Se per un caso di responsabilità medica, una volta accertata la fondatezza dell’errore e la sussistenza dei presupposti di legge, può essere indiscusso il diritto al risarcimento del danno, non sempre è chiaro, tuttavia, quali sono i danni alla persona risarcibili.
Nell’affrontare l’argomento, infatti, è acceso il dibattito in dottrina e in giurisprudenza sulle diverse tipologie di danni risarcibili: dai danni morali ai danni biologici, per non parlare del danno esistenziale, sono numerose le teorie e gli orientamenti che si susseguono al riguardo.
Districarsi tra tutte le voci di danno, anche quelle di “ultima generazione” come per il danno alla vita di relazione (piuttosto che del danno da lesione della cenestesi lavorativa contrapposto al danno da perdita della capacità lavorativa) sembra quasi impossibile e alla fine si fatica quasi a comprendere quali sono le somme in concreto da liquidare.
Il rischio, poi, di incorre nel divieto di duplicazione delle voci di danno è sempre dietro l’angolo.
Di fatto, quello che non cambia è la realtà dei fatti per la persona del danneggiato, la cui vita può trovarsi ad essere drasticamente modificata.
Per non parlare poi degli aspetti economici: tra spese mediche, mancati guadagni perdite di occasioni di lavoro, assistiamo, a volte, ad una vera e propria rovina per la persona danneggiata.
La soluzione a tutto questo, per parlare di diritto e “spezzare il pane della dogmatica” ci impone di rapportarci al fatto e parlando di danni alla persona, il fatto non può che consistere in: chi è quella persona, come e dove vive, com’è peggiorata la sua vita, cosa le è stato precluso.
Solo così potremo capire come devono essere liquidati i danni e cosa dobbiamo intendere con tutte quelle etichette che normalmente vengono usate per definirli.
Tipologie di danni alla persona risarcibili
Quando ci riferiamo ai danni alla persona intendiamo tutti i pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, che sono procurati ad un individuo.
Si tratta di un grande contenitore che si comprende di due soli grandi voci: il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale, al cui interno vi sono diverse modalità di manifestazione di cui tener conto al momento della liquidazione.
Per quanto riguarda la prima voce, è pacifico che il danno patrimoniale comprende tanto le perdite subite come i mancati guadagni subiti a causa dell’illecito. Tecnicamente si parla nel primo caso di “danno emergente” e nella seconda ipotesi di “lucro cessante”, termini frutto di elaborazione dottrinale dal momento che il Codice Civile si limita a riconoscere all’art. 1223 che il risarcimento del danno per l’inadempimento deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.
Ad esempio, nei casi di responsabilità medica, sono risarcibili come danno emergente le spese mediche sostenute o quelle che si dovranno sostenere per cure protesi, controlli e tutti gli esborsi resi necessari per via delle lesioni alla persona.
Con particolare riferimento al lucro cessante rientrano i redditi persi dal verificarsi dell’evento dannoso e i redditi che saranno perduti in futuro; in questa ipotesi è da ricomprendersi il cosiddetto “danno da incapacità lavorativa” che rappresenta una delle voci più ricorrenti tra i danni alla persona di natura patrimoniale, consistente proprio nella diminuita capacità di lavoro, di carriera o anche di accesso al lavoro, e quindi anche di guadagno, come conseguenza diretta della lesione subita.
Con particolare riferimento al caso conseguente alla morte di un familiare, il lucro cessante può consistere nei bonifici periodici si somme che venivano stabilmente predisposti in favore del congiunto superstite;
Danni alla persona: focus sui danni non patrimoniali
Per quanto riguarda l’altra grande voce dei danni alla persona, quella del “danno non patrimoniale”, essa ricomprende tutti quei pregiudizi ad interessi della persona che non sono suscettibili di valutazione economica.
E’ un danno che ricade su un valore o un interesse della persona non direttamente monetizzabile e costituzionalmente garantito come la libertà, la salute, la riservatezza e la famiglia, per fare alcuni esempi; in questi casi, è sempre legittima la richiesta di risarcimento quando questi diritti vengono lesi o compromessi.
Non si tratta, quindi, di un generico aspetto esistenziale, bensì di uno specifico riferimento ad un diritto o ad un interesse costituzionalmente protetto.
Dal momento che la difficoltà sta proprio nel trasformare determinate situazioni in equivalente monetario, è qui che nasce la maggior parte della confusione quando si procede alla liquidazione dei pregiudizi subiti soprattutto nei casi di lesione del diritto alla salute conseguente ad un errore medico o in relazione ad un caso di malasanità.
In realtà, come il danno patrimoniale anche il danno alla persona “non patrimoniale”, in un certo senso, tiene conto di una perdita del bene personale (che si traduce, per lo più, in un transitorio turbamento psicologico) e di un mancato guadagno di tipo non patrimoniale dato dal non poter più fare ciò che si sarebbe fatto se il danno non si fosse verificato, spesso qualificato come “danno esistenziale”.
