Il fatto
Il Tribunale del riesame di Caltanissetta, procedendo ai sensi dell’art. 310 c.p.p., rigettava l’appello proposto da P.G. avvero l’ordinanza con cui la Corte di appello di Caltanissetta, a sua volta, aveva rigettato l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
In particolare, il ristretto era stato tratto a giudizio per il delitto di tentato omicidio e per i connessi reati in materia di armi ed era stato condannato, in appello, alla pena, concordata ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., di sei anni di reclusione.
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A fronte di ciò, avendo egli subito un periodo di restrizione cautelare carceraria di due anni e cinque mesi, la sua difesa aveva proposto istanza ex art. 299 c.p.p. che la Corte di appello aveva rigettato in ragione della carenza di elementi di novità rilevanti in chiave cautelare e della persistente pregnanza delle esigenze specialpreventive,desumibili anche dal riconoscimento della recidiva.
Il Tribunale del riesame, investito dell’appello avverso l’ordinanza del giudice procedente, dal canto suo, ne aveva condiviso la valutazione sul rilievo che il periodo cautelare sofferto era inferiore alla metà della pena irrogata la cui riduzione in secondo grado era conseguita all’accordo tra le parti sui motivi di impugnazione e non alla rivalutazione della gravità del reato o della capacità a delinquere e che non era dato apprezzare la sussistenza di circostanze dimostrative dell’avere la restrizione sin qui patita determinazione l’elisione o l’attenuazione del pericolo di reiterazione della condotta criminosa.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Il ristretto proponeva, con l’assistenza dell’avvocato, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo con il quale si deduceva la violazione della legge processuale penale e il vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame omesso di spiegare per quale ragione le residue esigenze cautelari non avrebbero potuto essere salvaguardate dalla misura degli arresti domiciliari assistita dall’adozione di strumenti elettronici di controllo.
Oltre a ciò, si lamentava, ulteriormente, di come fosse stato illogicamente escluso l’affievolimento delle esigenze cautelari pure a fronte della sottoposizione a misura cautelare per un periodo pari a circa metà della pena inflitta e con riferimento a condotta delittuosa risalente ad epoca ormai remota.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Gli Ermellini – una volta fatto presente che il ricorso per cassazione era stato presentato a mezzo messaggio di posta elettronica certificata, inviato dal difensore il 16 marzo 2020 all’indirizzo del Tribunale del riesame di Caltanissetta e depositato in cancelleria il giorno seguente – osservavano come la prescelta modalità di proposizione del ricorso di legittimità non fosse ammessa, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso, in quanto il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 11, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, circoscrive tale possibilità ai ricorsi civili mentre, in giurisprudenza, è consolidato l’orientamento secondo cui nel processo penale la parte privata non può avvalersi della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti e per il deposito presso gli uffici (Sez. 5, n. 12949 del 05/03/2020; Sez. 1, n. 2020 del 15/11/2019; Sez. 6, n. 41283 del 11/09/2019) posto che l’utilizzo del mezzo telematico è riservato – ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria; invece, la previsione dell’art. 64 disp. att. c.p.p., che consente il ricorso ai mezzi idonei di cui agli artt. 149 e 150 c.p.p. tra i quali la PEC, riguarda unicamente la comunicazione degli atti del giudice e non la trasmissione di un atto di parte quale l’impugnazione.
Oltre a quanto sin qui enunciato, veniva inoltre evidenziato come la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che è inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della posta elettronica certificata (c.d. PEC), in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p. – espressamente richiamato dall’art. 309 c.p.p., comma 4, che, a sua volta, è richiamato dall’art. 310 c.p.p., comma 2, – sono tassative e non ammettono equipollenti stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC. (In motivazione la Corte ha evidenziato che tali previsioni processuali costituiscono le specifiche disposizioni normative che rendono inapplicabile il D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, regolamento per l’utilizzo della posta elettronica certificata, ai sensi dell’art. 16 del medesimo decreto) (Sez. 3, n. 38411 del 13/04/2018).
La Suprema Corte, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni summenzionate, dichiarava il ricorso proposto inammissibile e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusioni
La decisione in questione è assai interessante in quanto in essa si afferma, citandosi un precedente conforme, che non è ammissibile l’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della posta elettronica certificata e ciò perché le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p. – espressamente richiamato dall’art. 309 c.p.p., comma 4, che, a sua volta, è richiamato dall’art. 310 c.p.p., comma 2, – sono tassative e non ammettono equipollenti.
In relazione a tale approdo ermeneutico, è quindi sconsigliabile presentare una impugnazione cautelare mediante pec essendoci il concreto rischio che essa venga dichiarata inammissibile.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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