Segretario Generale Convenzione di Comuni Musile di Piave-Meolo (VE)
—————————
Premessa – 2. Casistica e norme applicabili – 3. La giurisprudenza del Consiglio di Stato – 4.Possibili soluzioni de jure condendo.
Il caso della presenza di un’unica lista alle elezioni comunali sembrerebbe a prima vista un caso quasi impossibile data la proliferazione dei partiti, infatti, nonostante si sia affermato che il sistema maggioritario avrebbe portato alla semplificazione del quadro politico-rappresentativo, nella realtà dei fatti così non è stato. Non vogliamo qui affrontare tale argomento, né ricercarne le motivazioni. È verosimile, però, che se si arriverà, prima o poi, alla semplificazione auspicata, il problema dell’unica lista potrebbe essere ancora più ricorrente di oggi.
Questa evenienza investe la questione più ampia della rappresentanza politica dei cittadini e dell’astensionismo dal voto, fenomeno ormai “normale” dei paesi democratici occidentali che oggi, dopo quasi cinquant’anni di percentuali di votanti vicine o superiori al 90%, riguarda anche l’Italia.
E a questo punto, anche nel caso di presentazioni di diverse liste, ci si potrebbe chiedere se sia valida una consultazione elettorale che abbia interessato solo una piccola o, comunque, minoritaria fascia di cittadini aventi diritto al voto oppure se sia il caso di prevedere un quorum di validità della consultazione che garantisca la rappresentatività degli eletti rispetto al cosiddetto corpo elettorale, così come prevede la Costituzione nel caso di consultazione referendaria.
La questione, come è di tutta evidenza, non è di poco conto se si pensa come nei paesi dell’euro le percentuali di votanti alle ultime consultazioni elettorali europee siano al di sotto del 50% (mentre scriviamo non conosciamo le percentuali italiane) e, quindi, prevedere un quorum di validità delle elezioni del 50% degli aventi diritto al voto farebbe correre il rischio di non far svolgere più alcuna consultazione.
Casistica e norme applicabili.
Tornando al circoscritto caso della presenza di un’unica lista alle elezioni comunali, la casistica delle cause di tale fattispecie si riduce essenzialmente a due casi.
Il primo è quello della presenza di una sola lista perché non ve ne sono materialmente altre che siano state presentate ed è quello, potremo dire, meno conflittuale politicamente, ma che, stante l’attuale confusa legislazione, pure può dare adito a successivi giudizi di legittimità.
Il secondo riguarda il caso di più liste presentate, ma tutte escluse per difetti insanabili, fuorché una, dalla commissione elettorale circondariale.
Per entrambi i casi, il legislatore ante legge n. 81/93 aveva emanato una disposizione (l’art. 60 del D.P.R. 16.05.1960, n. 570) che disciplinava la fattispecie sia nei comuni più piccoli (inferiori a 5000 abitanti) sia in quelli più grandi (1), prevedendo un quorum per la validità dell’elezione, nonché per l’eleggibilità del candidato consigliere comunale.
Dopo l’entrata in vigore della legge 25.03.1993, n. 81, pur non essendo stata espressamente abrogata, la disposizione dell’art. 60 cit. sembrerebbe non più applicabile al sistema dell’elezione diretta del Sindaco. Usiamo il condizionale poiché in effetti, la legge n. 81/93 all’art 34 ha previsto alcune abrogazioni espresse di norme e tra queste vi sono diverse disposizioni del D.P.R. 570/1960, ma non è richiamato espressamente tra quelli abrogate l’art. 60.
In ogni caso, con una tecnica legislativa non proprio ortodossa, quanto ormai necessaria data la non esatta conoscenza di tutte le disposizioni in essere, il comma 4 dello stesso art. 34 della legge 81, abroga tutte le disposizioni legislative incompatibili con la legge sull’elezione diretta del Sindaco.
Da qui l’incertezza nel ritenere applicabile una disposizione prevista per un sistema elettorale del tutto diverso da quello oggi in vigore.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato si è occupato di questa fattispecie solo incidentalmente e in due distinti casi (gli unici a conoscenza di chi scrive), riguardanti il primo il comune di Tortorella (Sa), il secondo il comune di Alife (CE), riconoscendo la possibilità di nominare consiglieri tutti i candidati dell’unica lista ammessa ed affermando la non compatibilità del quorum previsto dall’art. 60 del D.P.R. n. 570/1960 con il nuovo sistema elettorale (2).