Il “Modello fenomenologico” dei danni non patrimoniali
Se pensiamo, infatti, a quali sono le conseguenze fenomenologiche del danno per la lesione di un diritto, come può essere ad esempio quello per la perdita di una persona cara, e proviamo ad immaginare le conseguenze di questa vicenda, saremo tutti d’accordo a ritenere che le reazioni possibili sono di due tipi.
Sicuramente ci sarà una reazione di sofferenza più “interiore”, che riguarda la parte più intima, il dialogo interno con sé stessi; poi ci sarà una reazione, “esterna”, che riguarda la modificazione delle abitudini di vita, cioè la vita che cambia.
Sono due aspetti della persona umana, distinti, e non necessariamente automatici come reazione: ognuno di noi reagisce al dolore in modo personale e soggettivo e non sempre alla sofferenza interiore consegue un’alterazione della vita quotidiana.
Non ci sono automatismi, ogni caso ha la sua storia e quelle che sono presunzioni di partenza (ad esempio il fatto di essere genitori, per lo stravolgimento della morte di un figlio) devono essere confermate.
Ciò non toglie, tuttavia, che il modello di partenza per trattare i casi possa essere lo stesso: quello cioè basato sul duplice aspetto fenomenologico, del dolore da una parte e del cambiamento della vita dall’altra.
La liquidazione dei danni non patrimoniali
Se questo è il modello, dal punto di vista della realtà, e quindi se teniamo presente che un evento lesivo può comportare dolore e la vita che cambia, non solo per il diritto alla salute ma anche per tutti i diritti costituzionali come libertà, la famiglia, la riservatezza, etc.., le conseguenze risarcibili ricadono sui medesimi aspetti, a prescindere dalle etichette o i nomi utilizzati (danni esistenziali, morale, biologico etc..): ciò che l’evento lesivo ha generato nella sfera intima e ciò che ha generato all’esterno.
Per quanto riguarda la lesione del diritto alla salute, il primo aspetto è quello che chiamiamo “danno morale”, che altro non è che la sofferenza interiore.
Il secondo aspetto è il danno biologico (inteso come lesione dinamico relazionale alla vita che cambia) che è qualcosa che incide profondamente sul prosieguo della quotidianità e nella vita che è intorno a noi.
Quanto sopra è stato confermato con la presa di posizione della riforma della Legge di stabilità con la rubrica degli artt. 138 e 139 cod. ass; nell’art. 138 del Codice delle Assicurazioni (D.lgs. 7 settembre 2005, n. 209), infatti, il Legislatore ha in un certo senso cancellato l’etichetta “danno biologico” come categoria tradizionale, immobile, affermando espressamente che ci sono un danno dinamico/relazionale e un danno morale all’interno della voce di “danno non patrimoniale”.
Tutto questo sta a significare che il danno non patrimoniale si articola sempre intorno a questi due aspetti della sofferenza, che bisogna attrezzarsi a liquidare per le lesioni di tutti i diritti inerenti i valori priami della persona.
Questo modello del danno non patrimoniale costituisce la pietra angolare da individuarsi lungo le direttrici del danno e della responsabilità medica, nelle recenti pronunce del novembre 2019 sulla nuova responsabilità sanitaria della Giurisprudenza di legittimità.[1]
Ne è riprova la sentenza n. 28989/2019 [2]che nel fare riferimento al danno parentale, affermando la doppia componente psichica ed esistenziale, di questa tipologia di danno, mette in guardia dalle duplicazioni illegittime delle voci di danno, auspicando che questa tipologia di danno venga in qualche modo considerata unitaria, almeno sotto il profilo della liquidazione monetaria.
Il carattere unitario poi si scinde nel caso in cui si debba dare la prova delle specifiche conseguenze dannose, sia sotto il profilo della sofferenza (cosicché la liquidazione del danno per perdita del rapporto parentale assorbe il c.d. danno morale) sia sotto il profilo dell’impossibilità di proseguire una comunanza di vita attiva e affettiva con il soggetto che è venuto a mancare (cosicché questa tipologia di danno viene ad assorbire quello che per lungo tempo è stato identificato come danno esistenziale).
Vista in questo senso allora, indipendentemente dalle etichette che vengono utilizzate in materia di danni alla persona, il nostro compito nel dimostrare quali sono stati i lamentati “peggioramenti” che il comportamento illecito ha causato nella vita del soggetto danneggiato, può dirsi realizzato.
Solo così la persona può essere finalmente al centro del sistema, un sistema in cui l’ordinamento tiene conto di tutte le conseguenze che la condotta illecita ha cagionato nella sfera della persona e non solo di quelle meramente economico-patrimoniali.
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Note
[1] Sentenze dell’11.11.2019, Sez. III Civ. nn. 2895, 28987, 28989, 28991, 28992, 28990, 28994, 28986, 28988 e 28993
[2] Corte di Cassazione – Sezione III civile – Sentenza 3 luglio-11novembre n. 28989
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