Esercitare  arbitrariamente  le  proprie  ragioni  non  è estorcere

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Sintesi: questo articolo analizza il reato denominato, nel Codice Penale italiano, “ esercizio arbitrario delle proprie ragioni “. Si tratta di una fattispecie molto interessante, in tanto in quanto la propria struttura differisce solo lievemente dal delitto di estorsione. L’ analisi s’ incentra, per l’ appunto, sulle differenze tra gli atti estorsivi in senso stretto e, dall’ altro lato, gli atti che danno luogo ad un meno grave e socialmente accettato esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Il nodo problematico della questione consiste nel rinvenire criteri differenziativi sia sotto il profilo giuridico, sia dal punto di vista dell’ accettazione o, viceversa, della non accettazione sociale.

Indice:

  1. Il Precedente-guida contenuto in Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541
  2. L’ ammissibilità e la non ammissibilità della compartecipazione
  3. Gli Artt. 392 e 393 CP come reati “ propri “
  4. Conclusioni

 

  1. Il Precedente-guida contenuto in Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541

Visto il comma 1 Art. 618 Cpp, le due questioni di diritto rimesse a Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541 sono state le seguenti:

  1. se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello di estorsione si differenzino tra di loro in relazione all’ elemento oggettivo, in particolare con riferimento al livello di gravità della violenza o della minaccia esercitate, o, invece, in relazione al mero elemento psicologico, e, in tale ipotesi, come debba essere accertato tale elemento.
  2. se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni debba essere qualificato come reato proprio esclusivo e, conseguentemente, in quali termini si possa configurare il concorso del terzo non titolare della pretesa giuridicamente tutelabile.

Nell’ Ordinanza di rimessione degli Atti afferente a Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541 si sottolinea che, sin dalla primigenia stesura del Codice Penale italiano, l’ estorsione p. e p. ex Art. 629 CP tende a tutelare pretese non tutelabili sotto il profilo giuridico, mentre l’ esercizio arbitraio delle proprie ragioni con violenza alle persone p. e p. ex Art. 393 CP proibisce la violenza o la minaccia allorquando il reo, anziché rivolgersi legittimamente e fondatamente all’ AG, tutela un diritto legalmente degno di protezione, purché, in ogni caso, detta istanza di protezione sia formalmente e validamente rivolgibile alla Magistratura. A tal proposito, Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541 distingue gli Artt. 629 e 393 CP sulla base della soddisfacibilità, o meno, “ di un diritto tutelabile innanzi all’ AG “ ( pg. 7 delle Motivazioni ). Inoltre, da svariati decenni, la Giurisprudenza di legittimità valuta questa dignità di tutela della pretesa oscillando tra una qualificazione materiale ed una diversa qualificazione psicologica. A loro volta, nell’ ambito dell’ orientamento psicologico, alcuni Precedenti della Corte Suprema distinguono tra l’ Art. 629 e l’ Art. 393 CP sulla base della “ mera direzione della volontà del soggetto agente “, mentre esistono altri Precedenti alla luce dei quali gli Artt. 629 e 393 CP si differenziano sulla base dell’ intensità dolosa della violenza o della minaccia. Ovverosia, una violenza o una minaccia lievi integrerebbero gli estremi del delitto p. e p. ex Art. 393 CP, mentre una forza fisica o una forza compulsiva più gravi sono tipiche del reato di estorsione di cui all’ Art. 629 CP. Ognimmodo, sia l’ orientamento materialistico sia quello psicologistico sono ambedue concordi nel rimarcare che non esiste concorso tra i due reati qui in esame, in tanto in quanto la maggior gravità dell’ estorsione ex Art. 629 CP “ assorbe “ la minore violenza esercitata nella fattispecie dell’ esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex Art. 393 CP. In effetti, anche la forbice edittale sanzionatoria risulta più pesante nell’ Art. 629 CP e, viceversa, più tenue nell’ Art. 393 CP. Tra l’ altro, nella fattispecie giudicata in Cass., SS.UU. 16 luglio 2020, n.  29541, il reo responsabile ex Art. 393 CP è stato aiutato, nell’ agire la minaccia e la violenza, da un terzo soggetto agente estraneo al rapporto de quo; tale correità, perlomeno nelle fattispecie contemplate dagli Artt. 392 e 393 CP, pone il problema, tutt’ altro che pacifico, del ruolo del correo nel contesto di un reato “ proprio “, come risulta essere costantemente interpretato quello dell’ esercizio arbitario delle proprie ragioni con violenza sulle cose ( Art. 392 CP ) o alle persone ( Art. 393 CP ). In effetti, dal punto di vista logico-giuridico, è arduo parlare di concorso di persone in una fattispecie delittuosa non comune, bensì propria. Tuttavia, sempre in tema di potenziale correità, Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541 ha notato, dissociandosi, in tal modo, dalla Giurisprudenza prevalente, che gli Artt. 392 e 393 CP utilizzano, nell’ incipit, il lemma “ chiunque “. Dunque, Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541 ha storicamente aperto la strada all’ interpretazione degli Artt. 392 e 393 CP alla stregua di Norme incriminatrici riguardanti reati comuni, il che consente, pertanto, la potenziale estensione precettiva degli Artt. 392 e 393 CP anche al correo aiutante estraneo alla pretesa fatta valere con violenza su cose o persone. Più precisamente, il che vale anche nella fattispecie p. e p. ex Art. 629 CP, Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541 afferma che la correità sussiste “ anche quando la condotta violenta è posta in essere da un terzo [ … ] su mandato del titolare del diritto che si intende soddisfare [ … ] essenzialmente perché gli Artt. 392 e 393 CP [ e anche l’ Art. 629 CP, ndr ] indicano il soggetto attivo del reato con il termine << chiunque >>, e ciò indica che ci si trova al cospetto di un reato comune [ quindi compartecipabile, ndr ], come risulta confermato dal fatto che gli elementi costitutivi del reato ( pretesa giuridicamente tutelabile in sede giudiziaria, violenza o minaccia ) non riguardano né richiamano la qualifica o la qualità di soggetto avente causa “

