Efficacia nel tempo della c.d. legge ex Cirielli (Tribunale Sorveglianza Cagliari, 12 gennaio 2006)

giurisprudenza 09/02/06
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TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI CAGLIARI

Il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari, riunito in camera di consiglio
nelle persone di

Dott.Leonardo **********?????????????? Presidente

Dott.Paolo Cossu?????????????????????????? Magistrato di ?Sorveglianza

Esperto
Esperto

nel procedimento di sorveglianza

avente ad oggetto l’istanza di applicazione della misura alternativa
dell’affidamento in prova al servizio sociale ai sensi dell’art.47 ord.
pen.;

proposta da ***********? ***********

condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione di cui alla
sentenza del Tribunale di Cagliari, Sez. di Sanluri del 12 aprile 2005.

esaminati gli atti e udite le conclusioni del Pubblico Ministero e della
Difesa;

a scioglimento della riserva di cui al verbale dell’udienza del 12 gennaio
2005 ha emesso la seguente
ORDINANZA

*********** ***********, condannato il 12 aprile 2005 con sentenza del
Tribunale di Cagliari, Sezione distaccata di Sanluri, alla pena di un anno e
quattro mesi di reclusione, con la recidiva specifica reiterata, per aver,
al fine di procurarsi un profitto, ricevuto centonovantaquattro libri
giuridici provento di furto subito in *********************** ( reato
commesso in ****************- in data antecedente e prossima all’
1.6.1999) – condanna il cui Ordine di esecuzione era sospeso il 28.6.2005? a
‘ sensi del comma 5 dell’art. 656 cpp -? il?? 22 luglio 2005 presentava
istanza di affidamento in prova al servizio sociale, a’ sensi dell’art. 47
L. 26 luglio 1975 n. 354, ed, in subordine, di detenzione domiciliare, a
sensi dell’art. 47 ter della stessa legge.

Non avendo dedotto ulteriori specificazioni, doveva intendersi che l’istanza
subordinata fosse proposta a’ sensi del comma 1 bis dell’art. 47.

Deve preliminarmente decidersi sull’ammissibilit? dell’istanza, sia
principale che subordinata, poich? dopo la presentazione delle stessa, ma
prima dell’odierna udienza, ? entrata in vigore ( l’otto dicembre 2005) la
legge 5 dicembre 2005 n. 251, che preclude al recidivo reiterato l’accesso
alla detenzione domiciliare prevista dal comma 1 bis dell’art. 47 ter della
L. 26 luglio 1975 n. 354 ( art. 7 comma 4 L. 251/2005) ed alla misura dell’
affidamento in prova al servizio sociale nell’ipotesi che l’istante ne abbia
gi? per una volta usufruito ( art. 7 coma 7 della legge) ed il *********,
dichiarato recidivo reiterato nella sentenza che costituisce il titolo in
esecuzione, ha gi? usufruito per due volte, come risulta dal certificato del
casellario, della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale.

Poich? dalla lettura della sentenza si apprende che la recidiva, ritualmente
contestata, ? stata dal Giudice sottoposta al giudizio di comparazione con
le concesse attenuanti generiche, e ritenuta a queste equivalente, deve in
primo luogo interpretarsi il significato del participio passato " applicata"
, utilizzato dalla legge con riferimento alla recidiva, sia nell’ipotesi del
comma 4 che in quella del comma 7 dell’art. 7 della Legge.

Deve, infatti, decidersi se il termine faccia riferimento alla recidiva
comunque contestata, oppure a quella comunque valutata, anche se nell’ambito
di un giudizio di comparazione che la abbia vista equivalente o soccombente
rispetto alle attenuanti, o, infine, solo a quella che abbia causato un
aumento della pena determinata in concreto sulla fattispecie semplice.

Pu?, in primo luogo, pacificamente escludersi la prima delle tre ipotesi
sopra richiamate, non solo perch?, a quei fini, sarebbe stato agevole
esprimere il risultato voluto utilizzando l’aggettivato " contestata" invece
di quello "applicata", ma anche perch?, secondo l’orientamento costante
della giurisprudenza (? v. per tutte Cass. Sez. I Ord. N. 10425 del
2.2.2005, ******** – Rv 231209 -) la recidiva non costituisce uno status del
condannato deducibile dal certificato del Casellario o da altre informazioni
attinenti alla vita anteatta, ma ? una circostanza aggravante inerente alla
persona del colpevole, che in tanto pu? assumere rilevanza, in quanto
risulti riconosciuta ed affermata in una sentenza.

