Introduzione: il caso concreto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate e la decisione della Corte.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n° 73/2020, emessa il 7.4.2020, depositata e pubblicato in G.U. il 24.4.2020, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69 comma 4 c.p. nella parte in cui vieta la prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 c.p. sulla recidiva di cui all’art. 99 comma 4 c.p.
Il caso concreto (sottoposto all’attenzione della Corte) è estremamente semplice.
I due imputati, V.M. e V.V., erano stati tratti a giudizio, dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, per rispondere del reato di furto pluriaggravato in concorso, con contestazione (ad entrambi) della recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, in quanto i prevenuti si erano resi responsabili, anche in tempi recenti, della commissione di plurimi reati contro il patrimonio.
Nel giudizio, svoltosi nelle forme del rito abbreviato (nel quale è stata svolta perizia psichiatrica al fine di accertare la capacità di intendere e di volere degli imputati), è stata accertata l’esistenza di un vizio parziale di mente tale da scemare grandemente la capacità di intendere e volere degli imputati.
E’ risultato, infatti, che entrambi gli imputati erano affetti da gravi disturbi della personalità tali da incidere seriamente sulla loro capacità di intendere e di volere scemandola pur senza abolirla completamente, come confermato anche dal fatto che, in due occasioni, V.V. era stato prosciolto da precedenti imputazioni per vizio totale di mente ed un’altra volta gli era stato riconosciuto il vizio parziale con giudizio di prevalenza (malgrado la recidiva contestata); mentre a V.M., in una occasione, era stato riconosciuto il vizio parziale di mente equivalente alla recidiva.
Il Tribunale di Reggio Calabria, sulla base di tali risultanze, su richiesta del P.M. a cui le difese si sono associate, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 comma 4 c.p. nella parte in cui vieta la prevalenza della attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p. sulla recidiva di cui all’art. 99 comma 4 c.p.
Il Giudice remittente ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 69 comma 4 c.p. nella parte in cui vieta la prevalenza della attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p. sulla recidiva qualificata per contrasto con gli artt. 3, 27, primo e terzo comma, Cost., ritenendo che l’automatismo sanzionatorio previsto dalla norma censurata (che vieta, indiscriminatamente, la prevalenza della suddetta circostanza attenuante, inerente alla persona del colpevole, sulla recidiva c.d. qualificata) sia irragionevole e manifestamente arbitrario, nella misura in cui non consente il rispetto del principio di proporzionalità della pena (che include, oltre che la dimensione oggettiva del fatto, anche la componente subiettiva del suo autore) e di personalità della responsabilità penale che impone una risposta sanzionatoria individualizzata anche al fine di consentire alla pena l’assolvimento della sua finalità rieducativa; ha dedotto anche la violazione dell’art. 32 Cost., nella parte in cui il semi-infermo di mente non riceverebbe dall’ordinamento una risposta alla commissione di un fatto reato che sia non solo funzionale alla rieducazione ma anche e soprattutto improntata alla tutela della sua salute. La Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, ha ritenuto le suddette questioni fondate (dichiarando assorbita quella relativa alla violazione dell’art. 32 Cost.) e dichiarato, conseguentemente, l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 comma 4 cp nella parte in cui vieta la prevalenza del vizio parziale di mente sulla recidiva qualificata, in quanto l’automatismo sanzionatorio previsto dalla norma censurata viola sia il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. (verrebbe inflitta la stessa pena al recidivo, pienamente capace, che delinque nuovamente, ed al soggetto che ricade nel reato che essendo affetto da vizio di mente abbia una ridotta capacità di comprendere e di rappresentarsi il disvalore della sua condotta) sia il principio di proporzionalità della pena di cui all’art. 27 comma 3 Cost. il quale impone che la risposta sanzionatoria sia parametrata non solo alla concreta offensività del fatto di reato ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo, in attuazione del mandato costituzionale della personalità della responsabilità penale.
La declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 69 comma 4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 c.p. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, comma 4, c.p. Verso la riaffermazione del principio della necessità di individualizzazione e personalizzazione del trattamento sanzionatorio con un invito (non tanto velato) della Corte ad una maggiore sinergia nella prassi applicativa tra pene e misure di sicurezza.
La declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 69 comma 4 c.p., adottata dalla Corte con la sentenza n° 73/2020, colpisce una norma già ripetutamente censurata sotto il profilo della ragionevolezza sotto altri aspetti. L’aspetto significativo della pronuncia è che viene affermato (in modo deciso e chiaro) che il rispetto del principio di proporzionalità della pena va valutato non solo in base alla componente oggettiva del fatto ma anche a quella soggettiva del suo autore, all’insegna di una risposta sanzionatoria (che per essere legittima e non tradursi in arbitrio, con conseguente e irrimediabile compromissione della finalità rieducativa sottesa alla pena) deve essere individualizzata e personalizzata, calibrata sulla persona del condannato. Il principio di proporzionalità si affranca così dal ristretto ambito della offensività concreta della condotta per estendersi (in bonam partem) anche al grado di rimproverabilità soggettiva che lo connota.
