(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., artt. 582; 583)
Il fatto
Il Magistrato di sorveglianza aveva parzialmente accolto il reclamo ex art. 35-ter Ord. pen. proposto nell’interesse di C. P. relativamente a taluni periodi di detenzione trascorsi presso la Casa circondariale di Roma Rebibbia N.C. in relazione ai quali era stata riscontrata una rilevante compromissione dello “spazio vitale” al di sotto dei 3 metri quadri per complessivi 862 giorni così da non potersi ammettere, a causa della lunghezza del periodo in cui la lesione si era protratta, che le complessive condizioni di detenzione potessero compensare il danno patito.
Avverso tale provvedimento il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria proponeva reclamo davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma il quale lo accoglieva.
Una volta respinta, preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità del reclamo formulata dalla difesa di P. per avere l’Amministrazione penitenziaria proposto impugnazione tramite posta elettronica certificata (cd. PEC), il Tribunale romano riteneva di non dover computare, ai fini della determinazione dello spazio detentivo minimo, la “superficie calpestabile“, calcolata al netto di muri perimetrali o di eventuali muri divisori ma non della mobilia fissa e mobile, ivi inclusi i letti a castello e, sulla base di tale criterio, il Collegio capitolino stimava accertato che durante la detenzione sia nella Casa circondariale di Roma Rebibbia N.C., sia nella Casa di reclusione di Roma, P. non aveva mai avuto a sua disposizione meno di 3 metri quadri di spazio c.d. “vivibile” trattandosi di un limite che era stato superato, scorporando l’ingombro costituito da “ipotetici letti a castello“, soltanto nei periodi in cui P. era stato ristretto con non meno di 6 detenuti all’interno della Casa circondariale di Roma Rebibbia N.C.; pur tuttavia, valorizzando adeguatamente l’ampia offerta trattamentale e i lunghi periodi giornalieri nei quali P. era autorizzato a uscire dalla stanza di pernottamento, il Tribunale riteneva come le eventuali violazioni del criterio dello spazio minimo pro capite fossero state ampiamente compensate dall’attenta valutazione del complesso delle condizioni detentive.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il predetto provvedimento proponeva ricorso per cassazione lo stesso P. per mezzo del difensore di fiducia, avv. G. D. G., deducendo due distinti motivi di impugnazione così formulati: 1) inosservanza o erronea applicazione degli artt. 582 e 583 cod. proc. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato accoglimento dell’eccezione di inammissibilità del reclamo concernente l’irritualità delle modalità di presentazione dell’atto di impugnazione a mezzo PEC che, secondo il Tribunale di sorveglianza, sarebbe consentita all’Amministrazione penitenziaria, verso la quale non varrebbero i relativi limiti posto che, secondo la difesa di C. P., ai sensi degli artt. 582 e 583 cod. pen., l’atto di impugnazione non potrebbe essere presentato a mezzo PEC tanto da parte dei difensori, quanto ad opera delle altre parti processuali tenuto conto altresì del fatto che, nel caso di specie, vi sarebbe stata un’assoluta incertezza in ordine alla riferibilità dell’atto di impugnazione all’Amministrazione penitenziaria; 2) inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’annullamento dell’ordinanza del Magistrato di sorveglianza sulla base di un criterio di determinazione della superficie detentiva minima fondato sul computo dei letti a castello, che la Corte di cassazione non avrebbe condiviso rilevandosi al contempo come l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza avrebbe errato nel ritenere che eventuali violazioni dello spazio minimo pro capite potessero essere compensate dall’offerta trattamentale laddove la compressione dello spazio minimo vitale sarebbe di tale incidenza da non poter essere compensate con attività trattamentali e con la fruizione di periodi di tempo fuori dalle camere di pernottamento, e ciò in quanto la restrizione in celle inidonee sotto il profilo spaziale costituirebbe, di per sé, un grave pregiudizio per il detenuto e condizione sufficiente a ottenere il rimedio risarcitorio, integrando i presupposti indicati dalla legge; si evidenziava, inoltre, come la motivazione sarebbe state del tutto generica in quanto il Tribunale di sorveglianza si sarebbe limitato a indicare, in modo del tutto apodittico, le attività valutate come compensative senza verificare nel concreto se C. P. ne avesse realmente usufruito e con quali tempi e modalità.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il primo motivo di ricorso veniva fondato e, pertanto, era accolto posto che, ad avviso della Corte, il Tribunale di sorveglianza aveva errato nel ritenere ammissibile l’impugnazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria presentata tramite “posta elettronica certificata“.
