Ci si chiede innanzi tutto se nella fattispecie il ricorrente, per ottenere il risarcimento, abbia l’onere di provare la colpa dell’amministrazione.
In proposito si osserva che è molto discussa, in termini generali, la questione se la responsabilità della p.a. per danni derivanti da lesione di interessi legittimi presupponga l’accertamento della colpa, o se al contrario la colpa sia in re ipsa una volta accertata l’illegittimità dell’atto amministrativo.
Tale questione ha ricevuto sinora risposte diversificate e per lo più empiriche.
Per lo più si ritiene che il mero accertamento dell’illegittimità dell’atto non renda superfua l’indagine sulla colpa, ma non tanto nel senso che spetti al danneggiato darne piena dimostrazione, quanto nel senso che la p.a. possa darne la prova contraria dimostrando la buona fede e/o la scusabilità dell’errore ovvero l’imputabilità di questo a terzi.
Peraltro il problema si può porre in termini diversi a seconda del tipo di vizio riconosciuto a carico dell’atto impugnato. Se si tratta di eccesso di potere, ad es. per travisamento di fatti o per difetto d’istruttoria e simili, è ragionevole che si proceda alla disamina se l’errore in cui è caduta l’autorità emanante sia colpevole o incolpevole.
Quando invece si tratta – e questo è il caso – di violazione di legge, allora è difficile ipotizzare che l’errore sia incolpevole, tranne che in ipotesi particolari caratterizzate ad es. dalla frammentarietà e contraddittorietà della normativa, ovvero dalla presenza di orientamenti giurisprudenziali consolidati cui la p.a. si sia attenuta, ma siano stati in seguito sconfessati dalla giurisprudenza sopravvenuta.
In questo caso però non si ravvisano gli estremi per riconoscere la scusabilità dell’errore o comunque la mancanza della colpa.
In buona sostanza, la Regione ha applicato a danno dell’interessato una disposizione inesistente.
Passaggio tratto dalla decisione numero 6274 del 28 novembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato
Quanto al danno, la difesa della Regione afferma che l’interessato non ha dato prova dell’esistenza di un danno risarcibile e tanto meno della sua entità.
Il Collegio osserva che il danno di cui si chiede il risarcimento è, in sostanza, il mancato guadagno derivante dalla mancata assegnazione della gestione provvisoria per l’intero periodo in cui detta gestione è stata tenuta dalla controinteressata.
Ciò posto si deve ritenere sufficientemente provata l’esistenza del danno ingiusto, e che anche la sua entità sia di non difficile quantficazione.
Ed invero:
(a) che il dott. Ricorrente avesse pieno titolo a conseguire la gestione provvisoria della sede n. 1 di Sant’Angelo a Cupolo emerge univocamente dagli atti impugnati;
(b) allo stesso modo è certo che l’unica ragione addotta (peraltro erroneamente) per privarlo di tale bene della vita era il supposto difetto del requisito dell’età; altre ragioni ostative non sono state indicate, neppure in forma ipotetica;
(c) l’illegittimo diniego della gestione della farmacia ha privato l’interessato dei relativi ricavi, il cui ammontare presuntivo può essere facilmente stimato, assumendo come primo riferimento i ricavi lordi realizzati dalla controinteressata; considerate le peculiari caratteristiche dell’esercizio farmaceutico (natura dei beni offerti in vendita; regime amministrativo dei prezzi; monopolio di fatto garantito entro una certa area; etc.), è verosimile che l’afflusso della clientela e la relativa domanda siano scarsamente influenzati dalla personalità del gestore e dalle sue iniziative imprenditoriali;
(d) allo stesso modo è ragionevole stimare che i costi della gestione non siano significativamente diversi; e così pervenire alla stima dell’utile netto non percepito dal ricorrente;
(e) dall’importo del danno va detratto quanto l’interessato abbia percepito, nel frattempo, quale retribuzione di altra attività lavorativa;
(f) saranno calcolati interessi e rivalutazione nella misura di cui alle norme vigenti.
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