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In che modo è disegnato il principio di uguaglianza all’art. 3 Cost.?
L’art. 3 Cost. accoglie il principio di eguaglianza. L’articolo in questione si compone di due commi: il primo sancisce il principio di eguaglianza formale e dispone che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua e di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». In tal modo lo Stato riconosce e garantisce l’autonomia dei privati.
È un principio già accolto dalle Costituzioni liberali, come dimostra l’art. 24 dello Statuto Albertino, che così recitava: «Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado sono eguali dinanzi alla legge».
L’art. 3 Cost. implica il divieto per il legislatore di introdurre discipline irragionevolmente differenti per fattispecie uguali. Poiché l’eguaglianza e la diseguaglianza tra gli uomini sono condizioni tendenziali e non statiche né perfettamente definibili, non è vietato qualsivoglia trattamento differente, bensì solo quelli irragionevoli. È perfettamente lecita, infatti, una disciplina che faciliti l’inserimento nel mondo del lavoro per i giovani di aree particolarmente svantaggiate del Paese, poiché esito di una ragionevole valutazione delle differenze di fatto in riferimento alle possibilità occupazionali tra giovani di diverse Regioni.
Libertà di riunione: quali differenze tra riunioni in luogo privato, riunioni in luogo aperto al pubblico e riunioni pubbliche?
Ai sensi dell’art. 17, co. 1, Cost., «i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi».
Per riunione deve intendersi la presenza non occasionale di più persone in uno stesso luogo per un comune scopo. Il carattere non occasionale, ma volontario, distingue la riunione dall’assembramento, che può essere definito come la compresenza occasionale di più individui in un luogo pubblico.
I cittadini devono in ogni caso riunirsi pacificamente e senza armi. In caso ciò non avvenga le forze dell’ordine possono sciogliere la riunione.
Alla luce dei commi 2 e 3 dell’art. 17 Cost., possiamo distinguere:
- riunioni in luogo privato: si tratta delle riunioni in luoghi la cui disponibilità è esclusiva di quanti ci si riuniscono, come ad esempio private abitazioni o sedi di imprese. In tal caso il diritto di riunione è una conseguenza della liberà di domicilio;
- riunioni in luogo aperto al pubblico: sono le riunioni in luoghi in cui l’accesso al pubblico è disciplinato da chi ne ha la disponibilità. È il caso ad esempio del cinema o di qualsivoglia altro incontro dove si accede se in possesso di biglietto o invito;
- riunioni pubbliche: sono le riunioni in luoghi dove tutti hanno la disponibilità di recarsi, come ad esempio in piazza.
Quali sono i limiti alla libertà di iniziativa economica?
L’art. 41 Cost. dispone: «L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». L’articolo citato è un chiaro esempio di compromesso tra diverse ideologie economiche: liberismo e pianificazione pubblica.
Se da un lato, infatti, ai privati è riconosciuta libertà di iniziativa in ambito economico, il dettato costituzionale vieta che tale iniziativa possa pregiudicare l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà o la dignità umana. La libertà individuale, in altre parole, conosce il limite dell’utilità collettiva: i due termini devono essere costantemente bilanciati. Strumento di bilanciamento è la legge, cui la Costituzione rinvia. L’art. 41 Cost. disegna un sistema di economia mista pubblico-privata, ma nei fatti, così come le disposizioni seguenti, è superato dall’evoluzione del processo di integrazione europea, di cui il nostro Paese è parte. L’Unione europea si regge sui principi della libera circolazione di merci, capitali e lavoratori, della libera concorrenza, del rifiuto di posizioni dominanti, del divieto di finanziamento pubblico alle aziende. Si tratta di un mercato, quindi, non certo pianificato né di monopoli pubblici, ma semmai regolamentato da rigide discipline che ne assicurano la concorrenza, anche grazie all’opera di autorità indipendenti.
In che cosa consiste lo status dei parlamentari?
Ai sensi dell’articolo 67 Cost. «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»; si tratta dell’affermazione del divieto del mandato imperativo. L’articolo citato ribadisce un principio del moderno parlamentarismo per il quale i membri delle Camere non devono agire in rappresentanza degli elettori del collegio in cui sono stati eletti, né sono vincolati dal punto di vista giuridico al partito politico che li ha candidati; nello svolgimento della loro attività devono rappresentare la Nazione nel suo complesso e non possono ricevere istruzioni vincolanti.
Il parlamentare eletto non ha alcuna responsabilità giuridica verso i suoi elettori, che non possono revocarlo nel corso del suo mandato; esiste soltanto una responsabilità di tipo politico che può essere fatta valere in sede di nuove elezioni con la mancata riconferma del suo incarico.
