Un conoscente qualche giorno fa mi chiedeva se in caso di contenzioso fiscale, alla cui fonte sussiste una valutazione privilegiata del compromesso rispetto all’atto definitivo di compravendita, vi sia il presupposto per un risarcimento di danno per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 del c.p.c. ed a quale giurisdizione spetta decidere su un’eventuale richiesta risarcitoria.
Dare un parere, su una vicenda che vede il confluire di più istituti e principi processuali, oltrechè sostanziali, non può prescindere da un’oggettiva e legale valutazione almeno delle figure normative del compromesso di vendita e dell’atto definitivo e quindi sommariamente di quella di lite temeraria e danno.
Pertanto è opportuno procedere con metodo prima di giungere a conclusioni condivise peraltro recentemente anche dalla Suprema Corte con sentenza n. 13899 del 03 giugno 2013.
Per accelerare i termini della disquisizione è necessario quindi partire direttamente dall’istituto civile della trascrizione del contratto preliminare di vendita di beni immobili che è stata introdotta, nel sistema legislativo italiano, dall’art. 3, 1° comma del D. L. 31 dicembre 1996, n. 669, successivamente convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30 con l’aggiunta dell’art. 2645 bis al codice civile.
Il legislatore ha previsto, a mente del novello art. 2645 bis comma 1°, così introdotto, che i contratti preliminari di compravendita, anche se sottoposti a vincoli di natura giuridica o afferenti a edifici da costruire o in corso d’opera ed aventi ad oggetto la stipula di uno dei contratti di cui ai n. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 2643 c.c. hanno l’obbligo di essere trascritti, quando risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata in giudizio.
Antecedentemente all’introduzione dell’art. 2645 bis c.c., in forza degli artt. 2643 e 2645 del c.c. da cui discende il principio di tassatività degli atti soggetti a trascrizione, il contratto preliminare, pur riferibile ad atti che a propria volta producevano efficacia costitutiva, modificativa o estintiva di diritti reali, non doveva, né poteva, essere assoggettato alla formalità pubblicitaria in esame.
Allo stesso modo, nella precedente disciplina, il promissario acquirente era, a causa di questa non doverosa o facoltativa pubblicità dell’atto costitutivo e con riferimento ai terzi aventi causa, da chi avesse violato la promessa di vendita già fatta, alienando il bene, oltremodo svantaggiato sotto il profilo della tutela giuridica.
Un esempio di questa lacuna giuridica, sul piano delle tutele compromissorie, era evidente nel caso in cui il promittente avesse promesso al promissario acquirente la vendita di un immobile e dopo avesse, contravvenendo a tale promessa, ceduto il bene ad un terzo.
In questo caso, il promissario non avrebbe avuto altri strumenti diversi dalla richiesta del risarcimento del danno al promittente.
Dunque, l’unica difesa del promissario acquirente era, nel caso di inadempimento dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, affidata ad un’azione giudiziale.
Praticamente, il periodo di tempo che intercorreva tra la conclusione del contratto preliminare e la trascrizione dell’atto definitivo era legislativamente sfornito di una protezione per il promissario acquirente e comunque limitata ai rapporti con il promittente alienante, in quanto all’esito dell’iter giudiziario il giudice avrebbe potuto attribuire la proprietà del bene immobile, promesso in vendita, se i diritti sul bene in questione fossero ancora in capo al promittente alienante e ciò attraverso una sentenza che avrebbe dovuto tener conto del consenso della parte inadempiente, in quanto la stessa avrebbe anche potuto ritenere più vantaggiosa, per essa, rifondere il dovuto e mantenere quindi la proprietà dell’immobile!
In buona sostanza al promissario acquirente, nel caso in cui il promittente alienante avesse venduto il bene a terzi e nel caso in cui il cui titolo fosse stato trascritto anteriormente alla proposizione ed alla trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. non rimaneva altro che, a tutela dei residui interessi, chiedere un marginale ristoratore risarcimento del danno.
E’ solo grazie all’introduzione dell’art. 2645 bis del c.c. e del D. Lgs. n. 122 del 2005, successivo, che si pone il rapporto tra promittente e promissario su un piano ugualitario di tutele azionabili che permettono, oggi, di evitare alla parte più debole del negozio di rassicurarsi da inconvenienti di tale portata tra cui anche, ad esempio, il fallimento o la sottoposizione ad azioni esecutive sui beni del promittente venditore/costruttore.
Con la medesima innovazione legislativa è stata introdotta una nuova forma di tutela consistente nell’opponibilità, ai terzi, del preliminare concluso tra le parti, grazie alla trascrizione del contratto preliminare di compravendita.