La mera contestazione della stessa, dunque, non seguita da un riconoscimento
giudiziale, non ? sufficiente, come accade per ogni altra circostanza
aggravante, a conferirle giuridica esistenza fuori dal processo.

Eguale conclusione deve raggiungersi per quella recidiva, ritualmente
contestata, che il Giudice, nell’esercizio della facolt? concessagli dall’
art. 99 CP ( ad esclusione dell’ipotesi di recidiva obbligatoria prevista da
comma 5 dell’art. 99, cos? come novellato dall’art.4 della legge 251) decida
di non considerare.

Ma proprio dalla richiamata impostazione giurisprudenziale si deduce, con
riferimento alle ulteriori due ipotesi sopra formulate, che non solo la
recidiva che abbia determinato in concreto un aumento della pena, ma anche
quella che sia stata comunque utilizzata nel giudizio di comparazione
conclusosi con giudizi di equivalenza o di prevalenza delle? attenuanti,
debba ritenersi comunque affermata dalla sentenza, e dunque, per cos? dire
" applicata".

Infatti, solo dopo che sia stata assegnata alla stessa una giuridica
rilevanza, mediante la sua qualificazione in termini di aggravante, essa pu?
essere inserita in un giudizio di comparazione che, senza di quella, sarebbe
stato diverso.

Sulla scorta di una non recente ma sempre attuale pronuncia della Cassazione
( Cass. Sez. I 2.1.1987 n. 6, **********, Rv 175084) pu? dunque ritenersi
che, nelle ipotesi? di recidiva sottoposta a giudizio di comparazione nel
quale la stessa non sia stata giudicata prevalente, sia stato neutralizzato
il suo principale effetto di influire sull’entit? della pena, ma continui a
produrre gli altri effetti attribuitile dalla legge ( sul punto, v. oltre).

Deve dunque ritenersi che, avendo nella specie il Giudice tenuto conto della
recidiva nel giudizio di comparazione, la recidiva stessa sia stata "
applicata" nel senso voluto dall’art. 7 della Legge 251 citata.

*
Deve ora decidersi se le fattispecie impeditive formulate dall’art. 7 della
legge 251/2005, entrate in vigore nel tempo intercorso fra la proposizione
dell’istanza e l’attuale decisione, debbano avere o meno applicazione nel
presente procedimento.

E’ stata in proposito formulata l’opinione che le fattispecie definite dall’
art. 7 della legge, sopra richiamate, non integrino un’ipotesi normativa
nuova rispetto alla previgente formulazione dell’art. 99 comma IV del CP( e
dunque regolabile secondo il dettato dell’art. 11 delle Preleggi, e dall’
art. 2 del CP) ma definiscano una fattispecie con quella in rapporto di mera
specialit?, poich? ritagliano un’ipotesi ( tre delitti non colposi) gi?
compresi in quella pi? ampia? prima prevista ( tre reati).

Dovrebbe conseguentemente il Giudice analizzare la motivazione della
sentenza pronunciata prima dell’entrata in vigore della L. 251 costituente
il titolo esecutivo, ed applicare la preclusione introdotta dall’art. 7
citato tutte le volte che quel Giudice abbia " applicato" la recidiva
fondandola sulla reiterazione di tre delitti non colposi, non applicandola
negli altri casi.

Ma tale opinione non pu? essere seguita.

Il rapporto, eventuale, di specialit?, per specificazione, corre,
propriamente, fra l’art. 99 comma IV, cos? come formulato dall’art.4 della
L. 251 e la formulazione previgente dell’art. 99 CP.

Ma l’art. 7 della Legge introduce, oltre agli elementi specializzanti dell’
art. 99 comma IV previgente ( richiamati con rinvio recettizio all’art. 4,
comma 1 dello stesso testo) un quid novi, costituito, appunto dall’effetto
preclusivo, che non era in alcun modo rilevabile nell’art. 99 antecedente
all’ultima modifica, n? in alcun altra norma coeva.