L’assenza di un mandato imperativo per il parlamentare ha riflessi anche nei rapporti che si instaurano con il partito politico di appartenenza. Nessuna sanzione è prevista dall’ordinamento nelle ipotesi in cui l’eletto decida di entrare a far parte di un gruppo parlamentare diverso da quello formato dal suo partito di appartenenza oppure se vota in modo difforme rispetto alle indicazioni del gruppo; in questi casi conserva il seggio per tutta la durata della legislatura.
Diverso è, ovviamente, l’atteggiamento del gruppo parlamentare, che può procedere all’espulsione del parlamentare e non ricandidarlo nelle sue liste al termine della legislatura.
In quali casi in Presidente della Repubblica è da ritenere responsabile per atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni?
Come già esaminato con riferimento ad altre cariche dello Stato (Presidente del Consiglio e singoli Ministri) anche per il Presidente della Repubblica è necessario operare una distinzione tra atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni e atti che esulano da tale contesto.
Nel primo caso occorre fare riferimento all’art. 90 Cost. che, al primo comma, così recita: «Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione».
La Costituzione, quindi, afferma in primo luogo la totale irresponsabilità del Capo dello Stato, salvo individuare successivamente due specifiche fattispecie di reato particolarmente gravi e tali da mettere a repentaglio lo stesso ordinamento costituzionale. Si tratta:
- dell’alto tradimento, vale a dire un comportamento doloso (attuato intenzionalmente) che costituisca una violazione del dovere di fedeltà alla Repubblica. Presuppone un’intesa con potenze straniere per pregiudicare gli interessi nazionali;
- dell’attentato alla Costituzione, ossia un comportamento doloso diretto a sovvertire le istituzioni costituzionali o a violare la Costituzione.
Come è composta la Corte Costituzionale?
La composizione della Corte Costituzionale è disciplinata dall’art. 135 Cost.: essa «è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative».
La parcellizzazione della titolarità del potere di nomina è stata voluta dal costituente per garantire l’indipendenza della Corte da qualsiasi altro organo dello Stato, operando un delicato e complesso bilanciamento che non consente a nessuna componente (parlamentare, giurisdizionale e presidenziale) di prevalere. Il testo costituzionale prevede che:
- cinque giudici siano eletti dai magistrati di ciascuna delle tre magistrature superiori (tre dalla Corte di Cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei conti), a maggioranza assoluta (metà più uno dei componenti del collegio elettorale) e con eventuale ballottaggio fra i più votati;
- altri cinque siano eletti dal Parlamento in seduta comune con un voto a maggioranza di due terzi dei componenti nei primi tre scrutini, e di tre quinti dei componenti dal quarto scrutinio in poi;
- gli ultimi cinque siano nominati dal Presidente della Repubblica di propria iniziativa, con una decisione che rientra tra gli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali.
In che cosa consiste la risoluzione dei conflitti di attribuzione?
Con l’espressione conflitto di attribuzione si fa riferimento ad una controversia sorta per effetto di una presunta lesione da parte di un soggetto di una competenza costituzionalmente garantita ad un soggetto diverso. In questo caso il compito attribuito alla Corte dall’art. 134, co. 3, Cost. è quello di individuare a chi effettivamente tale competenza spetti, sulla base delle disposizioni contenute nel testo costituzionale.
Una delle caratteristiche della Costituzione è quella di prevedere una pluralità di soggetti che partecipano, seppur in modo diverso, all’esercizio dei poteri pubblici con competenze di volta in volta indicate nello stesso testo costituzionale; non è raro, quindi, che tra tali poteri insorgano dei conflitti dovuti sia alla rivendicazione della stessa attribuzione da parte di due organi diversi sia al comportamento di un organo che intralci il corretto esercizio di competenze altrui.
I soggetti tra i quali possono insorgere tali conflitti sono:
- i poteri dello Stato (conflitti interorganici), nozione che è stata meglio definita attraverso le norme che disciplinano l’attività della Corte e la giurisprudenza di quest’ultima;
- lo Stato e la Regione oppure due Regioni (conflitti intersoggettivi). Lo scopo è quello di difendere le proprie attribuzioni contro atti di qualsiasi tipo, purché non legislativi; in quest’ultimo caso, infatti, si dovrebbe attivare un giudizio di legittimità costituzionalità in via principale.
Nella risoluzione dei conflitti di attribuzione il parametro del giudizio è costituito sia dalle norme costituzionali sia da quelle ordinarie che contribuiscono ad attuare e a specificare il riparto delle attribuzioni tra i poteri dello Stato.
Per avere la risposta completa consulta le pagine 381 ss. “Compendio di diritto costituzionale” a cura di Marco Zincani, scritto da Diego Solenne. Troverai anche le risposte a tutte le altre domande dell’esame orale avvocato 2019.
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