Tanto è vero anche nei confronti di terzi in quanto, se il contratto preliminare risulta trascritto, nel caso in cui il promettente avesse intenzione di vendere l’immobile, già promesso al primo promissario acquirente, questi, con la trascrizione del compromesso di vendita, verrebbero messi in condizioni di conoscere l’esistenza del vincolo esistente sull’immobile promesso ulteriormente.
In buona sostanza gli effetti dell’esecuzione della pubblicità esplicano soprattutto un’efficacia prenotativa in quanto viene impedito che, nel periodo di tempo che intercorre tra la trascrizione del contratto preliminare e quella del contratto definitivo, i diritti del promissario acquirente possano venire pregiudicati dalla trascrizione o iscrizione di atti o formalità comunque pregiudizievoli per il primo promissario acquirente.
Pertanto oggi, con la possibile e anche dovuta (nei casi previsti per la pubblicità dell’atto) trascrizione del contratto preliminare di vendita immobiliare, il promissario acquirente è tutelato non solo da un’ipotetica e illegittima alienazione dell’immobile a terzi, ma anche dall’eventualità che i creditori del promittente alienante possano effettuare iscrizioni di ipoteche giudiziali e trascrizioni di pignoramenti che vadano a pregiudicare la vendita definitiva del bene promesso in fase di trascrizione del preliminare di compravendita.
Ai sensi del comma 3° dell’art. 2645 bis c.c. il quale prevede che se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione del preliminare, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all’art. 2652, 1° comma, n. 2 c.c., questi effetti tutori, a beneficio del promissario acquirente, emersi sul piano del diritto attraverso la pubblicità del contratto preliminare, avvenuta con la trascrizione dell’atto, terminano e si considerano privi di effetti, nella loro accezione più comune, come mai prodotti nei termini suddetti.
Ma la normativa che maggiormente ha posto come definitive quelle misure tese a tutelare oggettivamente il promissario acquirente di immobili in corso di costruzione, da eventuali azioni speculative del promittente venditore, è quella introdotta successivamente alle modifiche del c.c. con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 122 del 2005, attraverso il quale si esaurisce una progettualità legislativa di tutela dell’acquirente durata un decennio, tenendo in debito conto però anche i suoi limiti, nel senso che esso si applica solo nei casi in cui il contratto preliminare venga stipulato dopo la richiesta del Permesso di Costruire o dopo la presentazione della Dia/Scia, laddove esse siano sufficienti per la realizzazione di nuovi fabbricati o interventi di consolidamento e ristrutturazione.
E’ bene chiarire in questo contesto, in cui si vuole illustrare la portata dell’efficacia e dei limiti del compromesso di compravendita di immobile, entro quali ambiti si muove il decreto del 2005 e come si devono inquadrare i vari termini ed i soggetti di diritto.
Partendo dalle formalità il decreto, per immobile in corso di costruzione, intende un immobile non ancora ultimato per il quale al momento della stipulazione dell’accordo preliminare è stato già richiesto il Permesso di costruire al Comune competente.
Per ultimazione del fabbricato si deve intendere lo stato dello stesso quando sono già state eseguite le finiture, ossia quando è possibile avanzare la richiesta per ottenere il Certificato di Agibilità e ciò, diversamente dal concetto di ultimazione, è utilizzato in altre norme del nostro ordinamento, quando per immobile ultimato si intende il fabbricato realizzato al rustico.
Nella sostanza il D. Lgs. 122/2005 ha previsto specifici obblighi di garanzia a carico del costruttore ed a tutela del privato per le trattative che intercorrono tra un venditore e il costruttore, sia essa persona fisica o giuridica e un privato sempre persona fisica, avendo la normativa una finalità precipua tendente a proteggere i privati che investono denaro per il futuro acquisto di immobili abitativi contro il rischio che i fabbricati non vengano ultimati e l’investimento sia perduto a causa di dissesti afferenti la sfera patrimoniale del costruttore o di dolosa attività speculativa del costruttore e/o venditore.
