Opinando in conformità con l’orientamento del Tribunale di Vercelli, emerge come, diversamente dalle pronunce di interdizione e inabilitazione, che determinano un’assoluta o parziale incapacità della persona interessata, la nomina dell’amministratore di sostegno non ha come presupposto la privazione della capacità di agire per il beneficiario. Questi, così dispone l’art. 409 c.c., conserva la propria determinazione per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore. Dunque il soggetto coadiuvato, può accettare l’eredità anche «puramente e semplicemente», purché previamente autorizzato dal giudice tutelare. Sarà quest’ultimo infatti a dover valutare, di volta in volta, ciò che è più conveniente per l’amministrato. Con la conseguenza che, in caso di successione palesemente priva di passività e di debiti lasciati dal de cujus, il magistrato può autorizzare l’accettazione ereditaria anche con comportamenti taciti. Tutto ciò implica che, in sede di istanza, l’interessato indichi, compiutamente, non solo i contenuti dell’atto da autorizzarsi, ma altresì che il compimento dello stesso determinerà gli effetti di cui all’art. 476 c.c., e che questi ultimi saranno forieri di conseguenze positive per il soggetto beneficiario, o quantomeno scevri da controindicazioni.
La misura di protezione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, insomma, deve, sempre di più, essere visto alla stregua di un abito confezionato su misura, che lo rende non già un istituto di tutela rigido e preconfezionato, bensì adattabile ad personam e rispettosa delle sue vere esigenze, necessità e dignità.
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