E’ sempre obbligatoria la convocazione delle parti?

Redazione 05/12/00
PROCEDIMENTO CAUTELARE
Art. 669 sexies c.p.c.

L’art. 669 sexies c.p.c., relativamente alla trattazione dei procedimenti cautelari, così si esprime:
“Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda”.
L’inciso “sentite le parti”, così linearmente inserito nel contesto dell’articolo e valutato senza la considerazione del fine che il legislatore intendeva perseguire con tale previsione, può indurre alla errata conclusione della obbligatorietà, comunque, della convocazione delle parti.

Tale conclusione non sembra esatta se si considera una ipotesi non infrequente nella prassi.
Si verifica spesso che il giudice, alla sola lettura del ricorso introduttivo del procedimento cautelare, ritenga la sua totale infondatezza o comunque ritenga di essere in grado di rilevare la mancanza di elementi che possano consentirne l’accoglimento.

In queste ipotesi il giudice, già acquisita la consapevolezza che il ricorso non potrà essere accolto, ha due possibilità:
convocare le parti e, all’esito della trattazione, pronunciare ordinanza di rigetto del ricorso,
respingere immediatamente il ricorso.

In una ipotesi quale quella di cui si tratta la tesi di una necessaria convocazione delle parti non appare convincente e ciò in quanto alcuni elementi fanno propendere per la tesi contraria e per la conseguente possibilità (oltre che opportunità) di respingere il ricorso cautelare senza la convocazione delle parti.

Occorre premettere, ma ciò è facilmente intuibile, che nelle ipotesi di ricorso cautelare di contenuta urgenza, una convocazione può essere disposta in considerazione di un tempo minimo per le comunicazioni al resistente e di un ulteriore tempo minimo perché lo stesso appresti la propria difesa.
Si è quindi in presenza di una convocazione per la quale la decisione del giudice sul ricorso (decisione che sarà conseguente alla trattazione che si dispone) è rinviata di almeno una o due settimane.

Premesso ciò possono svolgersi alcune osservazioni a sostegno della non obbligatorietà di quella convocazione che “dilata” non utilmente i tempi della pronuncia del giudice.

La prima osservazione appare la seguente.
Nelle ipotesi in cui il giudice, alla sola lettura del ricorso introduttivo del procedimento cautelare, sia già in grado di rilevare la mancanza di elementi che possano consentirne l’accoglimento, la sua pronuncia senza la convocazione delle parti risulta realizzare pienamente, per la sua immediatezza, la funzione del procedimento cautelare
Appare evidente che, in tale ipotesi, la realizzazione della funzione del procedimento cautelare si individua proprio nella stessa celere pronuncia sul ricorso da parte del giudice senza quel “rinvio” che la convocazione delle parti renderebbe necessario.
In tale ipotesi non può neanche negarsi che (prescindendo dalla delusione per l’intervenuto rigetto) una certa soddisfazione per quella celere pronuncia debba essere della stessa parte ricorrente, la quale vede soddisfatta, con la pronuncia senza la convocazione delle parti, la primaria esigenza di ricevere l’immediata valutazione degli elementi che aveva a disposizione e che ha fornito al giudice.

Sempre soffermandosi sulla posizione della parte ricorrente occorre dire che il suo interesse a ricevere conoscenza della valutazione (pur se negativa) del ricorso senza la convocazione del resistente (sempre, si ripete, quando di tale valutazione il giudice ritiene di avere raggiunto la certezza sulla base degli elementi di cui al ricorso) sussiste anche sotto il seguente più concreto profilo.
La presenza in udienza del resistente comporterebbe (salvo l’ipotesi, non frequente in caso di rigetto del ricorso, di compensazione delle spese) una condanna del ricorrente alle spese del giudizio. Appare evidente che è tutto interesse del ricorrente, quando il suo ricorso è non fondato e ciò emerge alla sola lettura del suo atto, ottenere una pronuncia di rigetto senza la convocazione della controparte, convocazione che lo esporrebbe a sostenere inutilmente le spese della costituzione in giudizio di controparte.

