Normativa di riferimento: Art. 614 bis c.p.c., art. 709 ter c.p.c.
Il fatto.
L’ordinanza n. 6471 del 2020 emessa dalla Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione trae origine dal provvedimento di rigetto emesso dalla Corte d’Appello dell’Aquila, a seguito del reclamo proposto rispetto al provvedimento con cui il Tribunale di Chieti aveva sanzionato il reclamante, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 614 bis c.p.c., a causa dell’inadempimento agli obblighi di visita fissati, al fine di regolare le modalità di incontro con il figlio minore, nell’ambito di un giudizio instaurato dalla madre per ottenere l’accertamento giudiziale della paternità dello stesso ai sensi dell’art. 269 c.c.
La Corte d’Appello dell’Aquila aveva infatti confermato il provvedimento di primo grado che stabiliva nella misura di euro 100,00 la somma che il padre avrebbe dovuto versare a favore del figlio per ogni futuro inadempimento all’obbligo di fare visita al minore, nei tempi e nei modi fissati dall’autorità giudiziaria.
Il padre proponeva ricorso in Cassazione avverso il predetto provvedimento con unico motivo, a cui è seguito il controricorso ad opera della controparte.
Il reclamante, con unico motivo, denunciava la violazione e la falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 614 bis c.p.c. e 709 ter c.p.c., sostenendo che le statuizioni di coercizione indiretta previste ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. non sono applicabili nel caso di violazioni, ad opera del genitore non collocatario, dell’obbligo di visita nei confronti del figlio minore, sulla base dell’assunto secondo cui al diritto del minore a ricevere visite da parte del genitore non collocatario corrisponde un diritto potestativo del genitore, rimesso alla disponibilità di quest’ultimo, non coercibile e non assoggettabile ai provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale e alle sanzioni di cui all’art. 709 ter c.p.c.
La controparte resisteva deducendo la peculiare natura della sanzione di cui all’art. 614 bis c.p.c., contraddistinta anche da una connotazione pedagogica, volta a rendere i genitori consapevoli della gravità delle condotte ostruzionistiche assunte, con il fine di indurli ad un corretto adempimento delle disposizioni relative ai reciproci rapporti personali ed alle modalità di affidamento e frequentazione dei figli.
La Corte di Cassazione era pertanto chiamata a pronunciarsi in merito alla coercibilità in via indiretta, secondo le modalità di cui all’art. 614 bis c.p.c., del diritto-dovere di visita del figlio minore da parte del genitore non collocatario, ferma l’infungibilità della condotta.
La motivazione dell’ordinanza della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ritiene che la risposta al quesito sottopostole non può che essere negativa in ragione della natura stessa del Diritto di Famiglia, materia caratterizzata da relazioni che trovano interamente fondamento e limite nell’attuazione dell’interesse preminente del minore.
Nell’ambito dei rapporti famigliari, accanto alla responsabilità genitoriale di cui all’art. 316 c.c., incombe sui genitori l’esercizio di comune accordo del diritto dei figli minorenni di essere mantenuti, educati, istruiti ed assistiti moralmente, nel rispetto delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni, “contenuti che, richiamando quelli di un munus pubblico, sono espressivi della realizzazione degli interessi dei minori stessi”.
È in tale contesto che si inserisce il “diritto-dovere” di visita del genitore non collocatario, posizione giuridica esercitabile dal genitore titolare che voglia o debba svolgere il proprio ruolo concorrendo insieme all’altro ai compiti di assistenza, cura ed educazione della prole.
Tale posizione giuridica del genitore non collocatario, nella sua declinazione attiva di diritto, è tutelabile rispetto alle violazioni e alle inadempienze dell’altro genitore, su cui incombe il corrispondente obbligo di astenersi con le proprie condotte dall’ostacolare o dall’impedire l’esercizio del diritto altrui nei termini di cui all’art. 709 ter c.p.c. ed è abdicabile da parte del titolare.
La medesima posizione giuridica, nella sua declinazione passiva di dovere, è invece fondata sulla autonoma e spontanea osservanza dell’interessato e, ferma restando la sua finalità di favorire la crescita equilibrata del figlio, non è esercitabile in via coattiva dall’altro genitore, in proprio o quale rappresentante legale del minore.
È nel contesto sopra descritto che si inserisce il diritto dei figli alla bigenitorialità, diritto al quale è correlato in via strumentale l’esercizio in comune della responsabilità genitoriale, il quale è destinato a garantire ai minori una crescita ed un’educazione serena ed adeguata e, attraverso l’affido condiviso, a mantenere rapporti equilibrati e significativi con entrambi i genitori ai sensi dell’art. 337 ter c.c.
È questa la ratio con cui il Giudice, dopo aver provveduto a determinare il regime di affidamento e il relativo collocamento del minore, stabilisce i tempi e le modalità di presenza dei figli presso il genitore non collocatario.
Specularmente al diritto del genitore non convivente di mantenere rapporti significativi con il minore, si pone il diritto del figlio a mantenere rapporti significativi con il genitore, il quale, insieme al collocatario, è chiamato ad assolvere gli obblighi verso la prole.
