Escluso il risarcimento al convivente della madre la cui figlia è vittima di incidente stradale, in assenza di una famiglia di fatto.

La Cassazione: se il rapporto non è tutelato in alcun modo dall’ordinamento, la lesione di esso non costituisce un danno risarcibile.

Con la sentenza n. 8037, pubblicata in data 21.04.2016, la Corte di Cassazione, III Sez. Civile, relatore dott. M. Rossetti, detta le linea guida affinché il danno patrimoniale possa ritenersi risarcibile.

La stessa, infatti, premesso che, tale tipo di danno attiene alla violazione di interessi della persona non passibili di valutazione economica (Cass. civ., Sez. Un., 11.11.2008, n. 26972), sostiene che: “in tanto sarà ipotizzabile un danno non patrimoniale non risarcibile, in quanto: (a) sia stato leso un interesse non patrimoniale della persona; (b) l’interesso leso sia “preso in considerazione” dall’ordinamento. In aggiunta a queste due condizioni, la risarcibilità del danno non patrimoniale esige altresì che: (c) ricorra una delle ipotesi in cui la legge consente il risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.); (d) la lesione dell’interesse sia stata di entità tale da superare la “soglia minima” di tollerabilità (Sez. 3, Sentenza n. 16133 del 15/07/2014, Rv. 632536; Sez. 3, Sentenza n. 7256 del 11/05/2012, Rv. 622383; Sez. L, Sentenza n. 5237 del 04/03/2011, Rv. 616447; Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010, Rv. 611428; Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605493)”.

Pertanto, il convivente more uxorio della madre di persona vittima di incidente stradale e deceduta in conseguenza dello stesso, per colpa altrui, non ha diritto al risarcimento del danno in ragione del fatto che il danno, giuridicamente inteso, rappresenta quella perdita che è conseguenza della lesione di una situazione giuridica soggettiva “presa in considerazione dall’ordinamento”, evenienza non riscontrabile nel caso di relazione more uxorio, per la quale non può neppure parlarsi di famiglia di fatto, risultando insufficiente a tal uopo la mera convivenza.

La vicenda trae origine da un sinistro stradale, avvenuto nel novembre 2004, nel quale perse la vita una persona, con il fratello della vittima rimasto ferito.

Quest’ultimo, unitamente allo zio, alla madre e al convivente della stessa convennero in giudizio il responsabile del sinistro e l’assicuratore per la R.C.A., dinnanzi al Tribunale di Roma, per chiedere il ristoro di tutti i danni rispettivamente patiti.

In primo grado la domanda venne accolta e, a seguito dell’interposto gravame, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma, diminuiva l’importo liquidato a titolo di danno patrimoniale riconosciuto in precedenza agli attori.

Proponeva ricorso per cassazione la compagnia di assicurazioni, affidando lo stesso a tre motivi, tra cui, la violazione dell’art. 2059 c.c., per avere entrambe le sentenze di merito riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale anche al convivente della madre della vittima, nonostante lo stesso non fosse né padre né convivente della deceduta, oltre che la violazione dell’art. 2729 c.c.

La Corte di Cassazione premette che: “Il “danno” in senso giuridico consiste nella perdita derivante dalla lesione d’una situazione giuridica soggettiva (diritto od interesse che sia) “presa in considerazione dall’ordinamento” (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 500 del 22/07/1999, Rv. 530553). Situazione giuridica “presa in considerazione” dall’ordinamento è quella alla quale una o più norme apprestino una qualsiasi forma di tutela. Se dunque una situazione o rapporto di fatto non è tutelato in alcun modo dall’ordinamento, la lesione di esso non costituisce un danno risarcibile. Questa è la ragione per la quale questa Corte ha negato, ad esempio, la risarcibilità del danno da lesione della “felicità” (Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605493) o da perdita del “tempo libero” (Sez. 3, Sentenza n. 21725 del 04/12/2012, Rv. 624249)”.

Ciò detto, ricordato come la regola appena esposta vale per ogni tipo di danno, sia esso patrimoniale o non patrimoniale, dopo aver riportato i presupposti affinché un danno patrimoniale possa considerarsi risarcibile, esclude che proprio sulla scorta degli anzidetti presupposti, possa riconoscersi il risarcimento in favore di una persona che conviva more uxorio con la madre di vittima di incidente stradale mortale.

Affermare il contrario, così come sostenuto dalla Corte d’Appello, violerebbe la regola che disciplina il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale dettata dall’art. 2059 c.c.

A tal proposito, infatti, secondo il Giudice di legittimità, non basterebbe accertare l’esistenza di una relazione more uxorio tra il presunto danneggiato e la madre della vittima, né tale relazione può essere sic et simpliciter ricondotta alla fattispecie della famiglia di fatto.

Pur potendosi teorizzare un rapporto affettivo tra il figlio e il compagno more uxorio della madre, “una famiglia di fatto, ovviamente, non sussiste sol perché delle persone convivano. La sussistenza di essa può desumersi solo da una serie cospicua di indici presuntivi: la risalenza della convivenza, la diutumitas delle frequentazioni, il mutuum adiutorium, l’assunzione concreta, da parte del genitore de facto, di tutti gli oneri, i doveri e le potestà incombenti sul genitore de iure”, circostanze tralasciate dal Giudice di merito che, sul punto, non ha svolto alcuna indagine incappando, pertanto, nella falsa applicazione dell’art. 2059 c.c., per avere liquidato un danno non patrimoniale senza previamente accertare se sussistessero tutte le condizioni richieste dalla legge.

A nulla valendo neppure la circostanza per cui dopo il sinistro, dalla convivenza more uxorio è nato un figlio, “non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto, per derivarne da essa un’altra presunzione”.

La Corte, pertanto, appronta il seguente principio di diritto: “La sofferenza provata dal convivente more uxorio, in conseguenza dell’uccisione del figlio unilaterale del partner, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se sia dedotto e dimostrato che tra la vittima e l’attore sussistesse un rapporto familiare di fatto, che non si esaurisce nella mera convivenza, ma consiste in una relazione affettiva stabile, duratura, risalente e sotto ogni aspetto coincidente con quella naturalmente scaturente dalla filiazione” (Cass. civ., sez. III, 21.04.2016, n. 8037).

La Corte di Cassazione, quindi, accoglie il ricorso, non senza aver prima ricordato al Giudice del rinvio che: “nell’accertamento della indicata situazione di fatto, non potrà limitarsi – come invece ha fatto la sentenza impugnata – a dedurne l’esistenza esclusivamente dal rapporto more uxorio tra la madre della vittima e il suo compagno di vita, ma dovrà accertare in concreto, anche attraverso il ricorso alla prova presuntiva, se la persona che domanda il risarcimento abbia concretamente assunto il ruolo morale e materiale di genitore, ad esempio dimostrando di avere condiviso con la compagna le scelte educative nell’interesse della minore, ovvero di avere contribuito a fornirle i mezzi per il mantenimento della ragazza”.

La sentenza viene cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, affinché provveda alla corretta stima del danno secondo i criteri indicati in motivazione, e si pronunci, occorrendo, sulle eventuali restituzioni.

Sentenza collegata

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Avv. Accoti Paolo

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