Le controversie, peraltro analoghe, riguardavano principalmente la possibilità di nominare consiglieri comunali tutti i candidati consiglieri comunali presenti nell’unica lista e non solo i due terzi come previsto dall’art. 5 della legge 81, ma in entrambe le elezioni il quorum di validità era stato raggiunto.
Nella vicenda del comune di Tortorella, la deliberazione di convalida degli eletti, nel numero di otto su dodici consiglieri assegnati al comune (corrispondenti ai due terzi dei seggi), veniva impugnata dai quattro candidati non dichiarati eletti.
Il TAR della Campania riteneva legittimo il provvedimento poiché , pur in assenza di liste concorrenti, esso era conforme al principio della prevalenza della persona sugli schieramenti introdotto con la legge per l’elezione diretta del sindaco, secondo la quale anche all’interno della medesima lista si vuole favorire una forma di concorrenza tra i candidati. Inoltre, la dizione letterale della norma avrebbe confortato l’interpretazione secondo la quale alla lista collegata al Sindaco eletto vanno assegnati solamente i due terzi dei seggi.
I candidati non eletti avevano proposto appello al Consiglio di Stato, che aveva annullato la pronuncia dei primi giudici, deducendo l’erronea interpretazione dell’art. 5 L. 81/1993 o, in subordine, il contrasto con gli artt. 3, 51, 97 della Costituzione.
Il Consiglio di Stato affermava che la fattispecie in giudizio non era espressamente contemplata e quindi disciplinata dalla nuova legge per l’elezione diretta del Sindaco e del Consiglio comunale, sicché essa andava risolta alla luce dell’unica norma richiamabile nel caso di specie – l’art. 5, comma 7° della legge 81/1993 – nonché dei principi costituzionali che possono interferire nell’esame del problema, tenendo presente la regola ermeneutica secondo cui una norma – laddove è tecnicamente possibile – va interpretata nel senso in cui sia conforme al dettato costituzionale anziché nel senso contrario.
Data l’importanza della motivazione della sentenza si ritiene utile riportarla integralmente.
La Corte,dunque argomentava come segue:
“E’ utile premettere che la nuova legge elettorale n. 81/1993, all’art. 5, 1° e 2° comma ha previsto che nei Comuni con popolazione sino a quindicimila abitanti l’elezione dei consiglieri comunali si effettua con il sistema maggioritario contestualmente all’elezione del Sindaco e che ciascuna lista, necessariamente collegata ad una candidatura alla carica di Sindaco, può comprendere un numero di candidati non superiore al numero dei consiglieri da eleggere e non inferiore ai tre quarti.
Invece, il sistema previgente prevedeva che le candidature nei Comuni con popolazione sino a cinquemila abitanti fossero raggruppate in liste comprendenti un numero di candidati non inferiore ad un quinto e non superiore ai quattro quinti dei Consiglieri da eleggere (art. 28, comma primo, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 ora abrogato e modificato dagli artt. 34 e 10 della L. n. 81/1993).
Sicché nel vigente sistema è legittimo presentare liste comprendenti tanti candidati quanti sono i seggi comunali da assegnare.
Venendo ora al punto specifico della questione in esame, rileva la Sezione che, come già detto, la L. n. 81/1993 non contempla espressamente il caso in cui sia stata ammessa e votata una sola lista. Tuttavia l’art. 5, comma settimo, della legge n. 81/1993, che è quello più direttamente applicabile alla fattispecie, così dispone: “Alla lista collegata al candidato alla carica di Sindaco che ha riportato il maggior numero di voti sono attribuiti due terzi dei seggi assegnati al consiglio, con arrotondamento all’unità superiore qualora il numero dei consiglieri da comprendere nella lista contenga una cifra decimale superiore a 50. I restanti seggi sono ripartiti proporzionalmente fra le altre liste”.
Orbene la norma non è meccanicamente applicabile al caso di specie, in quanto essa si fonda sul presupposto che alla competizione abbiamo partecipato più liste. Tuttavia da essa emerge che anche il nuovo sistema elettorale ha voluto confermare la rappresentanza in consiglio alle minoranze. Quindi sia il nuovo che il vecchio sistema si preoccupano di salvaguardare il principio che le liste di minoranza siano, a garanzia della dialettica funzionalità dell’organismo, rappresentate in seno all’organo consiliare.
