Ex moglie rinuncia al mantenimento: può avere l’assegno divorzile?

     Indice

  1. Il caso di specie
  2. Inquadramento normativo
  3. La decisione della corte

1. Il caso di specie

L’ordinanza della Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione n. 28483 del 19 settembre 2022, depositata in data 30 settembre 2022, affronta la questione relativa all’attribuzione dell’assegno di divorzio nei confronti dell’ex moglie, la quale durante la separazione ha rinunciato al mantenimento.

Nel caso in esame, una coppia decideva di separarsi e inseguito di divorziare. Il Tribunale disponeva l’affido condiviso del figlio, con collocazione prevalente del minore presso la madre, imponendo al padre il versamento di 650,00 € mensili, a titolo di contributo al mantenimento del figlio e il 50% delle spese straordinarie. Inoltre, veniva disposto un assegno di divorzio dell’importo pari a 400,00 € in favore dell’ex moglie. L’uomo appellava la decisone del Tribunale ma in parziale accoglimento dell’appello, la Corte mutava solo i provvedimenti relativi al diritto di visita del padre con il minore, confermando per il resto le altre statuizioni. L’ex marito decideva, quindi, di proporre ricorso per cassazione contro l’ex moglie, lamentando la violazione dei criteri indicati dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio n. 890/1970 in tema di riconoscimento e quantificazione dell’assegno di divorzio.


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2. Inquadramento normativo

L’assegno di divorzio è il pagamento di un contributo economico che uno dei due coniugi effettua, a seguito di una pronuncia di divorzio, in favore dell’altro coniuge, il quale non ha mezzi adeguati o per ragioni oggettive non se li può procurare.

La disciplina dell’assegno di divorzio è contenuta nell’art. 5, comma 6, L. 898/1970 il quale stabilisce che con sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale può disporre l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha i mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

La legge sul divorzio individua determinati criteri che il Tribunale deve valutare  per l’attribuzione dell’assegno. Il giudice deve tener conto: delle condizioni dei coniugi, delle ragioni che hanno determinato il divorzio, del contributo personale ed economico dato da entrambi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune nonché del reddito di entrambi.

L’assegno divorzile può essere corrisposto in maniera continuativa e periodica oppure una tantum, ovvero in un’unica soluzione. Quest’ultima scelta preclude in futuro la possibilità di proporre qualunque domanda di contenuto economico.

Il diritto all’assegno di divorzio non sorge in automatico per il solo fatto del divorzio e l’importo non è stabilito in misura identica per tutte le coppie divorziate. Ogni rapporto coniugale è caratterizzato da ruoli lavorativi della coppia che influenzano la formazione della ricchezza familiare e del patrimonio delle singole persone, sulla base del contributo che ogni coniuge ha apportato nella creazione della famiglia.

A partire dagli anni novanta e fino a pochi anni fa il criterio prevalentemente adottato dai Tribunali per la determinazione dell’importo dell’assegno era quello del “tenore di vita”. Il Giudice, quindi, sulla base di questo criterio teneva in considerazione lo stile di vita adottato dalla coppia in costanza di matrimonio, assegnando in favore del coniuge economicamente debole un assegno idoneo a consentirgli di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante la vita matrimoniale. [1]

Suddetta impostazione fu cambiata dalla cd. Sentenza Grilli, la quale affermava che il tenore di vita era un criterio idoneo a temperare l’effetto del divorzio quando socialmente il matrimonio era ritenuto indissolubile. Considerando che il divorzio provoca la cessazione degli effetti civili del matrimonio, non vi era più motivo di tenere in vita obblighi patrimoniali e assistenziali legali alla condizione di coniuge. Seconda la Suprema Corte di Cassazione l’assegno di divorzio aveva funzione assistenziale, in quanto assicurava un sostegno alla persona che era in difficoltà per procurarsi i mezzi sufficienti per vivere. [2]

In seguito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno respinto l’impostazione della Sentenza Grilli affermando che l’assegno di divorzio svolge una funzione assistenziale, perequativa e compensativa. Le S.U. ribadiscono che i principi di autodeterminazione e di responsabilità sono inerenti non solo alla scelta matrimoniale ma riguardano anche tutta la conduzione della vita durante il matrimonio, definendo i rispettivi ruoli dei coniugi e fissando il contributo di ciascuno alla realizzazione della vita matrimoniale. Per questo le S.U criticano l’impostazione della Sentenza Grilli che attribuiva all’assegno divorzile esclusivamente una funzione assistenziale, in quanto accanto a suddetta funzione, al momento del divorzio sorge anche la necessità di compensare e riequilibrare le posizioni di ciascun coniuge, considerando l’apporto che è stato dato dal singolo alla formazione della famiglia. [3]

Con la pronuncia delle S.U. è stato definitamente superato il principio del tenore di vita analogo a quello in costanza di matrimonio, per cui i criteri da utilizzare per l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio e dell’importo sono: il coniuge richiedente deve avere mezzi economici  inadeguati e si deve trovare nell’impossibilità oggettiva di procurarseli; la sussistenza di uno squilibrio tra i due coniugi; lo squilibrio reddituale deve essere collegato ai sacrifici che il coniuge meno abbiente ha fatto per dedicarsi alla famiglia, favorendo in tal modo la carriera e le ricchezze dell’altro; l’assenza della capacità lavorativa o di produrre reddito da parte del soggetto richiedente.

