SOMMARIO: 1. La vicenda processuale. – 2. Il sistema dell’oblazione nelle contravvenzioni. – 3. In particolare, per le contravvenzioni di competenza del Giudice di Pace. – 4. Conclusioni.
1. La vicenda processuale. – Con decreto di citazione ritualmente notificato l’imputato veniva tratto a giudizio per rispondere della contravvenzione di cui all’ “art. 689 c. 2 c.p. perché in qualità di legale rappresentante dell’esercizio commerciale C.B. …. somministrava al pubblico bevande alcoliche per mezzo di distributori automatici che non consentivano la rilevazione dei dati anagrafici dell’utilizzatore mediante sistemi di lettura ottica dei documenti dell’utilizzatore, nonché in assenza di personale addetto al controllo dei detti dati anagrafici, in tal modo permettendo la vendita di alcolici anche ai minori di anni sedici”.
Alla prima udienza, preliminarmente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il difensore dava prova dell’avvenuto versamento di una somma pari ad € 1.371,00 ed invocava la dichiarazione di estinzione del reato per l’intervenuta oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p..
Il Giudice veniva così investito della questione dell’oblabilità della contravvenzione di cui all’art. 689 c.p. e, con la sentenza in commento, la risolveva positivamente.
Dalla pronuncia, ancorché relativa ad una specifica ipotesi di reato, si può trarre un interessante ed estremamente utile e generale principio di diritto circa l’oblabilità di tutte le contravvenzioni che, sebbene punite con la pena detentiva (esclusiva o congiunta a pena pecuniaria) siano di competenza del Giudice di Pace.
2. Il sistema dell’oblazione nelle contravvenzioni. – L’oblazione costituisce una forma di definizione del procedimento penale.
Sotto il profilo degli effetti sostanziali rappresenta una causa di estinzione del reato, mentre sotto il profilo processuale tende ad essere collocata tra i procedimenti speciali in virtù della sua intrinseca funzione deflattiva del dibattimento[1].
La peculiarità dell’oblazione, in un sistema dominato dal principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), risiede nell’attitudine a conferire all’autore dell’illecito la facoltà di determinare, attraverso un proprio atto volitivo, l’estinzione del reato.
Ancorché finalizzato alla deflazione del contenzioso penale, l’istituto non è stato esente da dubbi di legittimità costituzionale; incisive critiche sono state mosse sotto il profilo della disparità di trattamento che esso realizzerebbe: subordinando l’estinzione del reato alla disponibilità – o meno – di una somma di danaro, precluderebbe l’accesso a chi non sia in grado di sostenere il relativo esborso.
La Corte Costituzionale ha escluso, tuttavia, che la relativa disciplina confligga con l’art. 3 Cost.: la necessità di assoggettarsi a esborso patrimoniale graverebbe, infatti, inderogabilmente, anche su colui che non accede all’oblazione per effetto della pronuncia giudiziale sfavorevole (C. Cost., 27.6.1974, n. 207).
La tendenza del Legislatore alla depenalizzazione dei cosiddetti reati minori (cfr., da ultimo, i DD.LL.vi 7-8/2016) ha ridotto sensibilmente l’ambito operativo dell’oblazione, che si distingue in obbligatoria e discrezionale[2], ovvero – secondo altra parallela classificazione – in comune e speciale[3].
La prima, disciplinata dall’art. 162 c.p., trova applicazione nei soli casi di contravvenzione punita con la pena dell’ammenda, consiste nella facoltà riconosciuta al contravventore di estinguere il reato contestatogli pagando una somma pari al terzo del massimo edittale previsto per la fattispecie violata, oltre alle spese del procedimento, e non è soggetta a particolari condizioni.
Risolvendo un prolungato contrasto nella giurisprudenza di legittimità le Sezioni Unite hanno tuttavia chiarito come non sia applicabile l’istituto dell’oblazione – neanche obbligatoria – nei casi di contestazione di un reato permanente i cui effetti non siano cessati al momento della presentazione della domanda (Cass., SS. UU., 28.4.1999, n. 10).
La richiesta deve essere formulata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ed il giudice – cui non è riconosciuta alcuna discrezionalità nell’accoglimento dell’istanza al di là del vaglio di ammissibilità della stessa – fissa con ordinanza l’ammontare della somma da versare.
L’accertamento dell’avvenuto pagamento di quest’ultima determina, poi, l’estinzione del reato, che viene dichiarata con sentenza.
L’oblazione cosiddetta discrezionale – o speciale – è disciplinata, invece, dall’art. 162 bis c.p., introdotto per mezzo della Legge 24.11.1981, n. 689 allo scopo di inserire nella logica deflattiva dell’oblazione ipotesi di reato che, pur non punite con la sola pena dell’ammenda ma con la pena – alternativa – dell’arresto o pecuniaria, evidenziavano tuttavia nella valutazione del Legislatore un disvalore offensivo relativamente ridotto.
