Emissione di fatture per operazioni inesistenti: accertamento dolo specifico

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La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 42497 del 18 ottobre 2023) ha chiarito come deve essere accertato il dolo specifico del reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

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Corte di Cassazione – Sez. III Pen. – Sent. n. 42497 del 18/10/2023

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Indice

1. La questione: l’emissione delle fatture

La Corte di Appello di Firenze, in accoglimento di un appello proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, riformulava l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Lucca, con la formula «perché il fatto non costituisce reato», e condannava l’imputato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di un anno e due mesi di reclusione per il reato ex art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dalla Corte territoriale fiorentina proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva vizio della motivazione per l’errata valutazione della responsabilità dell’imputato sulla sussistenza della sua volontà di favorire i terzi con l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

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2. Accertamento del dolo specifico: soluzione della Corte

La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato fondato.
In particolare, per quello che rileva in questa sede, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione, facendo prima di tutto presente che il dolo specifico del reato ex art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 non è in re ipsa, posto che la legge prevede esplicitamente che al compimento della condotta tipica dell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, si aggiunga la finalità di evasione, la cui realizzazione, però, non è necessaria ai fini della consumazione del reato.
Difatti, come rilevato sempre in sede nomofilattica (Sez. 6, n. 16465 del 06/04/2011), in tema di dolo, la prova della volontà della commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l’azione e delle quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare l’evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione, posto che la prova del dolo si ricava essenzialmente dagli elementi obiettivi del fatto, dalle concrete manifestazioni della condotta.
Pertanto, anche nel caso del delitto ex art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, devono emergere elementi fattuali dimostrativi che l’autore materiale della condotta abbia consapevolmente e volontariamente preordinato l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti (anche) per consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, anche se, come affermato da Sez. 3, n. 44449 del 17/09/2015, il fine di consentire l’evasione altrui idoneo ad integrare il dolo specifico del reato in oggetto ben può essere accompagnato da altre finalità, anche di carattere personale.
Orbene, alla luce di tale quadro ermeneutico, gli Ermellini ritenevano come i giudici di seconde cure, nell’accogliere l’impugnazione del Pubblico ministero, non avessero indicato alcun elemento di fatto per ritenere provato il dolo specifico di favorire l’evasione dei terzi, avendo affermato apoditticamente che l’emissione delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti avrebbe consentito a terzi di dedurre, illegittimamente, i costi, in linea generale ed astratta, senza alcuna analisi specifica dei fatti ricostruiti in primo grado, tenuto conto altresì del fatto che l’appello non si fondava su prove non valutate dal Tribunale, ma esclusivamente sul dato normativo e, in particolare, sull’art. 21 d.P.R. n.633 del 1972 che, però, si riferiva all’emittente della fattura per l’operazione inesistente il quale, in base a tale norma, era tenuto a pagare ugualmente l’Iva secondo quanto riportato nella fattura.
Del resto, che il ricorrente avesse agito al fine specifico di fornire fatture, per quanto soggettivamente false, per scaricare costi indebiti ex lege – era, dunque, per i giudici di piazza Cavour,una congettura, una deduzione sfornita dell’indicazione delle prove a sostegno, soprattutto a fronte degli elementi di prova indicati in primo grado, sull’effettivo pagamento delle fatture e delle relative imposte.
In sostanza, per la Corte di legittimità, mentre l’assoluzione si fondava sull’indicazione di una serie di circostanze di fatto, la condanna, invece, si basava su una base cognitiva del giudice di appello che non era mutata, sull’assenza di elementi di prova a sostegno della condanna e su una lettura errata del dato normativo.
Sussisteva, pertanto, per la Suprema Corte, il dedotto vizio della motivazione.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi chiarito come debba essere accertato il dolo specifico del reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che devono emergere elementi fattuali dimostrativi che l’autore materiale della condotta abbia consapevolmente e volontariamente preordinato l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti (anche) per consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Orbene, il giudizio in ordine all’interpretazione fornita dell’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000 in tale provvedimento è sicuramente positivo in quanto, oltre ad essere rispettoso del tenore letterale di tale norma incriminatrice e conforme ad un pregresso indirizzo interpretativo, evita che, per ritenere configurabile siffatto elemento costitutivo, siano sufficienti meri elementi presuntivi ed ipotetici da cui inferire che l’autore materiale della condotta abbia consapevolmente e volontariamente preordinato l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, anche per consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Tale decisione, quindi, può essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba accertare la sussistenza di questo elemento soggettivo, fermo restando il giudizio positivo nei termini appena esposti.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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