Abstract: L’Autrice propone una breve lettura interdisciplinare di un documento, forse poco conosciuto ma tanto importante, sui diritti della bambina.
“Bambina”, nome comune di persona, singolare, di genere femminile, relativo all’età della fanciullezza. Affinché ogni bambina possa godere di diritti comuni a tutte, della sua individualità, della sua personalità e della sua fanciullezza, esiste la “Carta dei diritti della bambina” (con l’aggiunta, nel titolo, dell’enunciato “La bellezza della diversità”), un atto a livello regionale (e non universale), breve e non vincolante (perché non emanato da organi istituzionali), approvato a Reykjavik (Islanda) nel 1997, come frutto soprattutto dell’associazionismo femminile. Tra l’altro, offre tracce per un percorso di “educazione alla e della femminilità”, scevra da pregiudizi e stereotipi, rivolto principalmente a istituzioni e neogenitori. La nuova versione della Carta, approvata il 30 settembre 2016, ha aggiunto degli elementi testuali che invitano ancor di più alla riflessione e alla conseguente applicazione di quanto enunciato.
Significativo è già l’incipit “Ogni bambina”, che sottolinea la singolarità e l’unicità di ogni persona di sesso femminile, perché è diverso dal dire “le bambine” o “la bambina”. Ogni bambina ha il diritto di vivere la sua età, la sua natura femminile, il suo crescere e il suo differenziarsi dagli altri e da altro, rispetto alle altre bambine, agli altri bambini e agli adulti.
Nell’art. 1 (della formulazione originaria) si parla di “rispetto”, che etimologicamente significa “guardare dietro, guardare di nuovo”. Quello sguardo di cui ha bisogno ogni bambina, dall’inizio e sempre. Quel rispetto che richiede educazione dello sguardo e allo sguardo, educazione alla corporeità. Componenti su cui si basa tutta la Carta dei diritti della bambina sino alla sua chiusura nell’art. 9 in cui si disciplina la pubblicità, così onnipresente nella quotidianità. Il circolo virtuoso della Carta, in termini di coerenza ed essenza, dovrebbe diventare “magna charta” nella realtà, che è purtroppo lontana dalle sempre fattuali e progettuali disposizioni della Carta.
Ogni bambina ha diritto a una “Formazione educativa ai problemi economici e politici che le permetta di diventare una cittadina a tutti gli effetti” (art. 5 Carta dei diritti della bambina). Ogni donna deve imparare a essere padrona (dal latino “domina”) di se stessa per esserlo della vita che può donare. La femminilità è una ricchezza e, in quanto tale, non deve essere né venduta né svenduta ma amorevolmente offerta; di questo sono responsabili tanto la donna quanto l’uomo. In una coppia l’unica norma imprescindibile è il rispetto reciproco, tutto il resto può essere anormalità (rispetto alle convenzioni sociali o alle abitudini diffuse): il miglior modo per regolare la propria vita è regalare la propria vita. Femminilità è fonte di felicità, è educazione alla vera felicità. Come scrive la storica Lucetta Scaraffia: “Oggi le donne hanno compiuto molti progressi, sono più autonome, meno condizionate dai giudizi altrui. Ma a volte rischiano di dimenticare che la felicità non sta in una vita piacevole e protetta, bensì nell’amore che si sa dare agli altri dimenticando se stessi e i propri interessi”.
Ogni donna deve essere educata al vero senso della femminilità ricordando che letteralmente “femmina” è “quella che allatta, che nutrisce” e che, pertanto, è un carattere vitale che ha in sé e con sé e bisogna esprimere (“premere per fare uscire” da sé), in modo costruttivo per sé e per gli altri, per non “sterilizzarsi”. In tal senso la Carta dei diritti della bambina e in particolare l’art. 6 in cui si legge: “Informazione e conoscenza su tutti gli aspetti della salute, compreso quelli relativi alla salute sessuale e riproduttiva, che le permettano di godere di una maternità responsabile”. Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro sostiene: “Come il salmone che, attraverso inaudite fatiche e pericoli, risale il fiume controcorrente per assolvere al compito che la natura gli ha dato, ossia essere fertile, anche una donna senza figli ha un compito: lasciare in questa vita un segno, se non un figlio, una piccola o grande opera dell’ingegno e della fantasia, un po’ di bene per chi ne ha bisogno. In altre parole, tanto amore per se stessa e per gli altri”.
Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni precisa: “Le vicende amorose sono talvolta paragonabili alla forza misteriosa del nucleo dell’atomo. Una rottura può provocare un’emissione di energia inaudita, che si esprime in tempeste di emozioni e in gesti difficili da capire. Soprattutto se la rottura viene da una sola parte, e dopo pochi mesi di relazione. Quando cioè si è ancora nella fase dell’innamoramento, in cui predominano gli aspetti idealizzanti: tutto è bello, l’altra persona è la migliore che si potesse trovare, stare insieme è ogni volta bellissimo. È il tempo che consente di equilibrare questa visione con i limiti e i difetti che si riscontrano gradualmente nell’altra persona, e con la consapevolezza della difficoltà, oltre che della bellezza, dello stare insieme”. È questa l’educazione sentimentale, ancor prima di quella sessuale, in cui bisogna far crescere gli adolescenti, in particolare le ragazze per il rispetto del loro corpo e del loro essere, anche per evitare gravidanze o aborti in età adolescenziale o altri esiti peggiori. Si tenga conto dell’art. 7 della Carta dei diritti della bambina: “Sostegno positivo a scuola e a casa per affrontare serenamente i cambiamenti fisici ed emotivi della pubertà”.
Ogni bambina ha il diritto di “Non essere bersaglio della pubblicità che promuove il fumo, l’alcool e altre sostanze dannose” (art. 9 Carta dei diritti della bambina): può essere dannoso anche il culto dell’immagine e del corpo. Come afferma la scrittrice Michela Murgia: “Molto spesso le donne, ma non solo, per essere accettate sono costrette ad adeguarsi a canoni di omologazione che non rispettano l’identità di persone uniche e irripetibili. L’unica speranza è, invece, quella di poter essere amati per quello che si è veramente, oltre i chili di troppo o l’eccessiva magrezza, al di là delle rughe o dell’abito che si porta”.
Ancor più incisivo è il nuovo testo dell’art. 9 della Carta: [Ogni bambina ha il diritto] “Di non essere bersaglio, né tanto meno strumento, di pubblicità per l’apologia di tabacco, alcol, sostanze nocive in genere e di ogni altra campagna di immagine lesiva della sua dignità”. La donna, sin dalla tenera età, deve conoscere e cogliere la sua integrità e la fecondità delle sue differenze psicofisiche. Per essere donne non conta l’apparenza, l’immagine, il piacere e compiacere agli uomini, quello che si mostra, ma quello che si rivela e che si porta dentro e oltre: la vita, la potenzialità di vita. E in questo hanno un ruolo fondamentale i genitori, in particolare le mamme, che non devono far adottare alle bambine abbigliamento e atteggiamento da adulte. La femminilità non è uno strumento né deve essere strumentalizzata: è essere, è modo d’essere, di comunicare e di vivere.
Lo scrittore Kahlil Gibran già si chiedeva: “Verrà il giorno in cui la donna riunirà in sé la bellezza e conoscenza, versatilità e virtù, delicatezza fisica e forza d’animo?”. La donna torni a essere se stessa affinché ogni uomo (dal figlio della vita al compagno di vita) divenga se stesso: educare in tale direzione ed emozione ogni bambina (e ogni bambino), come si ricava pure dalla Carta dei diritti della bambina.
Secondo alcuni etimologi il significato di “carta” deriva da “scolpire, incidere”: affinché la Carta dei diritti della bambina consenta una vita libera e dignitosa e una convivenza sana e serena alle piccole donne e ai piccoli uomini di oggi e di ogni tempo, occorre che la Carta sia concretamente impressa nei piccoli gesti di ogni giorno, a cominciare da quello che si guarda in televisione o che si dice e si fa in famiglia, anche mentre si sta insieme a tavola.
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