Secondo un orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione, nell’”interesse superiore del minore” deve essere assicurato il rispetto del principio alla bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio che sia idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, diritto che si pone in stretta correlazione con il dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione del minore1.
La giurisprudenza di legittimità, nel tentativo di fornire un’interpretazione al concetto di “superiore interesse del minore”, ha inoltre affermato che risulta giustificata l’adozione, in un contesto di affidamento, di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, nell’apprezzato loro carattere recessivo rispetto all’interesse preminente del minore stesso2.
L’orientamento espresso della Suprema Corte si uniforma ai principi dettati in materia dalla giurisprudenza di fonte convenzionale della Corte Edu, la quale, chiamata a pronunciarsi sul rispetto della vita famigliare ai sensi dell’art. 8 CEDU, pur riconoscendo all’autorità giudiziaria ampia libertà in materia di diritto di affidamento, sottolinea la necessità di un più rigoroso controllo sulle “restrizioni supplementari”, per tali intendendosi quelle apportate al diritto di visita dei genitori e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita famigliare.
Le “restrizioni supplementari” comportano infatti il rischio di troncare le relazioni famigliari tra un figlio in tenera età e uno dei genitori o entrambi, pregiudicando il preminente interesse del minore3.
Nell’ambito di tale sistema di relazioni, nel caso in cui la posizione del genitore non collocatario venga in rilievo in quanto portatrice del “diritto” di visita del figlio minore, essa riceve tutela dal sistema, in caso di condotte pregiudizievoli poste in atto dall’altro genitore che, ostacolando l’esercizio dell’altrui diritto ed integrando inadempimenti gravi, divengono ragione di risarcimento e sanzioni secondo il sistema modulare e flessibile di cui all’art. 709 ter c.p.c.
Nel caso in cui, invece, venga fatta prevalere la natura di “dovere” di frequentazione e visita del figlio minore non deve sfuggire all’interprete che esso è espressione della capacità di autodeterminazione del soggetto e deve, come tale, essere rimesso, nel suo esercizio, alla libera e consapevole scelta di colui che ne sia onerato, in virtù di una discrezionalità che, pur non essendo assoluta e rivolta alla tutela dell’interesse indicato dalla legge, entro siffatto limite deve trovare ragione e termine ultimo di esercizio.
Ogni diversa interpretazione del dovere di visita che volesse affermare la natura di vero e proprio obbligo, coercibile ad iniziativa dell’altro genitore o dello stesso figlio minore urterebbe con la qualificazione adottata e con la stessa finalità del dovere, concepito come strumento di attuazione dell’interesse superiore del minore, inteso come crescita ispirata a canoni di equilibrio ed adeguatezza.
L’esclusione della coercibilità, a favore del figlio, del diritto di visita e del corrispettivo dovere del genitore non affidatario e non collocatario di garantire una sua frequentazione regolare, comporta l’impossibilità di applicare l’art. 614 bis c.p.c., quale provvedimento di coercizione indiretta nei confronti del genitore che rifiuta di frequentare il proprio figlio, anche qualora tale rifiuto sia temporaneo o causato da uno stato di ansia derivante dalla difficile relazione genitoriale.
“Il provvedimento di cui all’art. 614 bis cod. proc. civ. presuppone l’inosservanza di un provvedimento di condanna, ma il diritto (o il dovere) di visita costituisce una esplicazione della relazione fra il genitore e il figlio che può trovare regolamentazione nei suoi tempi e modi, ma che non può mai costituire l’oggetto di una condanna ad un facere sia pure infungibile.
A questa constatazione deve aggiungersi, con un rilievo altrettanto significativo, che l’emanazione di un provvedimento ex art. 614 bis cod. proc. civ. si pone in evidente contrasto con l’interesse del minore il quale viene a subire in tal modo una monetizzazione preventiva e una conseguente grave banalizzazione di un dovere essenziale del genitore nei suoi confronti, come quello alla sua frequentazione”.
Ne deriva che un provvedimento del tipo di cui si discute non può trovare legittimazione ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., normativa che individua il potere del giudice, in presenza di gravi inadempienze o di atti comunque pregiudizievoli per il minore o di ostacolo al corretto svolgimento delle modalità di affidamento, di modificare i provvedimenti in vigore e, anche congiuntamente, di:
– ammonire il genitore inadempiente;
– disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
– disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
– condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
La ratio dell’art. 709 ter c.p.c. consiste infatti nel prevedere delle ipotesi di risarcimento a fronte di un danno già integrato dalla condotta tenuta da uno dei genitori, con la conseguente sanzionabilità diretta, e non una coercizione preventiva e indiretta di un dovere nel caso della sua futura inosservanza.
Può pertanto affermarsi che tale norma, oltre ad individuarne con chiarezza la portata, circoscrive al presente l’esercizio del potere del Giudice ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., mentre, in riferimento alle conseguenze future del protrarsi del comportamento sanzionato, esso è limitato al potere di ammonimento.
