La modifica del codice penale e dell’ordinamento penitenziario
La legge 23 giugno 2017, n. 103 di modifica al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, entrata in vigore il 3 agosto 2017, non solo ha introdotto istituti nuovi ed ha profondamente modificato istituti già esistenti, ma contiene deleghe al Governo per ulteriori riforme in ambito penale, che hanno trovato attuazione coi d.lgs. nn. 121, 123 e 124 del 2 ottobre 2018.
Il Governo ha infatti emanato tre decreti legislativi di riforma dell’ordinamento penitenziario, in attuazione della delega contenuta nella legge n. 103 del 2017, riguardanti il complesso dell’ordinamento penitenziario, il lavoro penitenziario e l’esecuzione penale minorile. Sono le ultime riforme, in ordine temporale, che hanno progressivamente cambiato il volto del nostro sistema penale nel suo complesso; sono state precedute dall’introduzione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto con d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, che ha inserito l’art. 131 bis c.p., dalla previsione della sospensione del processo con messa alla prova operata con legge 28 aprile 2014, n. 67, dalle modifiche dell’ordinamento penitenziario e dalla depenalizzazione di alcuni reati avvenuta con d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8.
Si tratta di interventi legislativi assunti in conseguenza delle indicazioni fornite all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo con la sentenza Torreggiani del 2013. La pronuncia della Corte europea ha accelerato il meccanismo di revisione del sistema penale, con particolare attenzione alla fase di esecuzione, già avviato in autonomia dall’Italia con numerosi interventi normativi volti a limitare il ricorso alle pene detentive brevi e alla carcerazione preventiva. Si pensi, ad esempio, alle disposizioni della legge 26 novembre 2010, n. 199 (c.d. “sfolla-carceri”), che ha previsto l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive da eseguire non superiori a dodici mesi su disposizione del magistrato di sorveglianza previa sospensione dell’esecuzione da parte del pubblico ministero. Il processo di revisione della fase esecutiva penale è tuttora in corso con forza espansiva, vuoi per l’esigenza di adeguare il numero di detenuti alla capacità di accoglienza degli Istituti di pena, vuoi per l’affermarsi di scelte di politica giudiziaria orientate alla decarcerizzazione, laddove possibile.
In materia di esecuzione penale il Ministero della giustizia ha promosso un’imponente iniziativa di riflessione e approfondimento denominata Stati Generali dell’Esecuzione Penale. La consultazione, durata quasi un anno, si è articolata intorno a 18 tavoli composti da personalità esperte del sistema penitenziario – coloro che operano in tale sistema, appartenenti al mondo accademico, alle professioni giuridiche, al volontariato, al mondo dei garanti dei detenuti – che hanno dibattuto e prodotto proposte per ridefinire l’esecuzione della pena secondo un modello che punta al reinserimento del detenuto. Ogni tavolo ha trattato un aspetto tematico e messo a confronto punti di vista anche diversi tra loro. I temi affrontati sono stati: architettura e carcere, la vita e la responsabilizzazione del detenuto, donne e carcere, vulnerabilità e dipendenze, minorenni autori di reato, il mondo degli affetti e la territorializzazione della pena, stranieri, lavoro e formazione, istruzione e sport, salute e disagio psichico, misure di sicurezza, sanzioni all’interno della comunità, mediazione e tutela delle vittime dei reati, regole internazionali, formazione degli operatori penitenziari, ostacoli normativi al trattamento rieducativo, processo di reinserimento, organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale.
Il 18 e 19 aprile 2016 si è concluso il lungo percorso degli Stati Generali, presso l’auditorium della casa circondariale di Roma Rebibbia e alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con la presentazione di un documento finale (1).
esso riassume le principali linee di intervento dei gruppi di lavoro; configura un modello di esecuzione penale pienamente rispettoso dei principi costituzionali e attento a nuove problematiche quali l’alto numero di detenuti stranieri di lingua, cultura e religione diverse, l’evoluzione della tecnologia, che può servire a risolvere parzialmente alcune problematiche quali la scarsità di rapporti affettivi, la formazione, il lavoro. L’elaborato conclusivo degli Stati Generali dell’esecuzione Penale costituisce un’importante e completa fonte cognitiva per future riforme nell’ambito esecutivo penale (2).