Sotto il profilo della Storia del Diritto, secondo Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541, il reato proprio, ammesso che gli Artt. 392 e 393 CP configurino un reato proprio, “ è un reato che trova la propria genesi storica e ragione politica in una struttura sociale evoluta, in cui siano differenziate le funzioni spettanti ai singoli e, quindi, siano attribuiti particolari doveri e responsabilità [ … ] il reato proprio si caratterizza perché il soggetto che ha una particolare qualifica acquisisce la c.d. legitttimazione al reato, in quanto la sua qualifica [ … ] gli conferisce la possibilità di porre in essere la condotta offensiva incriminata “. Tuttavia, nell’ Ordinamento penale italiano, sempre ammesso che il delitto p. e p. ex Artt. 392 e 393 CP sia “ proprio “, tale esclusività e proprietà della legittimazione non confligge con il principio di uguaglianza ex Art. 3 Costituzione, giacché, come osservato da Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541, “ il reato proprio tutela interessi tali da legittimare il trattamento differenziato “. D’ altronde, anche sotto il profilo criminologico, l’ esercizio arbitrario delle proprie ragioni è molto meno anti-sociale ed anti-giuridico rispetto al delitto di estorsione ex Art. 629 CP. Siffatta tolleranza sociale era manifesta anche nell’ Art. 235 del CP Zanardelli, il quale, per il vero, non si discosta molto dagli Artt. 392 e 393 CP Rocco.

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  1. L’ ammissibilità e la non ammissibilità della compartecipazione