Ne segue che, ove si seguisse quell’opinione, accadrebbe che, a carico del
condannato a cui fosse stata " applicata" la recidiva reiterata, secondo la
vecchia edizione, si applicherebbe, se giudicato in executivis dopo l’8
dicembre 2005, un evento per lui pregiudizievole. – costituito appunto dall’
effetto preclusivo che si ? detto – che non era previsto da alcuna norma all
‘epoca del giudizio, e che dunque non pu? essere posto a suo carico.

La novit? di tale disciplina suggerisce l’opportunit? di ulteriori
approfondimenti, specie con riferimento all’esigenza di individuare la
regola temporale della sua applicabilit?.

*
Le due fattispecie preclusive individuate dall’art. 7 L. 251, sopra
richiamate, hanno, a ben vedere, una struttura complessa.

Per un verso, infatti, esse sono costituite, in conseguenza di un’
espropriazione del potere discrezionale del Tribunale di Sorveglianza di
giudicare nel merito – secondo le indicazioni fornite, con disposizione di
carattere generale per tutte le misure alternative, dai commi 2 e 3 dell’
art. 47 L- 26.7.1975 n.354 – da una presunzione di legge negativa in ordine
alla possibilit? di riabilitazione e di pericolosit? sociale, ancorata alla
sussistenza di indici rilevabili formalmente ( la recidiva reiterata "
applicata" nel senso detto) ed anticipata nella fase preliminare del
procedimento di Sorveglianza.

A tale struttura la norma collega, con i connotati propri dell’
inammissibilit?, l’effetto preclusivo rispetto al diritto d’azione di
richiedere una misura alternativa altrimenti presente nel corredo della
complessiva situazione giuridica dei condannati.

E tale aspetto della normativa appartiene, a pieno titolo, ed in maniera
esclusiva, alla normazione propria della Sorveglianza, e dunque delle misure
alternative alla detenzione.

Ma, per altro verso, il contenuto negativo di quella presunzione non ?
deducibile, in maniera autonoma, da elementi ricavabili nel procedimento di
sorveglianza, come potrebbe essere se la recidiva si deducesse dal
certificato del Casellario, dalla mera conoscenza dell’esistenza di pi?
titoli, o da altra idonea documentazione ufficiale.

Al contrario, essa si deduce da un evento maturato nella fase del giudizio,
che ? costituito dalla pronuncia relativa alla recidiva reiterata ivi "
applicata".

Va precisato che, anche in quella sede, essa non discende dalla mera presa d
‘atto di una reiterazione di tre delitti non colposi, ma consegue ad una
valutazione del giudice che, sulla base di quel dato oggettivo, esplica
tuttavia un giudizio discrezionale, nel quale decide, dapprima, di non
disapplicare la recidiva facoltativa, e poi di sottoporre quella triplice
reiterazione ad un giudizio che prima riconosce in essa un indizio di
pericolosit? sociale significativo in ordine alle circostanze del caso
concreto, e? poi la sottopone ad un complessivo giudizio in ordine alla
determinazione della pena.

La pronuncia sulla recidiva dunque non ? costituita dalla semplice presa d’
atto di una triplice violazione – che sarebbe come tale rilevabile allo
stesso modo anche in executivis -, ma da un pi? complesso e discrezionale
giudizio, esclusivamente appartenente alla fase della cognizione, che, sulla
base di quel dato, enuclea la sussistenza di un concreto indizio di
pericolosit? sociale dell’imputato in relazione al fatto concreto, e le sue
conseguenze sulla determinazione dell’entit? della pena.

Il fenomeno dunque non si compie, come in ipotesi apparentemente analoghe
( v. Cass. Sez. I 5.7.1994 citata oltre) esclusivamente nell’ambito del
procedimento esecutivo.

La fase finale, che ne costituisce l’esito nel procedimento esecutivo, ?
connessa ad un presupposto che matura nell’antecedente fase del giudizio di
cognizione, e che si consolida nel giudicato.

Il collegamento fra le due fasi ? costruito, nell’architettura delineata
dall’art. 7 della L. 251, secondo un rapporto di mera consequenzialit?.