Proprio per tale finalità la normativa del 2005 ha previsto come obbligo in capo al promittente venditore/costruttore di fornire garanzie all’acquirente, per l’importo equivalente alla somma dei pagamenti eseguiti dal promissario, come caparra o acconto, antecedentemente alla formalizzazione dell’acquisto definitivo della proprietà, tramite fideiussione bancaria o assicurativa e che il contratto preliminare, tra il venditore ed il costruttore e il privato venga stipulato con una ritualità che contenga, ope legis, i seguenti elementi costitutivi:
a. L’indicazione, ubicazione e descrizione dell’immobile completo delle pertinenze di esclusivo uso;
b. I dati catastali e di confine, nonché tutti quei dati previsti, per l’iscrizione e trascrizione ai sensi del codice civile;
c. I dati identificativi del permesso di costruire e di altri documenti abilitanti o richieste/denunce a secondo del caso;
d. L’indicazione delle convenzioni eventualmente stipulate e degli atti d’obbligatori per l’approvazione, attraverso i provvedimenti autorizzativi, alla costruzione e quali vincoli eventualmente ne siano scaturiti;
e. I dati identificativi delle imprese appaltatrici;
f. Tutte le caratteristiche tecniche della costruzione dell’immobile;
g. Entro quali termini massimi avverrà l’esecuzione della costruzione immobiliare;
h. Il prezzo e ogni altro corrispettivo, la qualificazione espressa delle caparre nonché i termini e le modalità di pagamento;
i. L’indicazione della fideiussione, valore e termini;
l. L’annotazione finale di ipoteche o trascrizioni pregiudizievoli eventuali, con l’indicazione espressa di: soggetto a favore del quale sono eseguite, titolo da cui derivano, totale a cui ammontano, pattuizione espressa degli obblighi in capo al costruttore rispetto alle stesse, termini di adempimento degli obblighi che possono essere, rispetto al contratto definitivo, antecedenti o successivi.
A questo punto è bene precisare, ma è ovviamente dedotto da quanto finora esplicato, che la trascrizione del contratto preliminare non è obbligatoria in quanto le parti sono infatti libere di stipulare un contratto preliminare in forza di semplice scrittura privata non autenticata.
Ai sensi dell’art. 2657 c.c. esso non potrà però, così, essere assoggettato alla pubblicità presso la Conservatoria dei RR. II., mentre se il promittente alienante e promissario acquirente, avendo la facoltà di scegliere per il perfezionamento dello stesso, tramite scrittura privata autenticata, ovvero atto notarile pubblico, optano per tale soluzione, la trascrizione, a cura del notaio, diviene obbligatoria e si realizza depositando il titolo e la relativa nota presso la CC RR II nella cui circoscrizione è presente l’immobile.
La registrazione in quanto intesa a rendere pubblica la situazione degli immobili, per chiunque ne voglia prendere conoscenza, non presenta sola una finalità pubblicitaria ma sortisce anche e soprattutto un effetto primario di natura dichiarativa, rendendo in tal modo opponibile il compimento di qualsiasi atto a quei terzi che acquistassero il medesimo bene dallo stesso alienante.
Per terminare questa prima parte dell’analisi legale del quesito posto si può concludere affermando che la trascrizione del contratto definitivo, ai sensi del 2° comma dell’art. 2645 bis c.c. o di altro atto, che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari, di cui al primo comma del medesimo articolo, ovvero di una sentenza che accolga un’eventuale domanda diretta ad ottenere l’ esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante, dopo la trascrizione del contratto preliminare.
Poiché, come abbiamo avuto modo di chiarire, nella compravendita immobiliare è d’uso far precedere la stipula del contratto finale da un compromesso di compravendita, secondo le modalità poco prima indicate, si può verificare, più spesso di quanto si creda, che possano sorgere, in relazione alle diversità di previsioni espresse nei due atti, dei conflitti tra acquirente “privilegiato” a seguito appunto di compromesso regolarmente trascritto e costruttore/venditore.
I contenziosi presenti nella galassia giurisprudenziale sono tantissimi ma ancora una volta attraverso la sentenza n. 20989 del 30 settembre 2009 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su tale questione, riconfermando il principio, oramai consolidato, secondo cui si afferma l’assoluta supremazia del contratto definitivo rispetto al contratto preliminare, creando quella necessaria nomofilachia a cui i giuristi e le parti in causa si devono necessariamente orientare nelle proprie scelte.
In detta sentenza i giudici della Suprema Corte hanno stabilito che il contratto definitivo è l’unica fonte di diritti e obbligazioni nascenti tra acquirente e promittente e che il negozio può essere valutato riferendosi a interpretazioni “sussidiarie” esclusivamente quando l’accertamento della volontà comune delle parti in causa non possa desumersi da criteri principali, letterali e logici.