Un meccanismo sanzionatorio automatico (che non consente di tener conto di questo) finisce per essere così irragionevole e sproporzionato in quanto non considera che la valenza negativa del rimprovero che si muove a chi ricade nel delitto, anche al recidivo qualificato, è destinato, per forza di cose, necessariamente ad attenuarsi per chi abbia (a causa di un vizio parziale di mente) una ridotta capacità di comprendere e rappresentarsi il disvalore della sua condotta. La pena, per essere costituzionale, deve, dunque, tener conto del diverso grado di rimproverabilità soggettiva che connota l’autore del fatto e della grave compromissione alla sua capacità di autodeterminazione.
La Corte coglie poi l’occasione per chiarire, anche, che la conclusione dalla stessa raggiunta (e cioè che l’attenuante del vizio parziale di mente possa prevalere sulla recidiva qualificata) non comporta un sacrificio delle esigenze di tutela della collettività dalla accentuata pericolosità sociale espressa dal recidivo reiterata, affermando che le esigenze di tutela della collettività sono assolte dalla applicazione delle misure di sicurezza (che richiedono esclusivamente l’accertamento della pericolosità sociale dell’autore del fatto, da compiere caso per caso e che deve essere oggetto di rivalutazione nel tempo) che non hanno peraltro carattere “punitivo” e che non possono incidere dunque sulla fisionomia costituzionale della pena, auspicando che venga realizzata nella prassi quotidiana una maggiore sinergia tra pene e misure di sicurezza in modo da consentire una adeguata prevenzione del rischio di commissione di nuovi reati da parte del condannato semi-infermo di mente che non comporti forzature indebite alla funzione costituzionale della pena, intesa come risposta proporzionata dell’ordinamento ad un fatto di reato oggettivamente offensivo e soggettivamente rimproverabile al suo autore. A questo punto, appare possibile formulare delle considerazioni conclusive.
Conclusioni
La pronuncia della Corte Costituzionale n° 73/2020 è destinata ad avere un immediato e significativo impatto nella prassi applicativa quotidiana. La sentenza in commento è destinata ad essere applicata ai procedimenti penali pendenti, in cui sia stata dichiarata la equivalenza o subvalenza della attenuante del vizio parziale di mente sulla recidiva qualificata in base all’automatismo sanzionatorio previsto dalla norma censurata (ora dichiarato incostituzionale), essendo del tutto evidente che la declaratoria di incostituzionalità della norma comporta una espansione del potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena che non sarà più vincolato a tale preclusione e potrà ri-valutare, con adeguata e logica motivazione, la proporzionalità e legalità della pena applicata eventualmente riducendola in base al minore coefficiente di rimproverabilità e grado subiettivo di responsabilità del suo autore adeguando così la risposta sanzionatoria alla personalità dell’autore del fatto; la richiesta di diminuzione del trattamento sanzionatorio (collegata agli effetti della sentenza della Corte Costituzionale, che, come noto, si manifestano ex nunc ma retroagiscono ex tunc) è, ad avviso dello scrivente, consentita in grado di appello anche quando l’impugnazione abbia avuto ad oggetto soltanto l’affermazione della responsabilità penale – e a maggior ragione quando si sia contestato la misura della pena o la sua eccessività – trattandosi di questione che non poteva essere dedotta prima della pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale e che può, ad avviso dello scrivente, trovare ingresso nel giudizio di appello attraverso la presentazione di motivi nuovi ex art. 585 c.p.p. o anche di memorie ex art. 121 c.p.p.
Infine, sempre ad avviso di chi scrive, anche i titoli esecutivi sono suscettibili di adeguamento e correzione mediante lo strumento dell’incidente di esecuzione, in cui il condannato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 136 comma 1 Cost. e 30 commi 3 e 4 della legge n° 87/1953, chieda al Giudice dell’Esecuzione che venga applicata una riduzione della pena (con prevalenza della attenuante del vizio parziale di mente sulla recidiva qualificata, in base alla rimozione dell’automatismo sanzionatorio previsto dalla norma censurata che vietava tale prevalenza), in modo da ricondurre la pena entro la sua cornice di “legalità” e di renderla rispettosa della finalità rieducativa a cui deve assolvere. Non vi è dubbio, infatti, che il giudice dell’esecuzione sia giudice della “legalità” della pena e che non non può essere ritenuta tale quella che sia sproporzionata al coefficiente subiettivo di responsabilità e al grado di rimproverabilità dell’autore del fatto, essendo dunque consentito un intervento del giudice dell’esecuzione (teso a ripristinare la legalità della pena) che dovrà tener conto dei parametri e dei criteri di cui all’art. 133 c.p. e degli elementi risultanti dagli atti del procedimento e motivare adeguatamente il suo convincimento nell’esercizio del proprio potere discrezionale sul punto. Dovrà insomma compiere una valutazione individualizzante della correttezza ed adeguatezza della risposta sanzionatoria che prima era preclusa e che adesso è consentita perché in linea con la fisionomia costituzionale della pena, da intendersi come reazione proporzionata dell’ordinamento ad un fatto di reato oggettivamente offensivo ma anche, e necessariamente, soggettivamente rimproverabile al suo autore.
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