Dalle dichiarazione di recidiva reiterata discende, come mera ed automatica
conseguenza, la preclusione nei termini sopra descritti.

L’apparato normativo " di base", di cui prima s’? detto, appartenente in via
esclusiva alle norme sulla sorveglianza, si pone in funzione servente
rispetto al particolare giudizio di pericolosit? ( in concreto) elaborato
dal Giudice della cognizione, ed operando la preclusione alle istanze di
misure alternative, completa il disegno di politica criminale voluto dal
Legislatore, entrando a far parte del complessivo effetto sanzionatorio
ricollegato dalla norma a quella specifica circostanza aggravante inerente
alla persona del colpevole che ? la recidiva reiterata.

Il fenomeno non ? nuovo nell’ordinamento.

Accadimento di analoga struttura ? definito dall’art. 164 comma 2 n. 1 del
CP, che espropria il potere discrezionale del Giudice in ordine alla
valutazione circa la possibile futura astensione del colpevole dal
commettere ulteriori reati, e lo sostituisce con una presunzione negativa di
pericolosit? sociale con riferimento a chi abbia riportato una precedente
condanna a pena detentiva per delitto.

A tale fattispecie la norma ricollega, in termini di pura consequenzialit?,
la preclusione rispetto alla sospensione condizionale della pena.

Di struttura addirittura eguale appare la fattispecie, operante nell’
esecuzione, definita dall’art. 179 comma 2 CP, che sposta il termine d’
ammissibilit? della domanda di riabilitazione da tre ad otto anni " se si
tratta di recidivi nei casi preveduti dai capoversi dell’art. 99.?.

Anche in tal caso infatti, il potere discrezionale del Giudice della
riabilitazione, che debba giudicare sulla domanda di riabilitazione del
recidivo proposta fra il terzo e l’ottavo anno dall’estinzione della pena
principale, ? espropriato e sostituito da una presunzione negativa
ricollegata ope legis alla recidiva qualificata.

Anche in tal caso, l’evento preclusivo ? una mera conseguenza dell’ "
applicazione" della recidiva.

Poich? tali eventi si traducono in conseguenze afflittive, operanti ope
legis, di una sentenza penale di condanna, diverse dalle pene principali, da
quelle accessorie, dalle misure di sicurezza, esse sono ordinariamente
considerate, da dottrina e giurisprudenza pressoch? concordi, come effetti
penali della condanna.

La struttura e la funzione delle preclusioni introdotte nell’Ordinamento
dalla L. 251, identiche a quelle delle due fattispecie sopra esaminate,
inducono a concludere per un’identit? di natura.

Alle stesse deve dunque attribuirsi la stessa identit? di effetti penali
della condanna.[1]

L’inclusione di tali istituti nel novero delle norme di natura sostanziale,
in ragione del loro contenuto afflittivo inerente alla disciplina delle
circostanze aggravanti, ? com’? noto, fuor di dubbio.
*
La legge n. 251 dunque, nelle parti esaminate, introduce nell’Ordinamento un
effetto penale della condanna, specificatamente ricollegato all’ "
applicazione " della recidiva, che prima non esisteva.

Le norme sono dunque nuove.

Ma l’ambito di applicazione della nuova normativa, poich? questa disciplina
un effetto penale della sentenza di condanna , ? circoscritto al momento
della cognizione.

In questa sede potr?, eventualmente, sorgere una questione relativa alla
successione delle norme nel tempo, e, dunque, attinente a quale disciplina
applicare ( se quella vigente al momento del fatto, o quella della
contestazione, o della sentenza, o quella riferibile ad altro termine). E vi
sar? dunque spazio per l’eventuale applicazione anche del comma 3 dell’art.
2 CP.

Ma, per quel che attiene all’esecuzione, e, pi? specificatamente, alle
questioni che devono essere oggi decise,l’evento decisivo sar? quello del
giudicato, e del suo contenuto, comprensivo o meno dello specifico effetto
attribuito dalla L. 251 alla recidiva reiterata.

Gli effetti di quel giudicato poi, per la parte che attiene alla recidiva
reiterata, si riverseranno, ope legis, e dunque senza alcuna questione di
diritto transitorio, sull’esecuzione.

