E’ questo il principio con cui il TAR Lazio, con la sentenza in rassegna ha accolto il ricorso proposto da un candidato escluso dalle prove orali.
In particolare, il contestato giudizio negativo era stato originato dalla constatazione che la prova di diritto civile svolta dall’interessata sarebbe connotata dalla presenza di un grave errore ortografico (la mancata segnalazione dell’elisione dell’articolo indeterminativo davanti a nome di genere femminile).
Tuttavia, ha precisato il TAR capitolino:
– da un lato, non può escludersi che l’errore ortografico in questione sia stato il frutto di una mera svista della candidata, verosimilmente dovuto alle obiettive condizioni di stress che accompagnano lo svolgimento delle prove in questione;
– dall’altro, non può non considerarsi che la stessa candidata, sia nella prova di diritto civile, sia nelle altre due, non incorreva più nel medesimo errore, così dimostrando di conoscere e saper correttamente applicare la regola ortografica in questione.
Ha pertanto, concluso il Collegio, atteso che l’errore in cui è incorso il cennato organo collegiale ha inevitabilmente inciso sulla globalità di un giudizio espresso ai sensi dell’art. 23 del R.D. n.37/1934 (non potendosi, intuitivamente, consentire lo svolgimento di una professione quale quella di cui trattasi a soggetti che non “padroneggiano” appieno la lingua italiana), va ritenuto integrato il dedotto vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti, che ha, a sua volta, condotto ad una falsa applicazione dei criteri previsti per la valutazione complessiva degli elaborati scritti dei candidati.
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