Ciò non esclude che, qualora il comportamento sanzionato permanga, possano essere modificati i provvedimenti in vigore in tema di affidamento ed essere emessi provvedimenti de potestate sino alla pronuncia della decadenza dalla responsabilità genitoriale.
La non coercibilità del diritto di visita non esclude infatti che derivino delle conseguenze dal suo mancato esercizio.
Dall’inerzia del genitore non collocatario può infatti derivare l’eccezionale applicazione dell’affidamento esclusivo in capo all’altro genitore ai sensi dell’art. 316 co. 1 c.c., la decadenza dalla responsabilità genitoriale e l’adozione di provvedimenti limitativi della stessa per condotta pregiudizievole nei confronti dei figli ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., la responsabilità penale per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza famigliare ai sensi dell’art. 570 c.p.
I provvedimenti riportati possono essere emanati qualora le condotte contestate, con il tradursi in una sostanziale dismissione delle funzioni genitoriali, pongano in serio pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalità del minore4.
Con la recente sentenza n. 21341 del 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha inoltre rimarcato che, specularmente al carattere non obbligatorio ed incoercibile del dovere di frequentazione del genitore nei confronti del figlio, vi è il diritto del figlio minore di frequentare il genitore quale esito di una sua scelta, libera ed autodeterminata, sulla base di caratteri tanto più obiettivamente inverabili quanto più vicina sia la maggiore età e che, in quanto tali, possono spingersi fino al rifiuto di incontrare il genitore.
Inoltre, la giurisprudenza convenzionale ha affermato il carattere non assoluto dell’obbligo delle autorità nazionali di adottare misure idonee a riavvicinare il genitore ed il figlio non conviventi, nella valorizzazione della comprensione e collaborazione di tutte le persone coinvolte, in una materia il cui delicato rilievo chiama innanzitutto le autorità nazionali ad un’opera di “grande prudenza”5.
Ne deriva che non è riscontrabile in capo alle autorità nazionali un obbligo di ricorrere alla coercizione, obbligo che, in materia, non può che essere limitato, in virtù della necessaria valutazione dei diritti e delle libertà delle persone coinvolte ai fini di un apprezzamento dell’interesse superiore del minore e dei diritti al medesimo conferiti dall’art. 8 CEDU, nel rispetto di un margine di ragionevolezza che deve comunque guidare ogni intervento volto ad agevolare l’esercizio del diritto di visita.
La Suprema Corte di Cassazione ha quindi affermato il seguente principio di diritto: “Il diritto-dovere di visita del figlio minore che spetta al genitore non collocatario non è suscettibile di coercizione neppure nella forma indiretta di cui all’art. 614 bis cod. proc. civ. trattandosi di una potere-funzione che, non sussumibile negli obblighi la cui violazione integra, ai sensi dell’art. 709 ter cod. proc. civ., “una grave inadempienza”, è destinato a rimanere libero nel suo esercizio quale esito di autonome scelte che rispondono, anche, all’interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata”.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, rilevato che la Corte d’Appello dell’Aquila non si è attenuta al principio di diritto sopraenunciato, avendo riconosciuto in capo al ricorrente un obbligo coercibile nelle forme di cui all’art. 614 bis c.p.c., in un’ipotesi in cui sarebbe stato preferibile attuare percorsi di rielaborazione e miglioramenti dei rapporti affettivi, in accordo tra genitori e minore, ha conseguentemente cassato senza rinvio il provvedimento impugnato.
Considerazioni finali.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione, a conferma di un orientamento consolidato, tanto in sede nazionale quanto in sede convenzionale, ribadisce l’incoercibilità del diritto-dovere del genitore non collocatario a fare visita al figlio minore ai sensi del combinato disposto degli artt. 614 bis c.p.c. e 709 ter c.p.c.
Tale assunto trova fondamento non solo nelle particolari caratteristiche che connotano la materia del Diritto di Famiglia ma nel preminente interesse del minore, inteso quale diritto ad una crescita sana ed equilibrata, in ossequio al diritto alla bigenitorialità e all’esercizio congiunto dei doveri attribuiti dall’ordinamento ai genitori nei confronti dei figli.
Riconoscere carattere di coercibilità al diritto-dovere del genitore non collocatario a fare visita al figlio potrebbe infatti ledere il “preminente interesse” del minore, il quale ha diritto ad intrattenere dei rapporti significativi con il genitore non collocatario, i quali risultano essere tanto più proficui quanto determinati da scelte autonome del genitore e non oggetto di coercizione né diretta né indiretta da parte dell’ordinamento.
Ferma restando l’incoercibilità di tale diritto-dovere riconosciuto in capo al genitore non collocatario, qualora tale inadempimento si traducesse in una dismissione delle funzioni genitoriali, con conseguente lesione dell’interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata, potrebbe conseguire l’applicazione del regime di affidamento esclusivo del minore in capo all’altro genitore ovvero l’emanazione di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, fino alla pronuncia di decadenza dalla stessa.
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