Un’ altra problematica è quella dell’ ammissibilità, o meno, della compartecipazione nell’ ambito precettivo degli Artt. 392 e 393 CP. Nel Novecento, la Corte Suprema insisteva sul lemma “chiunque “, che apre gli Artt. 392 e 393 CP alla potenziale compartecipazione. Da tale indeterminatezza soggettiva, si evince che l’ esercizio arbitrario delle proprie ragioni è un reato comune, quindi compartecipabile anche dal mero aiutante di chi possiede la titolarità del bene giuridicamente degno di tutela. Quindi, il termine “ chiunque “ apre la strada ad una potenziale correità ordinaria, che non presenta eccezioni o casi particolari. Ciononostante, nella Giurisprudenza di leggittimità, non mancano molti Precedenti che parlano di un “ reato proprio “ ( rectius: semi-proprio ) nelle fattispecie ex Artt. 392 e 392 CP. P.e., Cass., sez. pen. II, 25 luglio 1934, n. 799 richiede un forte legame familiare, amicale o lavorativo tra i correi, nel senso che gli Artt. 392 e 393 CP “ sono configurabili anche se il soggetto attivo abbia usato violenza per esercitare una pretesa giuridica accampata da altri, purché ciò sia, però, avvenuto nel nome e in vece del titolare, come nel caso di mandatari, congiunti o dipendenti, e nell’ interesse esclusivo di lui “. Quindi, Cass., sez. pen. II, 25 luglio 1934, n. 799 ( e pure Cassazione 1068/1936 ) asseriscono la proprietà del delitto p. e p. ex Art. 392 e 393 CP, ma non è esclusa la correità, nel senso ordinario, se esiste una commensalità o una parentela o, ognimmodo, uno stretto vincolo morale o domestico tra il legittimato ed il correo. In buona sostanza, Cassazione 799/1934 e Cassazione 1068/1936 richiedevano la compartecipazione di un “ soggetto qualificato “ particolarmente, familiarmente od emotivamente coinvolto nella pretesa descritta negli Artt. 392 e 393 CP. Tale compartecipabilità dei reati ex Artt. 392 e 392 CP è stata predicata, di recente, anche da Cass., sez. pen. VI, 30 aprile 1985, n. 8434, ma, anche nel citato Precedente, è ribadito il coinvolgimento familiare, amicale o emotivo “ del soggetto diverso dall’ agente, a condizione che quest’ ultimo non sia animato da finalità proprie “. In effetti, la compartecipabilità ordinaria degli Artt. 392 e 393 CP è comoda pure a livello di Prassi, poiché esclude, per il correo, la diversa precettività, assurdamente ed sproporzionatamente più pesante, dell’ Art. 629 CP. In effetti, in Cass., sez. pen. VI, 30 aprile 1985, n. 8434, il soggetto privo di diretta titolarità era la moglie di colui che arbitrariamente stava esercitando le proprie ragioni. Entro tale ottica della piena compartecipabilità, s’ innesta pure Cass., sez. pen. II, 9 aprile 1987, n. 8778, la quale, con afferenza all’ Art. 393 CP, asserisce che il correo “ può operare anche a vantaggio di un terzo [ … ] non è necessario che l’ interessato abbia conferito mandato o incarico al correo per operare in suo conto [ … ] non necessitano investiture formali “. Tali “ investiture formali “ menzionate da Cass., sez. pen. II, 9 aprile 1987, n.  8778 sono agevolmente sostituite da un rapporto di stretta commensalità e di comunione emotiva. Del pari, Cass., sez. pen. II, 5 febbraio 1991, n. 8836 sostiene che gli estremi degli Artt. 392 e 393 CP  possono essere pacificamente integrati da un correo diverso dal “negotiorum gestor “ recante la legittima pretesa potenzialmente tutelabile avanti all’ AG. P.e., Cass., sez. pen.  VI, 5 aprile 2001, n. 15972 nonché Cass., sez. pen.  VI, 3 novembre 2003, n. 1257 conferiscono al figlio del danneggiato la possibilità di assurgere al ruolo di correo nella consumazione degli Artt. 392 e 393 CP. Analogamente, Cass., sez. pen. VI, 8 marzo 2013, n. 23322 riconosce espressamente che “ il soggetto attivo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose può essere anche chi esercita il preteso diritto pur non avendone la titolarità, purché l’ agente [ il figlio in Cassazione 23322/2013 ] si comporti come se fosse il titolare della situazione giuridica “