In buona sostanza la Suprema Corte attribuisce all’atto definitivo un valore negoziale superiore e sostitutivo rispetto al compromesso, in quanto seppur “negozi” tra loro collegati, sono ciascuno espressione di un’autonomia volitiva delle parti, giungendo a definire il preliminare, un negozio “avente ad oggetto soltanto l’obbligazione di stipulare un successivo contratto (definitivo), di cui si determina il contenuto negoziale” e l’atto definitivo un altro “ avente ad oggetto la costituzione del rapporto negoziale, il cui contenuto essenziale è stato determinato nel contratto preliminare”, stabilendo così una netta e chiara cesura, concettuale e giuridica, tra i due istituti.
Sarà dunque, stante la recente e costante giurisprudenza della Suprema Corte, solo il contratto definitivo a regolare i rapporti tra le parti, in quanto il preliminare, nella sua funzione preparatoria di promessa di conclusione di un successivo contratto, con la stipula del contratto definitivo, perde ogni efficacia assumendo la qualità di atto caducato.
Proprio grazie a quel principio di autonomia negoziale ribadito dalla Cassazione, anche precedentemente alla sentenza del 2009, le parti possono considerare e stipulare quanto stabilito nell’atto finale di compravendita come il risultato definitivo di successivi accordi e di conseguenza il finale ed effettivo regolamento contrattuale, disconoscendo, legittimamente, ogni validità al precedente negozio compromissorio, il quale non può che essere considerato che un atto meramente preparatorio di un futuro contratto produttivo, si quello di effetti sostanziali e definitivi, in cui le parti si vincolano alla realizzazione conclusiva dell’atto di compravendita.
Analizzati nei propri profili civilistici gli istituti del compromesso e dell’atto di vendita, nonché della loro valenza giuridica e funzionale, occorre, in quest’ultima parte, considerare il caso secondo cui l’Agenzia delle Entrate possa avanzare pretese fiscali nei confronti del venditore/costruttore solo in forza del differente contenuto compromissorio rispetto a quello definitivo dell’atto di vendita, tenendo conto che la Commissione Tributaria può ai sensi dell’art. 96 del c.p.c. condannare la medesima Agenzia delle Entrate al risarcimento del danno da responsabilità processuale aggravata, laddove ne ravvisa un comportamento gravemente negligente e imprudente.
Ancora recentemente la Suprema Corte è intervenuta in materia di lite temeraria con la sentenza n. 13899 del 3 giugno 2013 delle Sezioni Unite attribuendo piena giurisdizione alla G.T. nell’accertare e condannare una responsabilità dell’Amministrazione Finanziaria e/o del concessionario della riscossione, fino a spingersi per la pronuncia sulla quantificazione stessa del danno in forza di quanto disposto all’art. 96 del c.p.c. .
Attraverso questa sentenza le Sezioni Unite della Suprema Corte ammettono che spetta al giudice tributario condannare la parte soccombente (anche se trattasi dell’Agenzia delle Entrate o concessionaria preposta) e liquidare in favore della parte vittoriosa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio di una pretesa impositiva (nel caso di specie) temeraria, una somma, in via equitativa.
Per quanto d’interesse alla nostra analisi è rilevante quanto si deduce dalla predetta sentenza in materia di “lite temeraria” e che secondo gli Ermellini la stessa si sostanzializza processualmente quando la medesima è dovuta a male fede o colpa grave e che l’agire della convenuta abbia indotto l’altra parte ad adire le vie legali, con danno rinvenibile anche in ambito non patrimoniale, definendo ulteriormente, in senso estensivo, il concetto di “responsabilità processuale”, così da ricomprendere, qualora ricorrano i predetti requisiti di mala fede o colpa grave, anche una fase amministrativa che è all’origine dell’ingiusto (in quanto non aveva motivo di esistere) contenzioso tributario.
I danni riconoscibili, secondo la S.C. sono di natura patrimoniale, quali spese per difesa tecnica e legale, nonchè di consulenti e collaboratori della difesa, e non patrimoniali quali quelli esistenziale e biologico ed eventualmente anche morale.
Detto ciò, rivelerebbe una colpa grave o mala fede, assumere un atto fra privati, peraltro non registrato, come elemento probatorio delle proprie deduzioni sulla fiscalità impositiva, privilegiandolo rispetto al successivo atto definitivo, in parte contrario al preliminare, che si pone invece pubblicisticamente come effettivo regolamento contrattuale, disconoscendo, legittimamente, ogni validità al precedente negozio compromissorio.
Si può concludere che la mala fede, in questo specifico caso, potrebbe anche superare la grave colpa e quindi concretizzare una condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. con riconoscimento dei danni patrimoniali e non, patiti dalla parte oggetto dell’eventuale accertamento e imposizione fiscale, entrambi fondati su un atto privo di efficacia, anche e soprattutto per la sopravvenienza di un atto pubblico definitivo.
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