La giustizia penale mite
Analogamente, nel processo penale sono stati inseriti istituti nuovi aderenti alle già indicate scelte di politica giudiziaria orientate alla decarcerizzazione, e al contempo tendenti alla deflazione del numero dei procedimenti pendenti. L’esigenza deflativa è una priorità del sistema penale italiano. I dati della Commissione CePeJ (Commission européenne pour l’efficacité de la justice presso il Consiglio d’europa) emergenti dal rapporto del 2016 evidenziano un tasso di smaltimento degli affari penali insoddisfacente, pari al 94%. Occorre evidenziare che tale dato va letto tenendo conto della qualità dei procedimenti sopravvenuti e considerando che l’Italia ha gestito, rispetto ad altri Paesi europei, una percentuale sicuramente maggiore di reati gravi (severe cases), caratterizzati da complessità e comportanti tempi più lunghi di definizione.
Quanto al tempo medio di definizione dei procedimenti penali in Italia, esso risulta critico. Con riferimento al tempo medio di definizione dei procedimenti penali di primo grado, l’Italia è passata da 329 giorni nel 2010 a 370 nel 2012, a 386 del 2014, a fronte di una media di 133 giorni. I dati del rapporto CePeJ del 2018 sono più incoraggianti. Il tasso di smaltimento degli affari per il 2018 è, per la prima volta, positivo ed è pari al 107%. Il tempo medio di definizione dei procedimenti penali di primo grado nel 2018 si è abbassato a 310 giorni; esso rappresenta la miglior performance di abbattimento dei tempi medi tra i 45 Paesi che partecipano alle rilevazioni della Commissione CePeJ.
I dati che emergono dai rapporti sono il sintomo di un problema strutturale del sistema giudiziario italiano e non sono attribuibili alla laboriosità dei magistrati italiani, che è tra le più elevate, considerando la qualità dei procedimenti trattati ed il numero di giudici (3). Accanto ai fenomeni di cui si è detto, si registra anche il dato dell’introduzione di nuovi reati a tutela di sensibilità attuali (ad esempio lo stalking, l’omicidio stradale) e di inasprimento di pene per taluni reati (ad esempio, il furto in abitazione), quale presidio di difesa di beni giuridici considerati preminenti dalla società moderna. In questo filone si inserisce, lato sensu, il divieto di accesso a misure premiali dei condannati per reati altamente offensivi. Alla luce di queste profonde modifiche, occorre fare il punto della situazione del nostro sistema penale. Partendo dai principi tradizionali su cui esso è fondato, è opportuno riflettere sulle esigenze di difesa sociale e di rieducazione nell’attualità, così come reinterpretate nella società moderna, e sugli strumenti giuridici vigenti preposti alla loro realizzazione.
La consapevolezza degli istituti giuridici in vigore consentirà agli operatori del settore di approntare le scelte più adeguate per il singolo soggetto nel caso concreto, dopo attenta considerazione delle esigenze individuali e della situazione personale e giuridica obiettivamente considerata, da bilanciarsi con le esigenze sociali e delle vittime. nel processo occorre un approccio basato su un nuovo modo di pensare, verso una giustizia penale condivisa dai vari protagonisti dell’agire giudiziario e dagli operatori preposti.
Scopo concreto dell’esercizio dell’azione penale non è solo il processo, che è lo strumento pubblico celebrativo del rito collettivo per il ripristino della verità storica e, con essa, della legalità infranta, ma anche e soprattutto il suo esito, in vista del quale il processo si celebra. Se il processo si conclude con la condanna, la pena è il mezzo per ricucire il patto sociale di rispetto reciproco delle regole, preferibilmente in condivisione del valore primario di reinserimento del reo e di tutela della vittima. e non si può discutere di processo penale senza parlare di pena.
Una diversificazione delle pene
Occorrerebbe una maggiore diversificazione delle pene rispetto a quanto previsto dal codice vigente. La reclusione può essere efficace limitatamente ai reati più gravi; andrebbe ampliato il novero delle pene restrittive della libertà personale con introduzione, in particolare, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità come pene principali. Tali sanzioni, espiabili in ambiente non detentivo, andrebbero tipizzate come sanzioni penali autonome, graduabili dallo stesso giudice della cognizione, e non più come alternative alla detenzione.
La creazione di nuove sanzioni andrebbe formulata non già in termini di limiti e divieti, ma soprattutto in senso attivo, come obblighi di fare a favore della comunità. Un maggior ventaglio di pene consentirebbe, oltre a una riduzione dei casi di detenzione in carcere, anche una più razionale osservanza del principio di proporzionalità della pena alla gravità dei reati. Alcune timide riforme in tal senso sono già state assunte. Nell’auspicio di interventi legislativi più coraggiosi, questo libro intende mettere in evidenza le riforme più recenti e gli istituti al momento vigenti che si collocano nel solco della differenziazione della pena detentiva, e dar loro una lettura organica secondo il filo conduttore delle fasi processuali, onde facilitarne l’applicazione nella prassi giudiziaria.
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