Per riconoscere dunque nella fase dell’esecuzione quell’effetto, dovr?
attendersi che si formi il corrispondente giudicato alla luce anche di tale
nuova normativa.

Assumeranno cio? rilevanza solo quelle sentenze, passate in giudicato,
pronunciate dopo l’8 dicembre 2005, che avranno avuto la possibilit? di
applicare la nuova normativa dettata dalla L. 251 del 2005.

La sentenza che costituisce l’attuale titolo esecutivo, formatasi in epoca
antecedente all’entrata in vigore della L. 251, che non ha dunque potuto
includere nel suo giudicato l’effetto penale di cui trattasi, non ne pu?
proiettare sull’esecuzione che costituisce oggetto del presente giudizio l’
effetto corrispondente, e libera l’attuale giudizio da quella preclusione.
*
L’istituto, di natura sostanziale, ha effetti anche processuali, costituiti
dalla preclusione all’esercizio dell’azione diretta a promuovere il
procedimento di sorveglianza.

Non ignora il Collegio l’opinione che, prendendo lo spunto da alcune
pronunce della Corte Costituzionale ( C.Cost.349/93, C.Cost. 504/95, C.Cost.
343/87 ), e da alcune decisioni della Corte di Cassazione in materia di
prescrizioni nell’affidamento in prova ( fra le altre Cass. Sez. I
23.11.2001 n. 407 – Rv 220438 e Cass. Sez. I 23.11.2001, n. 410 ****** – Rv
220439) sostiene con importanti ragioni, ma discostandosi dall’orientamento
giurisprudenziale prevalente ( v. per tutte Cass. Sez. I 12.12.2000 n.
11255, ********* 218300), che nell’ambito delle norme che disciplinano le
modalit?, anche alternative dell’esecuzione della pena possono distinguersi
norme di natura sostanziale ( quelle che, modificando quantitativamente o
qualitativamente le pene inflitte, incidono sulla sfera di libert? del
condannato) da altre di natura processuale, (che rispondono solo ad esigenze
funzionali del procedimento esecutivo).

N? possono trascurarsi le ragioni scaturenti dalla differenza fra l’
inammissibilit? ( a cui sembra pi? propriamente rifarsi l’istituto in esame)
e l’improcedibilit?.

Ma deve ritenersi che, anche per coloro che seguono tale orientamento,
sembra difficile escludere che quanto meno il risultato della preclusione di
cui si ? detto -per la sua funzione impeditiva dell’inizio del procedimento
di Sorveglianza – operi anche sul piano del processo.

Tuttavia, tale rilievo non pu? valere, come si ricava anche dalla disciplina
degli analoghi istituti della sospensione condizionale della pena, e della
riabilitazione, prima richiamati, ad attrarre l’intero istituto nell’ambito
delle norme processuali, perch? cos? facendo si trascurerebbe la rilevanza
della sua parte prevalente, che ha natura sostanziale, perch? appartenente
al complessivo corredo afflittivo assegnato dalla norma alla circostanza
aggravante della recidiva.

N? potrebbe utilizzarsi l’appartenenza del richiamato effetto preclusivo al
novero delle norme processuali per pretendere di applicarlo separatamente,
autonomamente ed immediatamente, secondo la regola del tempus regit actum.

Tale operazione presupporrebbe infatti la necessit? di frantumare l’
unitariet? della fattispecie complessa sopra indagata, senza tener conto
dell’ineliminabile collegamento dell’effetto processuale con la preminente
parte sostanziale, che ne costituisce la ragion d’essere.

L’immediata applicazione della parte processuale senza il necessario
rapporto con quella sostanziale entrerebbe infatti in collisione con il
precetto dell’art. 25, comma 2 Cost. e, conseguentemente, dell’art. 2 comma
I C.P, il cui ambito di applicazione non ? limitato, com’? noto, alle sole
pene, principali ed accessorie, ed alle misure di sicurezza, ma anche agli
effetti penali della condanna, e, pi? in generale, ad ogni evento
aflfittivo, comunque conseguente alla sentenza di condanna.

Sembra, dunque, di essere al cospetto di un istituto di natura mista, di
natura cio? sostanziale con effetti ( anche) processuali.

