Ma al di là delle considerazioni sul patrimonio personale di Musk e sulle cifre che il geniale imprenditore è disposto a spendere per finanziare le sue idee, sono le implicazioni per tutti noi comuni mortali che vanno considerate in questa acquisizione. E sono molte, che ci piaccia o meno, che siamo social o meno, che utilizziamo Twitter o meno.
Mentre l’Europa di accinge a varare il Digital Services Act, ovvero il pacchetto di norme della Commissione Europea per la regolamentazione della rete, Musk ha dichiarato di voler rendere il suo nuovo social una pubblica piazza, diminuendo la moderazione dei contenuti ed incentivando al massimo la libertà di espressione.
L’intenzione del patron di Tesla è quella di togliere la società dalla Borsa, per renderla una private company, ed inoltre di:
- ridurre la moderazione dei contenuti
- creare una funzione di modifica per i tweet
- aumentare il limite massimo di caratteri, che al momento sono 140
- rendere l’algoritmo di Twitter open source, cioè trasparente e liberamente modificabile
- togliere la pubblicità a chi si abbona, con conseguenze non indifferenti sulla gestione dei dati
- spingere sugli abbonamenti riducendo la pubblicità, sempre in nome della massima libertà di espressione. Non essere schiavo delle inserzioni pubblicitarie, per un social, vuol dire essere totalmente libero di spingere i contenuti in maniera autonoma, senza dover rendere conto a nessuno.
Inoltre, pare che l’intenzione di Musk sia quella di rendere il social maggiormente trasparente in termini di visibilità dei singoli tweet (cioè di spiegare i motivi per cui un determinato tweet viene reso più visibile rispetto a un altro) e di ridurre i costi con tagli drastici al personale ed eliminazione degli stipendi del consiglio di amministrazione (non che lui abbia bisogno dello stipendio di Twitter per vivere decorosamente, dubbi sorgono sugli altri consiglieri, ma sarà un problema che il buon Elon saprà gestire con competenza).
L’acquisto di Twitter da parte di Musk non è solo una gigantesca operazione di business, che avrà implicazioni economiche per il mercato e per i lavoratori dell’azienda, ma ha implicazioni significative nel quotidiano di ognuno di noi, indipendentemente dal fatto che utilizziamo o meno il social dell’uccellino che cinguetta.
Il peso dei social nella politica, nell’economia e nella società non è più ignorabile e ce ne stiamo rendendo conto ogni giorno di più, a maggior ragione da quando è iniziata la guerra in Ucraina, che le varie parti stanno combattendo anche a colpi di tweet e di messaggi web. Non solo, ma non possiamo scordare lo scandalo Cambridge Analytica e le alterne vicende del rapporto tormentato del Presidente Trump proprio col social oggi di proprietà di Musk, che hanno portato al suo ban definitivo dal social a seguito dell’attacco in Campidoglio del 6 gennaio dell’anno scorso (ban a cui l’ex Presidente ha reagito creandosi un social tutto suo, tanto che ha dichiarato di non essere interessato a tornare su Twitter, sempre che la nuova gestione intenda riammetterlo).
La libertà di espressione porta con sé il noto “paradosso della tolleranza” di Karl Popper, per cui a voler “liberalizzare” in maniera totale ed indiscriminata la possibilità di dire sempre e comunque la propria, senza filtri, senza controlli, si rischia di essere travolti da disinformazione, hate speech, fake news, odio e contenuti nocivi in generale.
Al contrario, tutte le leggi già in vigore ed in corso di approvazione, quale il Digital Services Act, vanno nella direzione opposta: quella della responsabilizzazione, che non significa controllo sui contenuti, ma sul loro modo di espressione e sulla moderazione, per tenere sotto controllo fenomeni odiosi quali il cyber bullismo, l’incitamento all’odio, il revenge porn ed altri utilizzi abusanti, nocivi quando non proprio illegali della rete.
Twitter ha ricevuto 43.000 richieste di rimozione di contenuti in base alle leggi locali nella prima metà del 2021, più del doppio rispetto a due anni prima (fonte: Agenda Digitale). Con la linea che vorrebbe essere impressa dalla nuova proprietà, queste richieste potrebbero non più essere prese in considerazione, con la conclusione che il social, in nome della libertà di espressione a tutti i costi, potrebbe trasformarsi in una terra di nessuno dove vale tutto e dove tutto è concesso. Peraltro, uno dei motivi che hanno fatto la fortuna ed il punto di forza di un altro social estremamente diffuso, Telegram, dove la tolleranza nei confronti di contenuti a dire poco discutibili è notoriamente assai elevata.
Elon Musk è sufficientemente ricco e potente per essere indifferente alle critiche, può forse permettersi di non tenere conto di eventuali perdite economiche nel caso in cui si dovesse realizzare una fuga di massa dal suo social, ma può davvero ergersi ad arbiter super partes, con gli interessi di Tesla e delle altre sue compagnie che si intrecciano nella vita reale e in quella virtuale?
Qualcuno direbbe che nemmeno lui è immune alle leggi ed alle regole, come non lo è stato il suo collega Zuckerberg i cui guai in merito al trattamento dei dati sulle piattaforme Meta sono ormai storia nota.
Nel suo ultimo tweet prima di diventare il nuovo proprietario, Musk ha ribadito che continuerà ad essere imparziale, proprio per tutelare al massimo la libertà di parola di cui si è reso alfiere e portavoce.
Sarà interessante stare a vedere come questa promessa verrà mantenuta e con quali conseguenze, in un mondo che sempre di più è governato da quella che, a buon diritto, molti ormai definiscono il nuovo modello di governo mondiale, ovvero la nuova digicrazia.
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