art. 2 sopra citato, operando un’interrelazione tra le norme procedurali del D. Lgs. n. 74 del 2000 e quelle del codice di procedura penale, fa convivere le due discipline e prevede la integrazione dei due ordini di precetti quando la materia da ciascuno di essi regolata non sia la stessa fermo restando che ciò non significa che la normativa di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 non sia speciale ma solo che, per espressa previsione di una stessa norma del decreto medesimo, trovano applicazione anche le norme del codice di procedura penale laddove non vi sia coincidenza, ma, come nel caso di specie, complementarietà.
Si osservava a tal proposito, per un verso, che l’art. 574, comma 4, c.p.p. afferma un principio generale, ovvero quello della necessaria estensione dell’impugnazione dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale anche alla pronuncia sui capi contenenti le statuizioni civili alla condizione della dipendenza di questi ultimi dalla prima che, in quanto tale, ben può trovare spazio anche nella normativa speciale riguardante le impugnazioni delle sentenze dei giudice di pace non essendo peraltro affatto in contrasto con la ratio di quella disciplina, per altro verso, che la norma dell’art. 37, laddove subordina l’appellabilità, da parte dell’imputato, delle condanne a pena pecuniaria, al requisito della contestuale impugnazione del capo relativo al risarcimento del danno, di fatto non regola diversamente la stessa materia del precetto codicistico di cui all’articolo 574, comma 4, c.p.p., ma pone un indice limitativo, a ben vedere utilmente interpretabile alla luce del principio generale dal medesimo espresso, dal momento che la sua applicazione non ne contraddice la ratio anzi la esalta nel senso che essa, da un lato, lascia integro il principio della appellabilità delle sole sentenze – con condanna a pena pecuniaria – pronunciate anche sui profili civili, dall’altro, consente di garantire il doppio grado di giudizio in tutti i casi in cui vi sia stata tale pronuncia a prescindere dalla formale impugnazione del capo e in perfetta linea con la scelta legislativa confluita nel Decreto legislativo indicato che ha inteso “privilegiare” unicamente le pronunce che si riflettono anche sugli interessi civilistici differenziandole da quelle di condanna alla sola pena pecuniaria senza statuizione civilistica.
Si concludeva affermandosi che sia l’art. 574 comma 4 c.p.p., che l’art. 37, c. 1, d.lgs. n. 2742000, disciplinano armonicamente il tema dell’ampiezza della devoluzione dipendente dalla impugnazione dell’imputato sul punto o capo relativo alla responsabilità tenuto conto altresì di come fosse innegabile che l’eventuale accoglimento dell’appello dell’imputato sulla responsabilità, con conseguente sua assoluzione, comporta l’automatica revoca delle statuizioni civili.
Di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, la Corte di Cassazione annullava senza rinvio il provvedimento impugnato con trasmissione degli atti al Tribunale di Trapani per l’ulteriore corso.
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Conclusioni
La sentenza in questione è sicuramente condivisibile in quanto in essa viene adeguatamente motivato sul perché si è ritenuto di dovere aderire a quel prevalente orientamento nomofilattico secondo il quale è ammissibile l’appello proposto dall’imputato avverso la sentenza del giudice di pace di condanna a pena pecuniaria ancorché non specificamente rivolto al capo relativo alla condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Pur tuttavia, tenuto conto dell’esistenza di un orientamento ermeneutico minoritario di segno contrario, sarebbe opportuno che su tale problematica intervenissero le Sezioni Unite, e ciò per una evidente ragione di certezza del diritto.
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