La razionalizzazione di tale accadimento sembra potersi raggiungere alla
luce di quella giurisprudenza ( v. Cass. Sez. I 5.6.2000 n. 7385. Hasani –
Rv 216255) che, anche di fronte ad istituti di natura mista ( ad es.
applicazione della pena su richiesta delle parti, che incide sulla pena – e
dunque partecipa delle norme sostanziali – ma determina importanti
conseguenze sul rito – ed appartiene, per tale aspetto, alle norme di natura
processuale) suggerisce di dare rilevanza, in rapporto alle questioni
attinenti all’ individuazione della loro appartenenza all’ambito processuale
od a quello sostanziale, alla loro natura prevalente, con la conseguenza di
sottoporre l’istituto, per intero, alla disciplina corrispondente.

Applicando questa regola al caso in esame, deve, come del resto si fa da
tempo immemorabile, e pacificamente, in relazione agli analoghi istituti,
pi? volte richiamati, degli artt. 164 e 179 CP, riconoscersi la sua
appartenenza, in toto, all’ambito delle norme sostanziali, in ragione della
sua natura di effetto penale, costituente un esito afflittivo disciplinato
dalle norme che regolano le circostanze aggravanti.

La consequenziale incidenza sul procedimento esecutivo dovr? essere poi
disciplinata secondo la regola di consequenzialit? ope legis propria del
procedimento ordinariamente predisposto per gli effetti penali.

Le istanze del condannato sono dunque ammissibili.
*

Nel merito, va osservato che il ********, dopo alcune condanne per non
allarmanti fatti, ? condannato nel 1978 a sette mesi di reclusione per
detenzione e porto illegali di armi, e, con ordinanza del 31.5.1979,
affidato in prova al servizio sociale che si conclude con declaratoria d’
estinzione della pena.

Successivamente, con l’intermezzo di una modestissima condanna a due mesi di
reclusione, solo nel 1999 commette il reato per cui ? esecuzione ( consumato
l’11 giugno 1999) e poi, il 20 settembre dello stesso anno, un tentativo di
omicidio con arma, che lo conduce alla condanna di quattro anni otto mesi e
venti giorni di reclusione che egli comincia a scontare in carcere.

Il 29 novembre 2002 ? ammesso dal carcere alla detenzione domiciliare e il
10 giugno del 2003 all’affidamento in prova, che si conclude con
declaratoria di estinzione della pena pronunciata il 9 marzo 2004.

Costituisce certamente motivo di giudizio negativo il fatto che, dopo aver
goduto di un primo affidamento in prova egli abbia, seppur dopo circa
quindici anni, commesso nuovi e gravi reati.

Si tratta, infatti, d’indizio verosimilmente rappresentativo di un
fallimento dell’esperimento educativo condotto con l’affidamento, che solo
per ragioni evidentemente apparenti era stato giudicato giunto a buon fine.

Ma tale dato, seppur idoneo a ricostruire storicamente l’evoluzione della
personalit? del condannato, appare tuttavia relegato in un lontano passato,
e nulla dice di ci? che ? accaduto fra il 1999, data di consumazione sia del
delitto per cui ? esecuzione, sia di quello sulla cui esecuzione si ?
innestata, per la seconda volta, una misura alternativa, e la data odierna,
che ? invece periodo essenziale per poter giungere ad un giudizio
prognostico efficace nel presente procedimento.

Contrariamente al solito, non costituisce indizio negativo, come sintomo di
regressione fallimentare del progetto educativo, il fatto che, prima della
condanna che costituisce l’attuale titolo esecutivo egli abbia beneficiato,
provenendo dal carcere, prima di una detenzione domiciliare, e poi, nella
stessa esecuzione, di un affidamento in prova.

E ci? perch? il reato per cui ? oggi esecuzione, seppur, per la casualit?
delle vicende processuali, giudicato dopo la conclusione di quell’
affidamento, ? stato consumato prima dello stesso, e, addirittura, prima del
reato riferibile a quella misura alternativa.

Anzi, la conclusione positiva di quella misura costituisce indizio positivo
anche con riferimento all’attuale esecuzione, poich? da comunque conto di un
favorevole esperimento riabilitativo intrapreso dopo la consumazione del
delitto per cui ? oggi esecuzione.