Occorre a questo punto svolgere qualche considerazione sulla posizione della parte resistente che non viene convocata.

Occorre dire che non è facile ritenere che sussista un suo interesse ad essere convocata pur nell’ipotesi di ricorso la cui valutazione negativa il giudice è già in grado di effettuare alla lettura dell’atto del ricorrente.
Premesso che la questione si pone, evidentemente, solo nelle ipotesi dei ricorsi prima dell’inizio della causa di merito (per quelli in corso di causa presentati fuori udienza il rigetto del ricorso risulterebbe comunque agli atti di causa e di esso ne avrebbe certamente successiva conoscenza la parte non convocata) si osserva quanto segue.

Potrebbe sostenersi l’interesse del resistente ad avere conoscenza dell’istanza contro di lui presentata al fine di potere eccepire, in caso di futura presentazione di nuovo ricorso, la sua non proponibilità ai sensi dell’art. 669 septies c.p.c..
Tale osservazione non appare un valido sostegno alla tesi della necessità della sua convocazione.
Destinatario dell’onere di rilevare la non proponibilità del ricorso quando sussistono le condizioni di cui al primo comma dell’articolo è certamente il giudice il quale comunque dovrà, in occasione della presentazione di altro ricorso, rilevare l’eventuale sua improponibilità.
Lo scrupolo di garantire anche al resistente la possibilità di rilevare tale improponibilità non consente di propendere per una interpretazione delle norme nel senso meno favorevole per le parti, cioè una interpretazione che comporti per il ricorrente gli svantaggi già evidenziati e per il resistente spese di assistenza legale che potrebbero non essere integralmente recuperate con la successiva liquidazione effettuata dal giudice.

Per sostenere la tesi contraria a quella che qui si espone potrebbe affermarsi la necessità della convocazione delle parti per garantire alla parte ricorrente la possibilità di trattare il ricorso pervenendo anche ad una precisazione (o integrazione) della sua posizione di diritto vantata.
Non si può negare una qualche validità a tale considerazione se si fa riferimento all’interesse del ricorrente a trattare direttamente dinanzi al giudice il ricorso.
Deve invece negarsi la validità della osservazione se si vuole garantire al ricorrente la possibilità di meglio precisare (o addirittura integrare) i requisiti (rilevati dal giudice come carenti) dedotti nel ricorso. In tale seconda ipotesi si sarebbe in presenza di una convocazione con la quale garantire un fine non completamente in linea con la celere natura del procedimento cautelare.

Deve quindi concludersi ritenendo che una interpretazione della norma dell’art.669 sexies che preveda la non necessità della convocazione della controparte in ipotesi in cui alla sola lettura del ricorso il giudice pervenga al convincimento della sua non fondatezza, appare quella maggiormente in linea con gli interessi delle parti ricorrente e resistente non potendosi rilevare alcun interesse di una di esse ad ottenere, comunque, una convocazione.
Non interesse del ricorrente che, potendolo, mai sceglierebbe di andare incontro ad un rigetto con convocazione di controparte ed onere conseguente delle sue spese legali, né del resistente che, potendolo, mai sceglierebbe di vedere rigettato il ricorso di controparte dopo essere stato convocato ed essersi costituito (con indubbi fastidi personali e spese legali non interamente ripetibili) piuttosto che vedere rigettato quello stesso ricorso senza la sua convocazione.

Deve quindi ritenersi che l’espressione scelta dal legislatore (“Il giudice sentite le parti,…..”) sia da interpretare nel senso della necessità di procedere a quella convocazione nelle sole ipotesi (certamente la grande maggioranza) in cui il giudice non ritenga, sulla base della sola esposizione effettuata dal ricorrente in ricorso, la non fondatezza del ricorso.

Tale interpretazione della norma, perseguendo il massimo risultato nell’attuazione della legge con il minimo possibile impiego di attività giurisdizionale, appare rispondere anche ad un indubbio principio di economia processuale da considerarsi criterio generale al quale deve informarsi, nel rispetto della legge, l’attività del giudice.

Giugno 2000

Mariano DEL PRETE

Redazione

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