Eccesso colposo nell’uso delle armi: è possibile il concorso della vittima?

Possibile l’applicazione del concorso della vittima ex. Art. 1227 c.c. in ipotesi di fatto illecito qualificato come eccesso colposo nell’uso delle armi?

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Possibile l’applicazione del concorso della vittima ex. Art. 1227 i comma cc in ipotesi di fatto illecito qualificato come eccesso colposo nell’uso delle armi?
Nella sentenza numero 26057 del 04.10.2024 la III Sezione della Corte di Cassazione, presidente Travaglino, relatore Spaziani, affronta il tema della rilevanza del contegno del danneggiato in seguito a condotta del responsabile configurante l’ipotesi di eccesso colposo nell’uso delle armi, segnalando la questione come di particolare rilevanza e rimettendone la discussione alla pubblica udienza.
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Corte di Cassazione -sez. III civ.- sentenza n. 26057 del 04-10-2024

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Indice

1. I fatti di causa e i giudizi di merito: l’eccesso colposo nell’uso delle armi


Tizio decedeva in seguito ad uno scontro a fuoco con dei poliziotti, e i suoi congiunti convenivano in giudizio l’Agente, il Ministero degli interni e la Presidenza del consiglio dei Ministri onde sentirsi dichiarare responsabili dell’evento e ottenere il relativo risarcimento dei danni non patrimoniali subiti in seguito al decesso del proprio congiunto.
La vicenda civile aveva un antecedente nel processo penale a carico del poliziotto, il quale veniva riconosciuto colpevole con sentenza definitiva del reato di cui agli artt. 55 e 589 codice penale.
In particolare, nel suddetto processo penale si accertava che la notte dei fatti, Tizio camminava con una valigetta in mano nella pubblica via, quando incontrò la pattuglia di poliziotti in servizio notturno.
Tizio, dopo essere stato fermato, e poggiata in terra la valigetta, estrasse una pistola, puntandola contro gli agenti. Questi ultimi, al fine di scampare il pericolo, ripartirono ad elevata velocità, ma poco dopo fecero inversione di marcia e ritornarono verso Tizio, il quale nel frattempo si era inginocchiato e puntava la pistola con il braccio teso verso i poliziotti, a causa dei fari dell’auto che lo accecavano. Tra poliziotti, riparati dagli sportelli dell’auto aperti, e vittima vi erano una ventina di metri di distanza, e uno dei due poliziotti, con la pistola di ordinanza, sparò verso Tizio, il quale invece rimase inerte, ferendolo mortalmente con uno degli otto colpi esplosi nei suoi confronti.
Il giudice penale aveva ritenuto sussistenti i presupposti di due cause di giustificazione (legittima difesa e uso legittimo delle armi), atteso che i poliziotti avevano, per un verso, il diritto di tutelare la propria vita e integrità fisica dall’aggressore e, per l’altro, il dovere di prevenire eventuali azioni illecite di quest’ultimo, respingendo la violenza da lui posta in essere, ma aveva stimato che, in concreto, sia il pericolo per la vita e l’integrità fisica dei poliziotti, sia quello per la tutela dell’ordine e dell’incolumità pubblici apparivano molto limitati se non inesistenti.
Quanto al primo perché l’aggressore era rannicchiato e senza riparo in mezzo alla carreggiata, nonché abbagliato dai fari dell’auto di servizio, mentre gli agenti erano riparati dietro gli sportelli blindati e avevano una perfetta visuale della sagoma dell’uomo; quanto al secondo perché era notte e non vi era traffico, con relativa assenza di rischi per l’incolumità di terze persone.
Per tali ragioni il processo penale si definiva con l’accertamento dell’ipotesi delittuosa dell’eccesso colposo nelle cause di giustificazione, per evidente insussistenza del necessario requisito della proporzione tra la condotta offensiva e violenta dell’aggressore e la condotta difensiva e respingente dei poliziotti.
Quanto alle statuizioni civili, poi, il Giudice penale condannava il poliziotto al risarcimento del danno da quantificarsi in sede civile e al pagamento di una provvisionale.
Il tribunale adito in primo grado accolse la domanda, condannando il Ministero degli interni e il poliziotto in solido al risarcimento dei danni ai congiunti nella misura aggiuntiva di euro 250.000 rispetto a quanto liquidato con la provvisionale. In particolare il Tribunale di merito qualificò la responsabilità del Ministero ex. art. 2049 cc ed escluse il concorso della vittima nel fatto illecito. 
La Corte d’appello adita da Ministero accolse in parte il gravame, sulla scorta Corte in una risalente pronuncia (Cass. 22/10/1968, n. 3394) – secondo cui “nell’ipotesi di danno causato per eccesso colposo di legittima difesa non è consentito relegare al ruolo di semplice occasione rispetto alla produzione dell’evento l’azione antigiuridica che ha determinato l’azione difensiva dell’aggredito danneggiante”, giacché, in tale ipotesi, ricorre una “azione necessitata dall’esigenza di respingere l’ingiusta offesa altrui” e, “avuto riguardo a codesto indissolubile legame fra offesa ingiusta altrui ed eccesso colposo nella difesa, alla prima va riconosciuto il carattere di causa concorrente nel processo eziologico che ha determinato l’evento dannoso a carico dell’autore dell’offesa ingiusta“.
Il danno venne quindi ridotto del 50%. Vuoi perfezionare la tua tecnica nella redazione degli atti civili? Esplora il manuale “Tecniche di redazione degli atti civili” per migliorare la tua pratica professionale.

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2. Il ricorso di legittimità


Propongono ricorso per cassazione gli eredi di Tizio, con due motivi ex. art. 360 I comma n. 3 dei quali il primo di particolare pregio e singolarità, con il quale si censura la violazione degli articoli 55 e 185 cod. pen.
Si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente il concorso di colpa della vittima nell’evento dannoso, ponendo la questione di diritto dell’applicabilità dell’art. 1227 I comma cc all’azione violenza o alla condotta di resistenza del pubblico ufficiale che con armi o altro mezzo di coazione fisica eccede colposamente detto uso. Si pone, quindi, la questione della rilevanza dell’azione violenta o della condotta resistente del danneggiato ai fini della riduzione del risarcimento del danno dovuto dal pubblico ufficiale che abbia colposamente ecceduto i limiti stabiliti dalla legge nella posizione in essere del comportamento scriminato ai sensi dell’53 cp. In ordine alla questione non esistono orientamenti giurisprudenziali consolidati in relazione all’esimente dell’uso legittimo delle armi, circostanza diversa da quella della legittima difesa sulla scorta della quale la Corte ha deciso il caso.
Per tale motivo, e attesa la dignità di “questione di diritto di particolare rilevanza” la causa viene rimessa ex. art. 375 cpc alla pubblica udienza con la presenza fisica dei difensori e del pubblico ministero.
Vi terremo aggiornati.

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