Attraverso quell’ accertamento infatti si acquisisce prova sufficiente di un
‘evoluzione positiva della sua personalit?, maturata in un momento
successivo alla consumazione del reato di ricettazione posto a base dell’
attuale titolo esecutivo.

Tale primo rilievo pu? dunque interpretarsi come sufficiente ad integrare il
comportamento richiesto, per la concessione della misura, dal terzo comma
dell’art. 47 OP.

Tale dato, d’altra parte, riceve ulteriori conferme.

Al fatto che, dal 1999 ad oggi, il condannato non ha pi? commesso reati (
essendo l’unico carico pendente segnalato risalente anch’esso, appunto, ai
primi mesi del 1999) si aggiunge l’accertamento dei Carabinieri di Nuoro
che, con nota del 29 ottobre 2005, riferiscono che " il nominato in oggetto,
in libert?, ha tenuto buona condotta. Non risulta che frequenti locali
pubblici e persone penalmente controindicate."

A tali convergenti indicazioni si affianca, coerentemente, la situazione
familiare accertata dall’UEPE.

Il ********, ormai sessantacinquenne, vive con la moglie che ? affetta da
grave patologia e con un figlio, ipovedente ed insufficiente mentale,
assistito dal Comune, e versa dunque in una condizione tale da spingerlo
presumibilmente a riversare parte notevole delle sue energie vitali nell’
attenzione verso la famiglia.

Non appare insignificante, infine, l’attivit? lavorativa, costituita dalla
conduzione di un non irrilevante numero di animali, e dalla cura di qualche
appezzamento di terreno.

La valutazione complessiva della situazione, pur denunciando l’assenza di
ogni seria verbalizzazione di una rielaborazione critica del vissuto
criminoso, evidenzia per?, non solo in prospettiva, ma anche alla luce dell’
esperienza di vita da cinque anni a questa parte ( in cui non appare
azzardato includere anche gli effetti special preventivi della detenzione in
carcere ultimamente patita), una condizione personale e sociale che sembra
aver abbattuto fortemente il rischio di recidiva.

Nei fatti, poi, come affermano i Carabinieri, la condotta appare
adeguatamente rispettosa delle regole essenziali della convivenza civile, in
modo da segnalare la presumibile interiorizzazione di valori, ancorch? non
adeguatamente espressi, che con quella condotta sono coerenti.

In tale condizione, l’applicazione della detenzione in carcere sarebbe
inopportuna, perch? frustrerebbe quei propositi di risocializzazione che
sembrano aver preso corpo nei fatti, ed eserciterebbe in modo
sproporzionato, perch? eccessivo, la funzione contenitiva.

Al contrario, sembra pi? opportuno che, con adeguate prescrizioni, si
favorisca l’orientamento sino ad ora perseguito, per indurre il*******
******* ad un consolidamento dello stile di vita ultimamente intrapreso, in
direzione di una stabile eliminazione della sua pericolosit? sociale.

Intempestivo apparirebbe poi, a questo scopo, il ricorso alla detenzione
domiciliare, il cui esperimento, gi? compiuto in occasione della precedente
esecuzione, ? stato positivamente superato con la convinzione, espressa
nella relativa Ordinanza, dell’opportunit? di concessione di quell’
affidamento in prova che ? gi? andato a buon fine.

Misura adeguata, dunque, ? quella richiesta in via principale dal
condannato.

P.Q.M.

visti gli artt. 47 L. 26 luglio 1975, n. 354, 678 c.p.p.;

AFFIDA

?? ??
********? *********** in prova all’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di
*********** in relazione alla pena indicata in epigrafe con effetto dalla
data di? sottoscrizione delle prescrizioni di cui all’allegato verbale.

??? Ordina la comunicazione di copia della presente ordinanza al P.re della
Repubblica di Cagliari, competente per l’esecuzione della pena detentiva, ed
al Magistrato di Sorveglianza di Cagliari competente per l’esecuzione
dell’affidamento.

??? Cagliari, 12 gennaio 2005

IL PRESIDENTE? Est.?? Dott.Leonardo **********

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