L’unica differenza è che, mentre con il vecchio sistema il principio veniva salvaguardato con il limitare il numero dei candidati di lista ai quattro quinti dei consiglieri da eleggere (c.d. voto limitato), con il nuovo meccanismo si incide sul momento, successivo, della distribuzione dei seggi, dove alla lista collegata al Sindaco eletto vengono attribuiti solamente i due terzi dei seggi assegnati al Consiglio, e questo nonostante la lista collegata abbia un numero di candidati pari al numero di seggi assegnabili.
Tuttavia, ad avviso della Sezione, la salvaguardia del principio della partecipazione delle minoranze, non va affermato sempre e comunque, anche cioè quando non esista una “minoranza” da salvaguardare.
In altri termini il principio deve avere la concreta ed obiettiva possibilità di operare; possibilità (e giustificazione) che certamente manca nell’ipotesi in cui manchi il presupposto basilare della presenza di altre liste concorrenti, dalla cui presenza solo può formarsi una rappresentanza “di minoranza” all’interno del Consiglio Comunale.
La norma di cui al 7° comma dell’art. 5 L. n. 81/1993 non è, dunque, sufficiente a fornire la soluzione al problema, essendo essa diretta a disciplinare la normale ipotesi in cui la competizione si svolge tra più liste e più candidature alla carica di Sindaco. Tuttavia con il nuovo sistema elettorale può verificarsi non solo che si presenti una sola lista (cosa possibile anche precedentemente), ma anche che tale unica lista possa essere formata da tanti candidati quanti sono i seggi da assegnare. Orbene, in tal caso, visto che, come si è già osservato, il principio di salvaguardia del diritto delle “minoranze” non può concretamente trovare attuazione, c’è da chiedersi se vi siano nel nostro ordinamento altri principi o norme giuridiche che rendano giustificabile una limitazione della assegnazione di tutti i seggi previsti per l’organo consiliare.
Ad avviso della Sezione non solo non vi sono norme o principi ostativi, ma vi sono piuttosto principi e ragioni che impongono la soluzione contraria.
Anzitutto va ricordato che il principio ispiratore di tutto il sistema è quello della eleggibilità e del libero accesso all’elettorato passivo, così come espresso dall’art. 51 della Costituzione (sent. C. Costituzionale n. 46 del 1969).
Sicché eventuali limitazioni debbono essere espressamente previste da una norma di legge che sia preordinata a garantire la soddisfazione di particolari esigenze di pubblico interesse.
Inoltre un’interpretazione della norma di cui all’art. 5 L. n. 81/1993 che portasse ad affermare la regola secondo cui, in ogni caso, non si possa che dichiarare eletti un numero massimo pari ai due terzi dei consiglieri, sarebbe in contrasto con l’art. 97 della Costituzione, incidendo sul buon andamento della Pubblica Amministrazione e determinerebbe, senza che ve ne sia l’obiettiva necessità giustificata da un principio giuridico specifico, un’incrinatura nel rapporto tra il numero degli amministratori ed il numero degli abitanti (evidentemente ritenuto ottimale dalla norma che ha fissato il numero dei seggi da assegnare, per garantire la corretta amministrazione dell’ente territoriale comunale).
Né si può condividere quanto ritenuto dal tribunale che la funzionalità del Consiglio comunale è possibile anche nella composizione ridotta, visto che questo già poteva verificarsi con il vecchio sistema. Infatti, nel sistema previgente la possibilità di una composizione ridotta del Consiglio comunale era il portato necessario del meccanismo per cui ciascuna lista poteva contenere al massimo i quattro quinti dei seggi da eleggere e non certo l’affermazione del principio della necessaria partecipazione delle minoranze, che in fondo aveva sì ispirato il meccanismo medesimo, ma in caso di lista unica non poteva concretamente affermarsi e giustificarsi.
In conclusione, dal sistema emerge che la regola di cui all’art. 5, comma 7°, della legge 81/1993 non può giuridicamente operare in ordine al caso di specie, poiché essa disciplina un’ipotesi diversa da quella in cui alla competizione elettorale partecipi una sola lista formata da tanti candidati quanti sono i seggi da assegnare, ipotesi alla quale si applicano gli altri principi indicati, tutti cospiranti verso un’interpretazione opposta a quella adottata dall’Amministrazione e dai primi giudici.