  1. Gli Artt. 392 e 393 CP come reati “ propri “.

Tuttavia, Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541 non manca di trattare anche il filone esegetico che individua, negli Artt. 392 e 393 CP, dei reati “ propri “. In effetti, nei Lavori Preparatori realtivi agli Artt. 392 e 393 CP,  si afferma che “ attraverso l’ incriminazione dei fatti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è stato perseguito lo scopo di impedire la violenta sostituzione dell’ attività individuale all’ attività degli organi giudiziari, onde evitare che il privato si faccia ragione con le proprie mani, compromettendo la pubblica pace. Coerentemente con tale ratio dell’ incriminazione, l’ oggetto della tutela [ ex Artt. 392 e 393 CP ] è stato ravvisato in un interesse pubblico, e precisamente nell’ interesse dell’ AG all’ esercizio esclusivo dei suoi poteri “. Inoltre, sotto il profilo strutturale, il reato “ proprio “ di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è pure un reato “ a scatola cinese “, nel senso che, come sottolineato da Cass., sez. pen. VI, 5 aprile 2001, n. 15972, “ nel reato previsto dall’ Art. 392 CP ricorrono sempre, o quasi, gli estremi del fatto di danneggiamento ( Art. 635 CP ), mentre in quello previsto dal successivo Art. 393 CP sono configurabili, in ogni caso, gli estremi del delitto di violenza privata ( Art. 610 CP ): l’ esercizio arbitrario delle proprie ragioni è, tuttavia, punito meno gravemente dei delitti che in esso sono necessariamente contenuti “. Dunque, secondo Cass., sez. pen. VI, 5 aprile 2001, n. 15972, gli Artt. 392 e 393 CP hanno natura “ propria “ e, dal punto di vista contenutistico-sostanziale, assorbono i delitti pp. e pp. ex Artt. 635 ( danneggiamento ) e 610 ( violenza privata ) CP. Pertanto, non v’ è dubbio con attinenza ala natura eterodossa e non ordinaria degli Artt. 392 e 393 CP. Anzi, se si pone mente alla forbice edittale sanzionatoria, si può agevolmente ed algebricamente notare che l’ Art. 392 CP prevede una pena inferiore a quella dell’ Art. 635 in tema di danneggiamento e, specularmente, l’ Art. 393 CP prevede anch’ esso una pena inferiore a quella dell’ Art. 610 CP in tema di violenza privata. A tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 15 ottobre 1969, n. 1835 ha commentato questo temperamento / riduzionismo sanzionatorio rimarcando che, sotto il profilo della ratio, “ il fatto di agire col convincimento di esercitare un diritto è sentito dalla coscienza sociale come un motivo di attenuazione della pena [ … ] l’ agente opera con il convincimento di esercitare un suo diritto, il che è avvertito dalla coscienza sociale come un motivo di attenuazione della pena ed importa che i delitti in oggetto vengano considerati dalla legge [ … ] come una forma attenuata di danneggiamento, nell’ ipotesi di cui all’ Art. 392 CP, o di violenza privata, in quella di cui all’ Art. 393 CP “. Di nuovo, la Giurisprudenza di legittimità, in Cass., sez. pen. VI, 15 ottobre 1969, n. 1835, intende ribadire non soltanto la proprietà, ma anche la eccezionale multiformità contenutistica caratterizzante gli Artt. 392 e 393 CP. Trattasi di dati normativi particolarmente e stra-ordinariamente complessi sotto il riguardo sia strutturale sia sostanziale. Anche Cass., SS.UU. 16 luglio 2020, n. 29541 sostiene che la tolleranza sociale fondante gli Artt. 392 e 393 CP comporta, per il reo, “ un trattamento processuale e sanzionatorio indiscutibilmente di favore, [ ma ] detto trattamento di favore non si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza ex Art. 3 Cost., trovando ragionevole giustificazione nella tutela di un [ superiore, ndr ] interesse che lo legittima “. Certamente, rimane il problema del lemma “ chiunque “ posto all’ incipit degli Artt. 392 e 393 CP. Secondo un orientamento giurisprudenziale non trascurabile, il pronome “ chiunque “ sarebbe insufficiente per consentire la qualificazione di reati “ comuni “ alle ipotesi incriminatorie ex Artt. 392 e 393 CP. Come si può vedere, gli Artt. 392 e 393 CP, anche sotto il profilo soggettivo, sono eccezionalmente propri e non ordinariamente comuni, come, viceversa, i correlati delitti di danneggiamento ex Art. 635 CP e di violenza privata ex Art. 610 CP. A tal proposito, anche Cass., sez. pen. III, 22 dicembre 2004, n. 23823 ( richiamata, poco dopo, da Cass., sez. pen. I, 24 luglio 2006, n. 16888 ) evidenzia che il lemma “ chiunque “ non impedisce la configurazione di un reato proprio, nonostante l’ intervento “ spontaneo di un altro soggetto [ … ] in mancanza di un qualsivoglia rapporto giuridico in forza del quale egli sia tenuto ad intervenire “. P.e., nel contesto degli Artt. 392 e 393 CP, l’ intervento della moglie, del figlio, della madre o del padre non inficia, secondo Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541, la natura propria del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, anche se tale proprietà non è pacificamente condivisa da molti altri Precedenti della Corte Suprema. In effetti, anche in Dottrina, molti hanno sottolineato che, nelle fattispecie ex Artt. 392 e 393 CP, dovrebbe essere applicato il divieto di sostituzione processuale ex Art. 81 C.p.c., poiché, civilisticamente, “ fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo, in nome proprio, un diritto altrui “. Ciononostante, almeno a parere di chi scrive, negli Artt. 392 e 393 CP, il divieto generale della sostituzione può essere ignorato, alla luce dell’ eccezionalità normativa caratterizzante il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Per il vero, secondo Cass., sez. pen. V, 27 febbraio 1998, n. 5193 ( ripresa, tredic’ anni dopo, da Cass., sez. pen. VI, 19 ottobre 2011, n. 41329 ), la natura non esclusiva e non “ propria “ degli Artt. 392 e 393 CP non è sempre una realtà interpretativa positiva, in tanto in quanto tale indeterminatezza soggettiva “ legittima incondizionatamente il terzo ad attivarsi in luogo del reale creditore, quindi il debitore / vittima potrebbe trovarsi esposto a danni ulteriori rispetto a quelli connaturati alle fattispecie di reato tipiche [ danneggiamento – Art. 635 CP – e violenza privata – Art. 610 CP – ], perché egli è costretto a versare denaro nelle mani di un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, senza alcuna garanzia di effetto liberatorio “. Analogamente, Cass., sez. pen. VI, 19 ottobre 2011, n. 41329 parla, nel caso dell’ intervento del correo nei reati pp. e pp. ex Artt. 392 e 393 CP,  di “ una situazione ambigua, che non permette alla vittima di ottenere la garanzia definitiva dell’ estinzione del proprio debito “. Pare, dunque, in Cassazione 5193/1998 ed in Cassazione 41329/2011, che invocare, nel Codice Penale italiano, de jure condendo, un istituto simile a quello ex Art. 81 C.p.c., non sia del tutto fuorviante od inutile. Similmente, pure un’ ipostatizzazione del lemma “ chiunque “ negli Artt. 392 e 393 CP reca ad un’ indeterminatezza soggettiva non ragionevole e non proporzionata, giacché molto dipende dal coinvolgimento emotivo dell’ eventuale compartecipe. Anche negli Anni Duemila, tale difficoltà ermeneutica è stata evidenziata da Cass., SS.UU., 16 luglio 2020, n. 29541, in tanto in quanto “ la qualificazione come esercizio arbitrario delle proprie ragioni [ compartecipato ] [ … ] delle condotte poste in essere spontaneamente da terzi non appartenenti al nucleo familiare del creditore ( coniuge, figlio, genitore [ … ] ) che si siano attivati di propria iniziativa, senza previo concerto o, comunque, non d’ intesa con il creditore, comporterebbe l’ immotivata applicazione del previsto regime favorevole, che trova giustificazione, anche ex Art. 3 Cost., proprio e soltanto nella contrapposizione tra un presunto creditore ed un presunto debitore, che risolvono la propria controversia senza adire le vie legali, pur potendo farlo ( il creditore ricorrendo al giudice civile, il debitore sporgendo querela ) “. Quindi, come si può notare, asserire la natura “ comune “, anziché “ propria “, dei reati di cui agli Artt. 392 e 393 CP rischia di confondere il danneggiamento semplice e la violenza privata semplice con la fattispecie diversa e più strutturata descritta negli Artt. 392 e 393 CP. Nel Diritto Penale sostanziale, il profilo soggettivo di un delitto o di una contravvenzione non deve mai e poi mai scadere nell’ indeterminatezza e nella promiscuità confusa tra varie e differenti ipotesi di reato. Un conto è l’ esercizio arbitrario delle proprie ragioni, un altro conto sono il danneggiamento e la violenza privata privi di una causa attenuante ( Artt. 635 e 610 CP ). Anche dal punto di vista dell’ accettazione sociale, tali fattispecie vanno mantenute nitidamente e fermamente separate. Viceversa, non si comprenderebbe il favore verso il reo contemplato soltanto dagli Artt. 392 e 393 CP.

