Errore di fatto: i confini della revocazione ex artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4 c.p.c.

Approfondimento sull’istituto della revocazione ex artt. 106 c.p.a. e 395, n. 4 c.p.c.

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Indice

1. Introduzione

L’art. 106 c.p.a. prevede che le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile.
In particolare, l’art. 395, al n. 4, stabilisce che la revocazione è possibile allorché la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e, tanto nell’uno quanto nell’altro caso, se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
Detto errore di fatto si distingue dall’errore di diritto – ossia la violazione ovvero la falsa applicazione di norme giuridiche – che non rientra nei casi di cui all’art. 395 c.p.c.; altresì, si sottolinea come detto rimedio sia di natura eccezionale, non corrispondente ad un terzo grado di giudizio.
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Il diritto amministrativo nella giurisprudenza

Il volume raccoglie 62 pronunce che rappresentano significativamente i principi fondamentali, gli istituti e le regole del diritto amministrativo sostanziale e processuale; fornendo – anzitutto agli studenti – uno strumento che consente di cogliere la sostanza di quanto nei manuali viene descritto in termini generali e, in definitiva, i modi concreti in cui il diritto amministrativo opera e interviene sulle situazioni reali. La suddivisione degli argomenti ricalca, in via di massima, lo schema seguito nelle trattazioni manualistiche. Per ogni argomento si esaminano una o due decisioni, rese in sede giurisdizionale o anche consultiva. La struttura di ciascun contributo è così articolata: il quadro generale; la vicenda; la sentenza o il parere; il commento; la bibliografia di riferimento. Nei contributi in cui vengono esaminate due decisioni, lo schema “la vicenda – la sentenza (o il parere) – il commento” si ripete per entrambe. IL QUADRO GENERALE tende precisamente a collocare la singola pronuncia nel contesto dei principi e delle regole che la riguardano, anche con rinvio ad essenziali riferimenti di dottrina. Segue, quindi, LA VICENDA, vale a dire la descrizione dei fatti da cui trae origine la controversia. I fatti sono talora noti, riferendosi a vicende importanti, oggetto di attenzione da parte dei media; in altri casi, sono invece eventi di minore importanza, capitati a cittadini comuni in circostanze ordinarie. Si tratta, comunque, di casi che si presentano particolarmente idonei ad evidenziare profili rilevanti del diritto amministrativo. Nella parte concernente LA SENTENZA o IL PARERE, poi, viene riportato un estratto della pronuncia del giudice (Consiglio di Stato, T.A.R., Cassazione, Corte costituzionale) che risolve la questione. Infine, IL COMMENTO tende a fornire qualche elemento per collocare la pronuncia nel contesto più generale della giurisprudenza, segnalando se l’orientamento adottato si presenti, rispetto ai precedenti, pacifico o quanto meno prevalente, o se sia all’opposto minoritario o, ancora, se si tratti di un caso privo di precedenti. Al termine di ogni contributo, nella BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO è fornito un elenco essenziale delle opere bibliografiche richiamate nel testo, secondo il modello di citazione “all’americana”. Marzia De Donno Ricercatrice TD B di Diritto amministrativo, Università degli studi di Ferrara. Gianluca Gardini Professore ordinario di Diritto amministrativo, Università degli studi di Ferrara. Marco Magri Professore ordinario di Diritto amministrativo, Università degli studi di Ferrara.

A cura di Marzia De Donno, Gianluca Gardini e Marco Magri | Maggioli Editore 2022

2. La nozione di errore di fatto secondo la giurisprudenza

La giurisprudenza amministrativa, riecheggiando quanto statuito da quella civile, ha, a più riprese, evidenziato che l’errore di fatto in analisi deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronunzia sarebbe stata diversa (Cass. S.U. n. 13181/2013; Cass. n. 7647/2005; C.d.S. n. 3671/2018; C.d.S. n. 406/2018; C.d.S. n. 4928/2017).
In altri termini, l’errore di fatto in esame consiste in una mera svista di carattere materiale, obiettivamente e immediatamente rilevabile, ricadente su un fatto decisivo.
Trattasi, in buona sostanza, di errore meramente percettivo, che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa e interpretativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività. Quest’ultimo si distingue dall’errore materiale correggibile afferente al mero lapsus calami – emergente dalla sentenza senza che occorra metterla a confronto con altri documenti, ed errore di fatto revocatorio, consistente, per l’appunto, nell’errore di percezione di un inconfutabile dato di fatto, risultante dal contenuto letterale, e comunque semantico, dei documenti e degli atti di causa, che il giudice ha letto male o male ricordato nel momento della maturazione, che è così risultata sviata, della sua decisione.
Un errore banale, una brutale svista che attiene alla sfera della percezione e, così, alla sfera sensoriale (della lettura o della memoria di quanto risultante dagli atti e documenti della causa) e non a quella del ragionamento; un errore – svista che, pertanto, non può mai cadere sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti (Comm. Ipsoa V edizione – Cass. n. 6198/2005).
Ad esempio, anche l’omesso esame di censure formulate dall’appellante costituisce un errore di fatto revocatorio (C.d.S. n. 535/2008; C.d.S. n. 1662/2007 che ritengono il vizio integrato anche dall’omessa statuizione su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale).
E ancora, costituisce errore di fatto revocatorio l’aver, il giudice, posto a fondamento della propria decisione una circostanza di fatto inesistente (Cass. 19924/2008), ovvero decisivo, nel senso che deve costituire motivo essenziale, determinante, anche se non unico, sul quale si è fondata la sentenza revocanda (Cass. n. 1573/1973).

3. I chiarimenti della giurisprudenza recente

Quanto appena esposto è stato recentemente chiarito, con specifico riferimento alle sentenze del giudice amministrativo, dal Consiglio di Stato allorché ha stabilito che l’errore di fatto, di cui al combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., è configurabile nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento, apprezzamento, interpretazione e valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del suo convincimento, che può prefigurare esclusivamente un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio.
Per essere concretamente rilevante è necessario che esso: 1) derivi da una semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo con ciò come comprovato un fatto documentalmente escluso od obiettivamente inesistente; 2) sia accertabile e riscontrabile con immediatezza; 3) attenga a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; 4) sussista un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la statuizione contenuta in sentenza.
Conseguentemente, l’errore di fatto revocatorio è configurabile laddove il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo e non in un mero difetto di motivazione della decisione (C.d.S. n. 8265/2023; C.d.S. n. 7958/2023; C.d.S. n. 6713/2023).

4. Conclusioni

In conclusione, il combinato disposto di cui supra troverebbe applicazione unicamente allorché sussistano i presupposti poc’anzi esposti e non anche allorché il giudice si sia pronunziato su uno o più motivi, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto – quale svista percettiva immediatamente percepibile – bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto e, quindi, un errore di giudizio (Cass. n. 25871/2023).

Alessia Baldari

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