È valida la delibera che approva la domanda di condono edilizio del tetto, anche se la decisione è votata da condomini direttamente interessati a sanare gli abusi

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riferimenti normativi: artt.  1136 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. II, Sentenza n. 13011 del 24/05/2013

La vicenda

L’assemblea di un condominio ratificava una domanda di sanatoria edilizia dei lavori eseguiti sul tetto condominiale. Un condomino riteneva che tale decisione fosse illegittima per l’esistenza di un conflitto di interessi che, se considerato, avrebbe inciso sul quorum, impedendo l’approvazione della delibera (infatti quattro condomini avevano interesse a mantenere la nuova situazione del tetto, che rendeva abitabili i loro vani sottotetto o comunque a sostenere sanatoria amministrativa per evitare riflessi penali delle loro condotte); in ogni caso riteneva che la decisione avrebbe dovuto essere approvata all’unanimità o, quantomeno, con una maggioranza del 70% del valore delle quote condominiali.  Per quanto sopra impugnava, ai sensi dell’articolo 1137 c.c., la delibera, sostenendo la sua invalidità in quanto viziata per conflitto di interessi. Il Tribunale respingeva la domanda in quanto riteneva insussistente il conflitto. Il condomino ricorreva in appello e nel giudizio si costituiva l’amministratore per sostenere la validità della delibera. La Corte di Appello confermava la sentenza. Al condomino contrario all’approvazione della domanda di condono non rimaneva che  ricorrere in Cassazione, contestando sia la validità della delibera, sia la legittimazione dell’amministratore; secondo il ricorrente, infatti, nell’elencazione delle attività di competenza dell’amministratore di cui all’art. 1130 c.c. non sarebbe compresa la facoltà di resistere alla causa promossa per l’annullamento di una delibera; inoltre rilevava come secondo l’art. 1131 c.c., qualora la citazione abbia un contenuto che esorbita dalle sue attribuzioni, l’amministratore debba darne senza indugio notizia all’assemblea del Condominio; infine notava che secondo l’art. 1136 c.c. le deliberazioni per promuovere o resistere alla lite devono essere adottate con la “maggioranza rafforzata”.

La questione

È valida la delibera che approva la domanda di condono edilizio del tetto, con il voto favore di quattro condomini, proprietari del sottotetto, direttamente interessati a sanare gli abusi?

La soluzione

La Corte di Cassazione ha dato ragione al condominio.

In particolare, in merito al denunciato vizio di conflitto di interessi della delibera, la Corte di Cassazione sostiene che lo stesso ricorre qualora il ricorrente dimostri in concreto l’esistenza di una divergenza tra le ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto è stato necessario per raggiungere la maggioranza, e un contrario interesse istituzionale del condominio. Il ricorrente, però, non ha fornito questa prova. In ogni caso i giudici supremi hanno osservato pure che l’esecuzione e la difesa delle delibere assembleari rientrano tra le attribuzioni proprie dell’amministratore.

È principio consolidato, infatti, che l’amministratore sia legittimato ad agire e resistere senza alcuna autorizzazione nei limiti stabiliti dall’articolo 1130 c.c.

Le riflessioni conclusive

In primo luogo merita di essere ricordato che non esiste nessuna limitazione alla legittimazione passiva dell’amministratore per qualsiasi azione, anche reale, promossa contro il condominio da terzi o da un condomino in ordine alle parti comuni dell’edificio.

L’amministratore è legittimato processualmente (sia in forma attiva che passiva), senza la necessità di una delibera preventiva di autorizzazione.

Quanto sopra vale anche se un condomino impugna una delibera che ritiene invalida perché assunta con il voto favorevole di uno o più condomini in conflitto di interessi.

Il conflitto di interessi può avere luogo anche nella materia condominiale sotto vari aspetti. L’importante ipotesi tradizionale riguardava l’amministratore incaricato di rappresentare qualche condomino nell’assemblea in virtù della delega che aveva ricevuto, ma non è più attuale dopo che il nuovo l’art. 67 disp. att. c.c., introdotto dalla legge di riforma n.220/2012, ha vietato in modo assoluto all’amministratore di ricevere deleghe dai condomini.

La situazione principale, perciò, riguarda il condomino, portatore di un proprio interesse individuale in conflitto con quello generale degli altri condomini, il cui voto non viene espresso nell’interesse comune, ma esclusivamente nel proprio, in contrasto con quello di  tutti.

Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, cioè di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio.

È onere di colui che impugna la delibera per l’esistenza di un conflitto fornire la c.d. prova di resistenza, ovvero che la decisione sarebbe stata diversa escludendo il voto del soggetto in conflitto (Cass., sez. II, 11/02/2019, n. 3925).

Secondo l’orientamento meno recente deve essere esclusa la rilevanza del voto del condomino che si trova in conflitto di interessi nella votazione; e questa regola è stata tratta non solo dai principi generali in materia di rappresentanza, ma anche dall’applicazione analogica dell’art. 2373 c.c., dettato per la materia societaria.

Tuttavia la riforma del diritto societario realizzata dal d.lgs. n. 6/2003 ha rimodulato in maniera significativa l’art. 2373 c.c.

Di conseguenza, più recentemente, si è affermato che, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del “quorum” costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto (Cass. civ., sez. II, 28/09/2015, n. 19131).

Nel testo dell’art. 2373 c.c., conseguente alla riformulazione operatane dal d. Igs. n. 6 del 2003, è venuta meno la disposizione che portava a distinguere, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell’assemblea e quorum deliberativo della stessa, e si afferma unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci, che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile, a norma dell’art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno.

Questo significa che solo se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l’“interesse istituzionale del condominio” e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida.

Non è tanto il conflitto di interesse in sé, quindi, ad essere sanzionato o il vantaggio del singolo votante, quanto le ricadute sul condominio stesso.

L’invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa decisione assembleare, ma anche dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea).

Alla luce di quanto sopra risulta evidente come il condomino in conflitto di interessi abbia comunque diritto a partecipare all’assemblea con all’ordine del giorno la questione che ha generato il conflitto e, pertanto, debba essere convocato anche a tale adunanza assembleare.

Del resto l’articolo 1136 c.c. non prevede alcuna deroga alla partecipazione di ogni condomino, tanto è vero che viene espressamente previsto come l’assemblea non possa deliberare se non venga appurato che tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati (Trib. Bari 8/04/2019).

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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