E’ questo il principio enunciato dal CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, con sentenza 26 marzo 2012 n. 1740 (in riforma T.A.R. Campania – Napoli, Sez. V, n. 2451/2011).
In particolare, per il Massimo Consesso della Giustizia amministrativa, in materia di pubblici concorsi, le regole che vietano l’apposizione di segni di riconoscimento sugli elaborati scritti sono finalizzate a garantire l’anonimato di tali prove, a salvaguardia della par condicio tra i candidati, per cui ciò che rileva non è tanto l’identificabilità dell’autore dell’elaborato attraverso un segno a lui personalmente riferibile, quanto piuttosto l’astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione. Ciò ricorre quando la particolarità riscontrata assuma un carattere oggettivamente ed incontestabilmente anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta, in tal caso a nulla rilevando che in concreto la commissione o singoli componenti di essa siano stati, o meno, in condizione di riconoscere effettivamente l’autore dell’elaborato scritto.
Pertanto, non è configurabile quale segno di riconoscimento, che dà luogo all’annullamento della prova scritta di un concorso, l’apposizione di cancellature (nella specie peraltro non isolate, ma in un certo numero) a penna nell’elaborato. Tale circostanza, infatti, è fatto riconducibile ad una incertezza usuale nei candidati, rilevabile nella maggior parte degli elaborati di una selezione concorsuale e non connotata da un carattere di anomalia tale da poter mettere la Commissione o un suo componente in condizione di riconoscerne l’autore.
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