In ordine al profilo, pure affrontato dai primi giudici, secondo cui ammettere la possibilità che vengano eletti tutti i candidati dell’unica lista presentata, a prescindere dai voti riportati da ciascuno di essi, non assicurerebbe una corretta rappresentanza, osserva la Sezione che nel caso di specie il problema non si pone, avendo i quattro candidati esclusi riportato un numero considerevole di voti di preferenza.
D’altronde l’art. 50 del D.P.R. n. 570/1960, pur non essendo stato espressamente abrogato dall’art. 34 della legge 81/1993, non sembra conciliarsi con il nuovo meccanismo della preferenza unica.”
Fin qui la motivazione cristallina della sentenza del CDS.
In effetti, come si vede, la questione del quorum di validità dell’elezione è trattata solo incidentalmente e non è diffusamente motivata poiché il ricorso aveva un petitum del tutto diverso. Comunque, dalle argomentazioni sopra riportate sembra non doverci essere dubbio sulla non applicabilità del quorum al nuovo sistema elettorale, anche perché appare dimostrata l’incompatibilità delle norme secondo il criterio minimo stabilito dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di abrogazione implicita secondo cui anche se le due norme comparate singolarmente possono apparire pienamente compatibili, laddove si risalga ai principi cui si subordinano e si ispirano, esse risultino in realtà incompatibili (3).
Possibili soluzioni de jure condendo.
Sicuramente sull’argomento ci sarà da attendere nuove pronunce dei giudici, soprattutto in vista delle attuali elezioni amministrative (ultimissime notizie ci dicono che almeno in un piccolo Comune della provincia di Catanzaro le elezioni comunali siano state dichiarate invalide per mancanza del quorum di votanti) e, quindi, la materia sarà sicuramente rivisitata dagli operatori del diritto. Sarebbe, comunque, auspicabile un intervento del Legislatore, così solerte in altre materie, a chiarimento di una questione decisamente non di poco conto. Basterebbe un piccolo intervento di interpretazione autentica ovvero un’abrogazione esplicita di norme, in effetti non più applicabili poiché incompatibili con il sistema dell’elezione diretta del Sindaco.
Da segnalare, infine, un’altra possibilità per il Governo: quella di approvare un apposito testo unico. Infatti, l’art. 34 della legge 81/1993 al comma 5° ancora afferma che il Governo entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge avrebbe dovuto emanare un testo unico che doveva riunire e coordinare le disposizioni legislative vigenti per le elezioni degli organi comunali e provinciali.
Con questo testo unico, anche se non di tipo non novativo, ma solo amministrativo (in quanto la competenza a legiferare in materia elettorale è solo del Parlamento, con procedura normale) si sarebbe potuto fare ordine nella materia.
A distanza di sei anni, purtroppo, il testo unico in questione non ha ancora visto la luce, ma è in buona compagnia con gli atri più volte auspicati, non ultimo quello sulle autonomie locali.
NOTE:
(1) Art. 60. (T.U. 5 aprile 1951, n. 203, art. 50, e Legge 23 marzo 1956, n. 136, art. 33). – Ove sia stata ammessa e votata una sola lista, nei Comuni con popolazione sino a 10.000 (1a) abitanti, si intendono eletti i candidati che abbiano riportato un numero di voti validi non inferiore al 20 per cento dei votanti, purché il numero dei votanti non sia stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune: nei Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti si intendono eletti i candidati compresi nella lista purché essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiori al 50 per cento dei votanti ed il numero dei votanti non sia stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune.
Qualora il numero dei votanti non abbia raggiunto la percentuale di cui al comma precedente, la elezione è nulla; è parimenti nulla la elezione nei Comuni con popolazione sino a 10.000 (1a) abitanti, qualora non sia risultata eletta più della metà dei consiglieri assegnati.
(1a) Ora, 5.000 abitanti in forza della L. 10 agosto 1964, n. 663, riportata al n. C/III.
(2) CDS, V sez. 13.10.1994, n.1118 in Jurisdata 1998 e CDS, V sez. 16.12.1994, n.1527 in Jurisdata 1998.
(3) Giannini, Problemi relativi all’abrogazione delle leggi, Padova, 1942, Italia, La fabbrica delle leggi, Milano, 1990, per tutte cfr. Cass. 12.11.1973, n. 2979, Giust. Civ.Rep., 1973.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento