Emergenza sanitaria ed emergenza costituzionale: covid-19 e diritto di accesso ad internet

Cesare Mele 01/07/20
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a cura del Dott. Cesare Mele e del Dott. Simone Landi

SOMMARIO: 1. Il diritto di accesso ad Internet a seguito della pandemia – 2. Stefano Rodotà e la Dichiarazione dei diritti in Internet – 3 L’applicazione della Dichiarazione diritti in Internet – 4 La “net neutrality” ed il principio di eguaglianza – 5 Conclusioni.

 

Abstract

La recente pandemia ha rivoluzionato completamente il modo di vivere, evidenziando le lacune del nostro sistema giuridico (e non solo) ed anche il divario economico e sociale esistente con le altre Nazioni.

A causa della mancanza di tutela e garanzia, sul piano costituzionale e legislativo, del diritto ad internet e delle apparecchiature necessarie per accedervi, numerosi studenti, professionisti e dipendenti pubblici e privati si sono trovati impreparati dinanzi al necessitato impiego delle modalità “smart-working” e “distance learning”.

Si avverte, pertanto, ora più che mai, l’esigenza di un sollecito intervento del legislatore volto a rimediare le sopra evidenziate carenze.

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Il diritto di accesso ad Internet a seguito della pandemia

Il Covid-19 ha piegato l’intero globo sotto il suo dominio.

A seguito del DPCM 9 marzo 2020, che ha vietato sull’intero territorio nazionale ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico[1], numerosi studenti, professionisti e dipendenti pubblici e privati si sono imbattuti nella problematica dell’utilizzo della modalità smart-working (c.d. lavoro agile) e della distance learning.

Siffatto fenomeno ha acuito le disparità sociali ed economiche già presenti in Italia in quanto non tutti i cittadini possono permettersi una valida connessione ad Internet (il 9,3% delle famiglie italiane) ed apparecchiature che permettano di poterne usufruire (il 7,2% delle famiglie italiane)[2], proprio per i costi elevati  e per la necessità di far fronte, con le proprie risorse economiche limitate, ad altri primari e più impellenti bisogni, di natura esistenziale, evidentemente acuitisi con la crisi economica indotta dalla pandemia.

L’Istat ha registrato, nel periodo 2018-2019, che il 33,8% delle famiglie non ha computer o tablet in casa; inoltre, dai dati pubblicati, viene evidenziata la discrasia tra le varie Regioni d’ Italia in quanto nel Mezzogiorno il 41,6% delle famiglie è senza computer in casa (rispetto ad una media del 30% nelle altre aree del Paese)[3].

Dai richiamati elementi si evince, quindi, come l’accesso ad internet deve essere qualificato come un vero e proprio diritto, il quale va riconosciuto, garantito e tutelato al pari degli altri diritti costituzionali, attesa la strumentalità dello stesso rispetto ai primi.

Difatti, se così non fosse, si incrementerebbero le discrasie già esistenti nel nostro tessuto sociale e si attenterebbe a diritti costituzionalmente garantiti, come il diritto allo studio, il diritto al lavoro e, ovviamente, al principio di uguaglianza; quest’ultimo principalmente nell’accezione di uguaglianza sostanziale.

Si legga anche:”Lo smart working e la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione”

Stefano Rodotà e la Dichiarazione dei diritti in Internet.

Il Covid-19 ha, quindi, evidenziato l’inappropriatezza dell’accesso ad Internet in Italia, soprattutto alla luce delle sopravvenute esigenze degli studenti e dei professionisti i quali si sono trovati impreparati per la carenza di strumenti appropriati, idonei a garantire adeguatamente l’esercizio di tale diritto.

L’importanza dello strumento Internet, quale mezzo non solo di comunicazione ma anche di apprendimento e di manifestazione del pensiero, era stato già sottolineato dal prof. Stefano Rodotà nel corso della Terza edizione dell’Internet Governance Forum Italia.

Il noto giurista, manifestando sapiente lungimiranza, propose una modifica costituzionale[4] volta a garantire l’accesso ad Internet come requisito essenziale per l’inclusione sociale, al fine di eliminare il digital divide e di assicurare una maggiore esplicazione del principio di eguaglianza e di tutti gli altri diritti collegati ad Internet (libertà di pensiero, diritto all’informazione).

Lo scopo di Rodotà era quello di eliminare qualsiasi ostacolo di ordine economico sociale al fine di consentire, con modalità tecnologicamente adeguate, un paritario diritto di accesso ad Internet.

A seguito del Regolamento UE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo del 25 novembre 2015[5], volto a stabilire regole comuni a tutti gli Stati membri al fine di assicurare paritari servizi per l’accesso ad Internet, fu istituita in Italia la Commissione di studio sui diritti e doveri relativi ad Internet, guidata dal prof. Stefano Rodotà.

I lavori della Commissione hanno portato alla redazione, il 28 luglio 2015, della “Dichiarazione dei diritti in Internet”, della quale è fondamentale richiamare l’articolo 2.

Il citato articolo statuisce espressamente: “L’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite. Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità”.

L’applicazione della Dichiarazione dei diritti in Internet

Se la Dichiarazione fosse stata tempestivamente tradotta in specifici interventi normativi cogenti, certamente non si sarebbe verificata alcuna impreparazione a fronte della necessità di applicare in modo massivo le modalità dello smart-working e della distance learning.

Difatti, la qualifica dell’accesso ad internet come diritto fondamentale per il pieno sviluppo sociale ed individuale della persona, in aderenza all’art. 3 della Cost. (nella parte relativa alla rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana) ed all’art. 4 della stessa (nella parte relativa alla promozione delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro), evidenzia la necessità di un inserimento di siffatto diritto all’interno della nostra Carta costituzionale.

Il diritto fondamentale all’accesso ad internet, come ben chiarisce il documento sopra richiamato, deve essere assicurato non come una mera possibilità, solamente enunciata in atti programmatici, di collegarsi alla Rete, bensì mediante la formalizzazione del diritto e la conseguente distribuzione di strumenti che ne consentano l’esercizio.

Invero, alcune Regioni[6] hanno cercato di ovviare a questo problema mediante lo stanziamento di bonus che permettano, ai cittadini meno abbienti, l’acquisto di strumenti idonei per l’accesso ad Internet e per affrontare le modalità dello smart-working e della distance learning.

Inoltre, alcune Università e scuole italiane hanno provveduto alla consegna di computer presso il domicilio degli studenti al fine di permettere a quelli che ne sono privi di poter seguire le lezioni e sostenere le prove di esame.

Secondo le ultime indiscrezioni, il Governo, al fine di porre rimedio a siffatta situazione, vorrebbe introdurre un bonus PC ed Internet per imprese e famiglie per agevolarli nell’acquisto di nuovi dispositivi tecnologici e della connessione Internet.

Le carenze sopra evidenziate, dunque, hanno coinvolto non solo numerosi studenti[7], i quali hanno visto fortemente compromesso il proprio diritto allo studio e all’istruzione, oltre che vari diritti a questi connessi (art.3 Cost., art.9 Cost., art. 21 Cost., art. 19 Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo); ma anche numerosi insegnanti e dipendenti pubblici e privati, che, non ricevendo dal proprio datore i dispositivi necessari per lo svolgimento del lavoro da remoto, sono stati costretti a procurarsi da sé le relative apparecchiature.

In verità, la problematica di fondo è un’altra: non si doveva provvedere ad erogare sussidi solo a fronte dell’attuale stato emergenziale, che ha messo in risalto l’impreparazione al lavoro da remoto, bensì era necessario assicurare per tempo a tutti i cittadini la possibilità di usufruire dei mezzi sufficienti per l’accesso ad Internet, in quanto esplicazione di un loro diritto fondamentale.

Era necessario applicare il principio del “prevenire invece di curare”, in quanto mediante una corretta garanzia e un corretto riconoscimento del diritto ad Internet il problema non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe manifestato in misura più blanda.

Quindi, la Dichiarazione non ha avuto una concreta applicazione pratica in quanto non è stata adottata come modello di ispirazione dai vari legislatori per garantire al meglio i diritti del singolo cittadino.

La “net neutrality” ed il principio di eguaglianza

Ulteriore problematica, riemersa nel corso della pandemia, attiene alle modalità di accesso ad Internet.

Difatti, si discute sul se sia preferibile assicurare un accesso gratuito generalizzato ad Internet o limitarsi ad applicare il concetto di net neutrality, affermato in Italia con l’art. 4 della Dichiarazione dei diritti in Internet[8]. Per net neutrality si intende una rete “neutra” ovvero una rete a banda larga che non soggiace, sia per i costi che per la fruizione dei dispositivi, ad alcuna restrizione, discriminazione o favoritismi dei provider.

Richiamando l’affermazione del giurista Stefano Rodotà, secondo cui “I diritti fondamentali si pongono a presidio della vita, che in nessuna sua manifestazione può essere attratta nel mondo delle merci”[9], è possibile comprendere le ragioni che hanno condotto all’affermazione del principio della net neutrality, in quanto ci troviamo così in presenza di una rete onesta che, almeno in partenza, garantisce una pari eguaglianza, libertà e dignità.

La neutralità della rete, pur se finalizzata ad assicurare che “nessuno può essere discriminato, ad esempio fornendo servizi migliori a chi può pagare di più”[10], non implica, peraltro, che non sia possibile fornire a costi diversi servizi di qualità differente né che l’accesso ad Internet sia gratuito. Quindi la net neutrality, pur ponendo in essere le condizioni per un accesso paritario alla Rete, lo limiterebbe comunque in relazione ai differenti costi dei servizi, in quanto non tutti hanno la disponibilità economica per usufruirne nella loro totalità.

Risulta, pertanto, evidente che solo la gratuità dell’accesso, unita al principio della net neutrality, consente la piena utilizzazione della Rete da parte dell’utente.

Tralasciando comunque le considerazioni attinenti al se sia giusto o meno un accesso gratuito ad Internet ( e al se ciò sia possibile in relazione al rispetto del principio di libertà di iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della Costituzione, anche ricorrendo alla leva tributaria per la socializzazione dei costi), sicuramente sarebbe stato preferibile assicurare, nella fase emergenziale del Covid-19, alle categorie di soggetti più colpiti (insegnanti, studenti e professionisti) un accesso gratuito, così riconoscendo loro una maggiore garanzia dei diritti fondamentali, quali quelli allo studio e al lavoro.

Conclusioni

La pandemia del Covid-19, senza ombra di dubbio, ha portato alla ribalta una problematica fondamentale, quale quella della costituzionalizzazione del diritto ad Internet[11], oggetto di un dibattito mai sopito che trarrà sicura linfa dall’attuale occasione emergenziale e che si auspica condurrà ad interventi normativi, stabili e definitivi.

La Dichiarazione dei diritti in Internet, sopra citata, non ha, infatti, valenza normativa ed è finalizzata a rendere i cittadini più coscienti del loro “diritto ad avere diritti”[12].

L’intervento del legislatore si palesa, pertanto, necessario ed urgente, in relazione all’importanza della Rete nel nostro sistema sociale e giuridico.

Valga in proposito rammentare che: “Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Ha cancellato confini e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza. Ha ampliato le possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica. Ha modificato l’organizzazione del lavoro. Ha consentito lo sviluppo di una società più aperta e libera. Internet deve essere considerata come una risorsa globale e che risponde al criterio della universalità […] Internet è uno strumento imprescindibile per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale”[13].

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BIBLIOGRAFIA

Abba L., Il valore della carta dei diritti in Internet, Utet, 2020.

Barbera A., Fusaro C., Corso di diritto costituzionale, Cedam, 2014.

Di Corinto A., Internet: ecco la Carta dei diritti e dei doveri della rete, in www.repubblica.it.

Rodotà S., La vita e le regole: tra diritto e non diritto, Feltrinelli, 2009.

Rodotà S., Rodotà e la Carta dei diritti in Internet, in www.privacyitalia.eu.

Note

[1] DPCM 9 marzo 2020, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale, in G.U., Serie Generale n. 62 del 9-3-2020.

[2] Dati ISTAT, aggiornati all’anno 2019, pubblicati il 16 maggio 2020 in www.istat.it.

[3] Dati ISTAT pubblicati il 6 aprile 2020 in www.istat.it.

[4] La modifica costituzionale proposta dal prof. Stefano Rodotà consisteva nell’inserimento nella Carta Fondamentale dell’art. 21 bis: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire le violazioni dei diritti di cui al Titolo I della parte I”. Si veda in proposito il Disegno di legge costituzionale n. 2485 -Senato della Repubblica- XVI Legislatura, in www.senato.it.

[5] Regolamento UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, recante misure riguardanti l’accesso ad Internet e che modifica la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica e il regolamento (UE) n. 531/2012 relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione, in www.eur-lex.europa.eur.

[6] Si vedano le Regioni Campania, Abruzzo, Piemonte, Lombardia, Lazio.

[7] Secondo i dati ISTAT, pubblicati il 6 aprile 2020, il 12,3% dei ragazzi tra i 6 e i 17 anni non ha un computer o un tablet a casa (nel Mezzogiorno si parla di 470 mila ragazzi).

[8] L’art. 4 della Dichiarazione dei diritti in Internet così recita: “Ogni persona ha il diritto che i dati trasmessi e ricevuti in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone. Il diritto ad un accesso neutrale ad Internet nella sua interezza è condizione necessaria per l’effettività dei diritti fondamentali della persona”.

[9] S. Rodotà, La vita e le regole: tra diritto e non diritto, Feltrinelli, 2009, p. 38.

[10] S. Rodotà, Rodotà e la Carta dei diritti in Internet, in www.privacyitalia.eu.

[11] A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto costituzionale, Cedam, 2014, p. 203.

[12] Si consulti, A. Di Corinto, Internet: ecco la Carta dei diritti e dei doveri della rete, in www.repubblica.it;

  1. Abba, Il valore della carta dei diritti in Internet, Utet, 2020, pp. 35 ss.

[13] In questi termini la Dichiarazione dei diritti in Internet in www.camera.it.

Cesare Mele

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