Essa presenta importanti differenze rispetto all’oblazione comune e viene definita discrezionale da autorevole dottrina proprio poiché i suoi limiti di ammissibilità sono ampi ed attengono sia ad aspetti di natura oggettiva sia ad un penetrante potere di valutazione della gravità del fatto rimesso al giudice: non è accessibile da contravventori recidivi reiterati (art. 99, comma 4, c.p.), abituali (art. 104 c.p.) o professionali (art. 105 c.p.) o quando permangano conseguenze dannose o pericolose del reato che, benché eliminabili, il contravventore non abbia provveduto a rimuovere; l’importo da corrispondere è elevato, invece, alla metà del massimo edittale.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di oblazione, la pena prevista dalla fattispecie di reato oggetto di contestazione debba essere intesa in astratto (ovvero, in riferimento alla previsione sanzionatoria edittale) e non quale sanzione concretamente irrogabile (ad es. in quanto risultato della sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria ai sensi dell’art. 53 L. 689/1981); non incide, inoltre, sull’operatività dell’istituto l’eventuale previsione legislativa di sanzioni accessorie[4] o della confisca obbligatoria del corpo di reato.
3. In particolare, per le contravvenzioni di competenza del Giudice di Pace. – In questo generale contesto normativo si colloca la questione dell’oblazione delle contravvenzioni di competenza del Giudice di Pace.
Nel silenzio del Legislatore, la soluzione positiva è stata espressamente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Cass., sez. IV, 30.10.2002).
Nel caso di reato contravvenzionale di competenza del Giudice di Pace si pone, tuttavia, l’ulteriore problematica di verificare se: 1) il giudizio di ammissibilità della richiesta di oblazione, 2) il calcolo della somma da versare debbano farsi in relazione alla pena prevista dalla fattispecie incriminatrice ovvero alle sanzioni irrogabili dalla predetta Giurisdizione ai sensi dell’art. 52, comma 2, D. Lgs. 28.8.2000, n. 274.
La soluzione non è priva di riflessi pratici, ben esemplificati dal caso in commento.
La fattispecie prevista dall’art. 689 c.p., infatti, è punita “con l’arresto fino a un anno”.
In quanto sanzionata con l’esclusiva pena detentiva non dovrebbe, pertanto, essere oblabile.
Il trattamento sanzionatorio previsto dalla norma incriminatrice, tuttavia, trattandosi di fattispecie di reato attratta alla competenza per materia del Giudice di Pace, va coordinato con la previsione dell’art. 52, comma 2, lettera b), cit. D. Lgs. 274/2000, per cui: “quando il reato è punito con la sola pena della reclusione o dell’arresto, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da € 516 a € 2.582 o la pena della permanenza domiciliare da quindici giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi”.
Può detta ultima norma costituire parametro di riferimento ai fini dell’ammissione all’oblazione e del computo della somma da versare?
Il Giudice di Pace con la sentenza in commento perviene alla soluzione positiva, argomentando efficacemente sulla base di due principi generali del diritto: il criterio temporale di risoluzione delle antinomie fra fonti del diritto di pari grado (lex posterior derogat priori), che consente di sciogliere “l’apparente conflitto sanzionatorio fra le due norme (art. 689 c.p. e 52, co. 2, lett. b) D. Lgs. 28.8.2000 n. 274) in favore di quest’ultima disposizione”, ed il favor rei di cui agli art. 27, comma 2, Cost. e, più in particolare, 531, comma 2, c.p.p. (“1. Salvo quanto disposto dall’art. 129, co. 2, il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo. 2. Il giudice provvede nello stesso modo quando vi è dubbio sull’esistenza di una causa di estinzione del reato”).
4. Conclusioni. – La decisione in commento, ancorché produttiva di non indifferenti effetti sotto il profilo di politica criminale (di fatto conduce a ritenere estinguibili per oblazione tutte le contravvenzioni di competenza del Giudice di Pace, benché punite dalla norma incriminatrice con la pena detentiva, sola o congiunta a quella pecuniaria), va senz’altro condivisa.
La stessa, infatti, oltre a fondarsi solidamente sui principi di temporalità e favor rei, risulta giustificata pure dall’interpretazione storico-sistematica e dalla giurisprudenza nomofilattica della Suprema Corte.
Contribuisce, in altri termini, alla deflazione del contenzioso pendente innanzi al giudice penale (obiettivo, questo, affannosamente perseguito dal Legislatore mediante i vari interventi di depenalizzazione e, da ultimo, i DD, LL.vi 7 ed 8 del 2016) e si inserisce nel solco di un, recente benché poco noto, arresto della Corte di Cassazione, per cui: “L’oblazione facoltativa di cui all’art. 162 bis c.p. trova applicazione anche nei reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace puniti con la pena pecuniaria o, in alternativa, con la permanenza domiciliare ovvero con il lavoro di pubblica utilità, dal momento che tali ultime sanzioni, per ogni effetto giuridico, si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria, ai sensi dell’art. 58 comma 1 D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274” (Cass. pen., sez. IV, 4 dicembre 2003, n. 46520 ( 29 ottobre 2003) Ric. P.M. in proc. Fabris).
[1] Cfr., in giurisprudenza, Cass., sez. III, 26.2.1998, n. 4851, per cui “risponde ad un chiaro scopo di deflazione della repressione penale”; nonché, in dottrina, P. TONINI, Manuale di procedura penale, VI ed., Milano, p. 672.
[2] R. VENDITTI, Il diritto – Enciclopedia giuridica, voce Oblazione, 2007, Milano, 249.
[3] G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale – Parte generale, III ed., Bologna, 745.
[4] Cass., sez. IV, 11.12.202, n. 10777.
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