La Corte Costituzionale, con l’Ordinanza in epigrafe ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2 comma 5-ter del Dl 102/2013, sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con due pronunce del 16 aprile 2014, nella parte in cui fa retroagire di cinque anni gli effetti delle domande per ottenere la ruralità catastale dei fabbricati ai fini ICI ed IMU.
Ad avviso della Consulta, infatti, la ricostruzione del quadro normativo di riferimento operata dal Collegio remittente sarebbe incompleta.
In particolare, dubbio di costituzionalità sollevato riguardava talune norme della Manovra Salva Italia (D.L. n. 201/2011) e del decreto sull’IMU (D.L. n. 102/2013) nella parte in cui consentono al contribuente di ottenere, con una semplice domanda di variazione catastale (con decorrenza retroattiva dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda stessa), l’esenzione dall’ICI, senza che l’Erario comunale possa, davanti al giudice tributario, essere ammesso a sostenere e a provare l’assenza delle condizioni sostanziali di legge alle quali dovrebbe essere subordinato il beneficio dell’esenzione dall’imposta.
Ed invero, la disposizione censurata stabilisce che le domande di variazione catastale volte al riconoscimento della ruralità degli immobili, presentate ai sensi del Dl 70/2011, e l’inserimento negli atti catastali della relativa “annotazione”, producono gli effetti previsti ai fini del requisito di ruralità a decorrere dal quinto anno antecedente alla presentazione della domanda stessa; sicchè, tale norma ha consentito a molti contribuenti di ottenere la ruralità dei fabbricati, anche se non accatastati in D10, con apposita dichiarazione presentata entro il 30 settembre 2012, avente efficacia retroattiva quinquennale (dal 2006 al 2010) e conseguente rimborso dell’Ici già pagata.
Detta soluzione legislativa, per il vero, è stata oggetto di vivaci critiche in quanto consente di ottenere il rimborso dell’imposta già pagata sulla base di una semplice dichiarazione, cioè senza considerare che l’annotazione catastale («ruralità accertata») non attesta che il fabbricato è rurale ma solo che l’istanza presentata è formalmente corretta.
Ed è proprio sulla scorta di tale rilievo che la Commissione tributaria regionale di Firenze ha rimesso la questione di legittimità alla Consulta, evidenziando come la norma del Dl 102/2013 non consenta al Comune di sostenere e provare davanti al giudice l’assenza delle condizioni sostanziali di legge alle quali dovrebbe essere subordinato il beneficio in questione.
Tuttavia, come anticipato, la Corte Costituzionale ha respinto le censure avanzate rilevando l’inammissibilità della questione per incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
In primo luogo, è stato evidenziato che la CTR della Toscana non ha preso in considerazione la seconda parte dell’art. 13, comma 14-bis, della Manovra Salva Italia, in forza del quale, “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità per l’inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo”.
Secondariamente, ad avviso della Consulta, le ordinanze di rimessione non avrebbero esaminato la conseguente regolamentazione data al procedimento di annotazione della ruralità dal D.M. MEF 26 luglio 2012 (Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità) e, in particolare, l’art. 1, comma 2 e l’art. 4, (rubricato “Verifica delle domande e delle autocertificazioni”). Ed invero, con riferimento a tale aspetto, è stato evidenziato come i giudici tributari toscani abbiano omesso di considerare che il procedimento di «annotazione» della ruralità è stato regolamentato con Dm del 26 luglio 2012, che prevede tra l’altro una verifica, anche a campione, delle autocertificazioni allegate alle domande.
Inoltre, la CTR, nel prospettare una posizione di mera passività degli enti locali, avrebbe tralasciato anche quelle disposizioni che, nell’ambito del procedimento di verifica (di cui è titolare l’Agenzia del Territorio), assegnano un ruolo importante proprio ai Comuni. Dispone, infatti, il richiamato art. 4 che sono rese disponibili «sul portale […] gestito dalla medesima Agenzia […] le domande presentate per il riconoscimento dei requisiti di ruralità di cui all’art. 2, al fine di agevolare le attività di verifica di rispettiva competenza» (art. 4, comma 2), e che, proprio tramite tale portale, possono offrire all’Agenzia del territorio le informazioni necessarie alle verifiche sulla sussistenza dei requisiti di ruralità (art. 4, comma 4).
Ritiene, dunque, la Corte Costituzione che non vi sia una posizione passiva degli enti locali, i quali possono verificare, tramite il portale gestito dall’agenzia del Territorio, le domande presentate e quindi segnalare eventuali incongruenze, nonché, eventualmente, applicare i generali rimedi impugnatori.
Ed invero, la Consulta ha rimarcato come l’incompletezza ricostruttiva sia per di più aggravata dal fatto che la CTR non solo non ha in alcun modo preso in esame proprio l’esistenza dei generali rimedi impugnatori che consentono ai Comuni la contestazione in giudizio degli atti di annotazione, per come costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione; ma ha anche trascurato le sanzioni penali per il caso di dichiarazioni non veritiere rese in sede di autocertificazione (cfr. art. 76, D.P.R. n. 445/2000), così come le sanzioni amministrative che assistono le dichiarazioni catastali (articoli 20 e 28, R.D.L. n. 652/1939).
Sulla scorta di tali osservazioni, pertanto, la Corte Costituzione con l’ordinanza n. 115/2015, ha ritenuto che l’incompleta e inadeguata ricostruzione del quadro normativo di riferimento mina l’iter logico argomentativo posto a fondamento della valutazione di non manifesta infondatezza delle odierne questioni di legittimità costituzionale e determina, pertanto, la loro manifesta inammissibilità.
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