E’ irrevocabile la querela presentata per il reato di atti persecutori quando la condotta sia stata realizzata con minacce reiterate e gravi

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(Annullamento con rinvio)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 612-bis, c. 4)

Il fatto

La Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, disapplicando la recidiva e ritenendo le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante del vincolo di coniugio, rideterminava la pena inflitta all’imputato per il delitto di atti persecutori consumato ai danni della moglie separata.

In particolare, in risposta ai motivi di appello, la Corte di merito osservava che: a)
l’intervenuta remissione di querela era inefficace in considerazione della ripetizione delle minacce, non avendo rilievo alcuno la loro gravità; b) il comportamento, talora inopportuno, della persona offesa non costituiva una scriminante della condotta dell’imputato; c) il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa non concretava un elemento essenziale del contestato delitto.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Proponeva ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi così formulati: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto di atti persecutori ascrittogli in quanto, da un lato, la Corte territoriale si era ricondotta alla motivazione del primo giudice non verificando così la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, dall’altro, facendo poi riferimento alle sole minacce inviate tramite messaggi telefonici, non aveva affrontato il punto dell’evento che l’imputato avrebbe cagionato, il perdurante stato d’ansia, o il fondato timore per la propria incolumità o il mutamento delle abitudini di vita senza considerare inoltre che si sarebbe poi dovuto tenere anche conto del fatto che la persona non aveva mostrato particolare timore del prevenuto: quando era intervenuta in una udienza del procedimento di separazione, presente anche l’imputato, e quando aveva riferito al cognato come, nel corso del litigi coniugali, entrambi passassero alle vie di fatto; 2) difetto di motivazione e violazione di legge in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato poiché il prevenuto non intendeva affatto perseguitare la moglie ma solo rivendicare le proprie esigenze abitative ed impedire, inoltre, che la figlia avuta con costei fosse costretta a frequentarne il nuovo compagno; 3) vizio di motivazione e violazione di legge per non avere ritenuto la remittibilità della querela sulla sola base della ripetitività delle minacce senza valutarne la gravità, come invece richiede la norma, l’art. 612 bis c.p., comma 4, dovendosi inoltre tenere conto dell’assoluzione del prevenuto da tutte le condotte ascrittegli.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

 

Il ricorso veniva ritenuto fondato in relazione al primo ed al terzo motivo mentre il secondo motivo, sull’elemento soggettivo del delitto, veniva assorbito dall’accoglimento del primo motivo sull’elemento oggettivo del reato.

In particolare, per quel che riguarda il primo motivo di censura, l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale “il cambiamento delle abitudini di vita può essere un sintomo della condotta illecita ma non è un requisito essenziale“, ad avviso del Supremo Consesso, era errata in considerazione della stessa lettera dell’art. 612 bis c.p. che prevede come, per configurare il delitto di atti persecutori, alla condotta, reiterata, di minaccia o molestia, debba derivare uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma: un perdurante e grave stato d’ansia o di paura, o il fondato timore per l’incolumità della vittima o di un suo prossimo congiunto o di una persona a questa legata da vincoli affettivi o, infine, il mutamento delle sue abitudini di vita.

Secondo la Suprema Corte, difatti, l’evento in questione si pone così come elemento essenziale del contestato reato e non appare sufficiente a colmare il vuoto motivazionale della Corte d’appello l’affermazione fatta dal giudice di prime cure circa la “realizzazione (in capo alla persona offesa) dell’evento costituito dal progressivo accumulo di disagio degenerato in uno stato di prostrazione psicologica della vittima“, sia perché, sempre a parere della Cassazione, non si comprende se l’accennato “disagio” si fosse trasfuso in uno degli eventi previsti dalla norma (pur apparendo prospettare “un perdurante e grave stato d’ansia“), sia perché, pur in presenza di specifico motivo di appello, la Corte territoriale non aveva fornito adeguata risposta ed anzi, meramente ipotizzando un diverso evento (“il mutamento delle abitudini di vita“), ne escludeva, tuttavia (ed erroneamente), la rilevanza.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso comportava, a sua volta, come visto prima, l’assorbimento delle censure sulla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Ciò posto, anche il terzo motivo veniva stimato fondato posto che l’affermazione della Corte di merito, secondo cui “la remissione della querela non ha potuto produrre l’effetto estentivo del reato, poiché ricorrono minacce reiterate, a nulla rilevando secondo la legge il carattere di gravità, ma la ripetizione della condotta volta a spaventare la vittima“, ad avviso degli Ermellini, confligge con la lettera della norma, l’art. 612 bis c.p., comma 4, che prevede come la querela sia irrevocabile solo quando le minacce reiterate concretino anche l’ipotesi prevista dall’art. 612 c.p., comma 2 e, quindi, “se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati dall’art. 339” del medesimo codice.
La Suprema Corte, difatti, ha affermato che: a) è irrevocabile la querela presentata per il reato di atti persecutori quando la condotta sia stata realizzata con minacce reiterate e gravi (Sez. 5, n. 2299 del 17/09/2015); b) in tema di atti persecutori, quando la condotta sia realizzata mediante minacce gravi e reiterate, non spiega alcun effetto sulla regola di irrevocabilità della querela la modifica del regime di procedibilità del delitto di minaccia grave (art. 612 c.p., comma 2) introdotta dal D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 (Sez. 5, n. 12801 del 21/02/2019).

La Corte di Cassazione, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, disponeva l’annullamento della sentenza anche sul punto della giudicata irrevocabilità della querela non avendo la Corte territoriale valutato se le minacce reiterate consumate dall’imputato avessero altresì concretato le ipotesi previste dall’art. 612 c.p., comma 2.

 

Conclusioni

 

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui, avvalendosi di un precedente conforme, si afferma che, da un lato, è irrevocabile la querela presentata per il reato di atti persecutori quando la condotta sia stata realizzata con minacce reiterate e gravi, dall’altro, che, in tema di atti persecutori, quando la condotta sia realizzata mediante minacce gravi e reiterate, non spiega alcun effetto sulla regola di irrevocabilità della querela la modifica del regime di procedibilità del delitto di minaccia grave (art. 612 c.p., comma 2) introdotta dal D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatte pronunce, proprio perché chiarisce, anche alla luce del chiaro tenore letterale dell’art. 612-bis, c. 4, c.p., quando la querela, in materia di atti persecutori, deve considerarsi irrevocabile, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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