Per quanto afferisce alla compartecipabilità, o meno, degli Artt. 392 e 393 CP, Cass., sez. pen. II, 28 giugno 2016, n. 46288 reputa che, alla luce del lemma inziale << chiunque >>, “ questa espressione induce a ritenere che i predetti reati rientrano tra i cc.dd. << reati propri esclusivi, o di mano propria >>, i quali si caratterizzano in quanto richiedono che la condotta tipica dev’ essere posta in essere dal soggetto qualificato, ovvero dal presunto creditore. Di conseguenza, quando la condotta tipica di violenza o di minaccia prevista dagli Artt. 392 e 393 CP sia posta in essere da un soggetto diverso dal creditore, ovvero [ non familiare stretto, e ] estraneo al rapporto obbligatorio che fonderebbe la pretesa azionata, non potrebbe riternersi integrato l’ esercizio arbitrario delle proprie ragioni “. Del pari, anche Cass., sez. pen. V,  20 giugno 2014, n. 5241 afferma che “ se può, in determinati casi, [ … ] essere tollerato che chi ne ha diritto si faccia ragione da sé medesimo, non può mai essere tollerata l’ intromissione del terzo estraneo che si sotituisca allo Stato, esercitandone le inalienabili prerogative nell’ amministrazione della giustizia “. Questa lettura anti-anarchica e, quindi, anti- compartecipativa, si manifesta anche in Cass., sez. pen. II, 27 aprile 2016, n. 41433, ove si parla, seppur in maniera assai ermetica, di “ una particolare oggettività giuridica dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni “. Similmente,  Cass., sez. pen. II, 20 dicembre 2017, n. 2018 parla di una “ tutela suprema dell’ interesse statuale al ricorso obbligatorio alla giurisdizione ( il c.d. << monopolio giurisdizionale >> ) nella risoluzione delle controversie “.