L’importo dell’assegno di divorzio è determinato tenendo conto di tutte e tre le funzioni dell’assegno. Il criterio primario per verificare se il coniuge richiedente disponga dei mezzi idonei al sostentamento dopo la fine del matrimonio si basa sulla valutazione della titolarità del reddito, della proprietà di beni immobili e di beni mobili nonché della capacità lavorativa.

La funzione attuale dell’assegno divorzile è quella di far conseguire agli ex coniugi una sorta di parità economica tra i redditi, dal momento che la disparità è stata determinata dalle scelte condivise dalla coppia, sacrificando la capacità economica del coniuge richiedente.

L’art. 5, comma 7, L. 878/1970 prevede che con il provvedimento che dispone l’assegno il Tribunale indichi il criterio di rivalutazione dell’importo dello stesso, in modo da mantenerlo adeguato al costo di vita con il passare del tempo.

L’art. 9 della L. n. 878/1970 prevede la possibilità di chiedere la revisione dell’assegno di divorzio nel caso in cui, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, sopravvengono giustificati motivi. Si deve, quindi, accertare una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi che determina una variazione dell’assetto patrimoniale realizzato con il provvedimento che dispone l’assegno.

Il diritto all’assegno di divorzio cessa quado il soggetto beneficiario passa a nuove nozze, come stabilito dall’art. 5, comma 10, L. n. 898/1970.

3. La decisione della corte

Secondo il ricorrente la donna non ha diritto all’assegno di divorzio in quanto ha una stabilità lavorativa che le consente di condurre una vita dignitosa dal punto di vista economico, senza alcun aiuto. Inoltre sottolinea che la donna in sede di separazione ha rinunciato al mantenimento, è stata infedele ed ha intrecciato una nuova relazione, per cui tutto ciò deve essere preso in considerazione ai fini dell’eventuale riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio.

Venendo ora alla decisione sul caso di specie, la donna lavora come insegnante di italiano con un contratto part-time, per cui senza la contribuzione del marito non è in grado di condurre un’esistenza economicamente dignitosa e tranquilla, considerato che la donna, 44 anni, deve provvedere anche a tutte le esigenze e necessità del figlio in piena adolescenza e abita con i genitori. Tale situazione non le garantisce di svolgere un’esistenza libera e dignitosa che una donna adulta con un figlio può pretendere dalla vita.

Inoltre la Cassazione condivide quanto sostenuto dalla Corte d’Appello in ordine alla sperequazione della situazione economica tra i coniugi, concludendo che, tra loro, l’ex moglie è quella economicamente più debole in quanto durante la vita matrimoniale ha contribuito con il suo lavoro, anche casalingo e di cura del bambino, alla formazione del patrimonio familiare consentendo in tal modo al marito di svolgere la professione di medico ospedaliero con la dovuta libertà. Inoltre la donna non si è mai tirata indietro svolgendo anche lavori meno consoni alle sue capacità e al suo titolo di studio ma che le consentissero di vivere dignitosamente. Inoltre ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio è necessario prendere in considerazione l’abbandono del tetto coniugale da parte della donna, circostanza questa che ha determinato un vantaggio indiretto per l’ex marito.

Per quanto riguarda il riconoscimento dell’assegno divorzile a favore del soggetto che in sede di separazione consensuale ha rinunciato all’assegno di mantenimento, la Corte di Cassazione ricorda che gli accordi presi in sede di separazione non vincolano la decisione del giudice di divorzio, ma non escludono un mutamento successivo della situazione patrimoniale e personale dei coniugi. Accordi di questo tipo sono invalidi per illiceità della causa per la indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, per cui di tali accordi non può tenersi conto ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio.

Infatti la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che l’ex moglie che rinuncia in sede di separazione  al mantenimento ha comunque diritto all’assegno divorzile. I diritti di natura personale e patrimoniale che scaturiscono dal matrimonio sono indisponibili per cui gli ipotetici accordi stipulati in sede di separazione non possono disporre per il futuro. Pertanto, si tratta di misure che possono essere sempre sovvertite in base ai mutamenti personali ed economici delle parti. [4]

Inoltre, non rileva l’infedeltà della donna sollevata dall’uomo al fine dell’esclusione del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno di divorzio, essendosi i coniugi separati consensualmente, cosi come non merita di essere considerata l’instaurazione di una nuova relazione da parte della donna dal momento che spettava all’ex marito provare l’esistenza di una convivenza stabile in capo all’altro coniuge al fine non di escludere il diritto all’assegno di divorzio, ma di contenere l’ammontare alla sola componente compensativa, ove esistente, [5] circostanza questa non provata dall’uomo.

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Note

[1]Cass. Civ. Sez. I, 17 marzo 1989, n. 1322;  Cass. Civ., S.U., 29 novembre 1990, n. 11490;

[2] Cass. Civ., Sez. I, 11 maggio 2017, n. 11504;

[3] Cass. Civ., S.U., 11 luglio 2018, n. 18287;

[4] Cass. Civ., Sez. I, 19 settembre 2022, n. 28483;

[5] Cass., S.U., 5 novembre 2021, n. 32198

Sentenza collegata

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Alessandra Paglione

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