Si osservava a tal proposito che se l’art. 582 cod. proc. pen. stabilisce, al comma 1, che “salvo che la legge disponga altrimenti, l’atto di impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il pubblico ufficiale addetto vi appone l’indicazione del giorno in cui riceve l’atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione e, al comma 2, che “le parti private e i difensori possono presentare l’atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all’estero. In tali casi, l’atto viene immediatamente trasmesso alla cancelleria del giudice che emise il provvedimento impugnato” mentre il successivo art. 583 cod. proc. pen. prevede che “le parti e i difensori possono proporre l’impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria indicata nell’articolo 582 comma 1. Il pubblico ufficiale addetto allega agli atti la busta contenente l’atto di impugnazione e appone su quest’ultimo l’indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione” disponendo inoltre che “l’impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma. Se si tratta di parti private, la sottoscrizione dell’atto deve essere autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore” (comma 2).
Compiuto questo breve excursus normativo, si faceva altresì presente come la giurisprudenza di legittimità, vigendo in materia di impugnazioni il principio di tassatività delle forme per la presentazione del ricorso, la cui osservanza è sanzionata a pena di inammissibilità, avesse postulato che la presentazione dell’impugnazione con mezzi diversi da quelli previsti dalla norma è inammissibile (Sez. 1, n. 16356 del 20/3/2015) ivi compreso il caso di invio dell’impugnazione a mezzo di posta certificata (Sez. 3, n. 50932 del 11/7/2017; Sez. 4, n. 21056 del 23/1/2018; Sez. 1, n. 320 del 5/11/2018) fermo restando che tale principio vale per le parti private e per le parti pubbliche come può evincersi da quella pronuncia in cui la Cassazione ha affermato – in relazione al caso di impugnazione cautelare proposta dal pubblico ministero – proprio sul presupposto che le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 cod. proc. pen. (esplicitamente richiamato dall’art. 309, comma 4, a sua volta richiamato dall’art. 310, comma 2, cod. proc. pen.), sono tassative e non ammettono equipollenti, come sia possibile soltanto la spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della posta elettronica certificata (così sez. 5, n. 24332 del 5/3/2015).
Tal che se ne faceva conseguire come il provvedimento impugnato risultasse essere stato adottato nonostante l’originaria inammissibilità dell’impugnazione sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, con conseguente reviviscenza dell’ordinanza di primo grado.
Conclusioni
La sentenza in commento è assai interessante nella parte in cui esclude che le impugnazioni, in materia penale, possano essere presentate a mezzo pec.
Le argomentazioni addotte, a sostegno di questo assunto, a loro volta, sono condivisibili in quanto si basano, per un verso, su un attento esame della normativo a cui fare riferimento in casi di questo tipo, per altro verso, su un’altrettante puntuale disamina della giurisprudenza elaborata in subiecta materia.
Nel ritenere dunque questo provvedimento del tutto corretto in punto di motivazione, sarebbe però auspicabile che il legislatore intervenisse consentendo la possibilità di impugnare anche a mezzo pec.
Non si vedono difatti le ragioni per cui non si possa utilizzare questo strumento tecnologico per poter proporre un gravame che garantirebbe, al pari di quanto adesso previsto dal nostro ordinamento giuridico, la certezza sia di colui che invia la posta elettronica certificata, sia su quando questa missiva elettronica può dirsi giunta a conoscenza del destinatario (e dunque ciò consentirebbe di verificare se l’impugnazione sia stata presentata nei termini).
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