Anche Cass., sez. pen. II, 21 ottobre 2016, n. 51013 ( menzionata, dopo un anno, da Cass., sez. pen. II, 5 aprile 2017, n. 31725 ) ha affermato che l’ esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone è compartecipabile dall’ Avvocato difensore del creditore, ma, anche in questo caso, la procura alla difesa integra gli estremi di un legame di fiducia assai stretto con il reo principale. Non si tratta, in Cass., sez. pen. II, 21 ottobre 2016, n. 51013 dell’ intervento di un terzo estraneo che avoca a se stesso le competenze giurisdizionali dello Stato. Cassazione 51013/2016, nell’ ottica della potenziale compartecipabilità dell’ Art. 393 CP, afferma che “ il professionista che agisca nell’ interesse di un cliente non può considerarsi estraneo alla contesa che opponga il proprio patrocinato ad un terzo [ … ]. L’ Avvocato è una parte tecnica che si affianca alla parte sostanziale della contesa, nella conclusiva unitarietà di una parte complessa “. Se, viceversa, la tesi di Cassazione 51013/2016 fosse stata infondata, il Difensore sarebbe stato punito per il diverso delitto di violenza privata ex Art. 610 CP. Invece, la procura a patrocinare è un titolo soggettivo che trasborda l’ Art. 610 CP nel difforme campo precettivo di “ chi si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando [ … ] minaccia alle persone “. ex comma 1 Art. 393 CP. Oltretutto, Cass., sez. pen. II, 21 ottobre 2016, n. 51013 contiene, a titolo incidentale, una splendida definizione giurisprudenziale dei lemmi “ farsi ragione da sé medesimo “ ex Artt. 392 e 393 CP, ovverosia “ l’ espressione << farsi ragione da sé medesimo >> significa realizzare, con le proprie forze, quella pretesa che l’ agente ritiene giusta in sé: per rendersi, insomma, giustizia da sé stesso. Essa evocherebbe, quindi, la realizzazione dello scopo, di regola economico, al cui soddisfacimento è preordinato il diritto che si vanta [ … ]. L’ espressione integra la materialità dei reati [ ex Artt. 392 e 393 CP ], evocando o l’ arbitraria realizzazione di una situazione di fatto corrispondente al preteso diritto, oppure l’ impiego della forza privata per realizzare la pretesa [ … ]. In chiave soggettivistica, l’ auto-soddisfazione è, invece, l’ affermazione unilaterale ed autoritaria di una situazione attualmente o potenzialmente favorevole al reo, tale da mostrarsi soltanto congrua rispetto al diritto al fine dell’ esercizio del quale essa è realizzata “. Come si può notare, Cass., sez. pen. II, 21 ottobre 2016, n. 51013 non nega la validità del diritto di credito esistente. Pertanto, gli Artt. 392 e 393 CP si discostano completamente dal concetto di “ ingiusto profitto “ ex Art. 629 CP ( estorsione ).

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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