Fallimento e procedure competitive: può il deposito cauzionale essere qualificato come “credito contestato”?

Il presente contributo ha ad oggetto il commento a un provvedimento emanato in sede di reclamo ex art. 36 l. fall. da un Giudice Delegato della Sezione II^ Civile del Tribunale di Milano, in data 14 luglio 2020, ad oggi inedito.

L’analisi vedrà dapprima un breve resoconto della controversia in merito alla quale è intervenuto il provvedimento in questione. Successivamente, si procederà allo studio delle norme e della giurisprudenza sulle principali questioni giuridiche sottese, fornendo anche un approccio critico alle stesse.

Indice:

  1. Sintesi del fatto
  2. Il punto in diritto
  3. Precedenti giurisprudenziali in materia
  4. La disciplina della compensazione
  5. Conclusioni e considerazioni finali

 

1. Sintesi del fatto

Il provvedimento del Tribunale di Milano trae origine da una controversia sorta tra il Fallimento della società Alfa e la società Beta in seguito alla mancata restituzione, da parte del primo, del deposito cauzionale corrisposto dalla seconda nell’ambito di una procedura competitiva finalizzata all’acquisto di talune merci del Fallimento.

In ragione del diniego, Beta proponeva ricorso ai sensi dell’art. 36 l. fall. contro gli atti del Curatore, denunciando la mancata restituzione della cauzione in quanto atto dovuto. In tale sede, la reclamante Beta evidenziava, a fondamento del proprio diritto, le seguenti circostanze. La prima, attinente alla natura giuridica del deposito cauzionale che, di per sé, trattandosi di una forma di tutela preventiva, deve essere restituito agli offerenti che all’esito della procedura competitiva non siano risultati aggiudicatari; la seconda, fondata sulle previsioni dell’avviso della procedura competitiva in questione (c.d. bando), che prevedeva le modalità di restituzione del deposito, da effettuarsi al termine della gara, nell’eventualità di mancata aggiudicazione da parte dell’offerente. La reclamante, quindi, denunciava proprio l’omissione, da parte del Curatore, di tale atto dovuto.

Tuttavia, nel corso del procedimento instauratosi dinnanzi al Tribunale, il Fallimento eccepiva in compensazione un credito preesistente nei confronti della reclamante, ragione per la quale lo stesso non aveva proceduto alla restituzione del deposito cauzionale.

In conseguenza di ciò, il Giudice Delegato emanava il provvedimento che in questa sede si procederà ad analizzare, determinando che, in ragione dell’eccezione proposta dal Fallimento, l’unica sede per esaminare la questione sarebbe stata il procedimento di verifica dei crediti ex art. 52.2 l. fall.[1], al fine di valutare l’effettiva esistenza del diritto vantato da Beta o, al contrario, l’eccezione di compensazione proposta dal Fallimento.

2. Il punto in diritto

Alla luce dell’eccezione di compensazione proposta e del provvedimento emanato, la somma costituente il deposito cauzionale è stata qualificata come credito contestato e, per tale ragione, è stata sottoposta al procedimento di verifica dei crediti secondo le forme dell’accertamento dello stato passivo.

La questione attorno cui ruota il presente contributo riguarda, dunque, la qualifica del deposito cauzionale quale credito contestato, in rapporto, inoltre, alla sua prededucibilità nell’ambito del procedimento di verifica dello stato passivo.

L’art. 52.2 l. fall., menzionato dallo stesso Giudice Delegato nel provvedimento in esame, dispone che ogni credito debba essere sottoposto all’accertamento dello stato passivo ai sensi delle norme di cui al capo V[2]. Nel caso di specie, data la peculiare natura del deposito cauzionale, lo stesso procedimento di accertamento dello stato passivo necessita di essere analizzato congiuntamente alla disciplina dei crediti prededucibili, che l’art. 52 introduce mediante il rinvio all’art. 111.1 n. 1 l. fall. A tal proposito, il successivo art. 111 bis (Disciplina dei crediti prededucibili) prevede, al comma 4, la possibilità, per determinate tipologie di crediti prededucibili, di soddisfazione al di fuori del piano di riparto a condizione che: (i) tali crediti siano sorti nel corso del fallimento; (ii) essi siano liquidi, esigibili e non contestati per collocazione e ammontare; (iii) l’attivo sia sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti. Tuttavia, nel caso di specie, l’eccezione di compensazione del Fallimento ha portato a qualificare il deposito cauzionale come credito contestato.

Premesso tale inquadramento giuridico, il presente contributo è volto a compiere alcune riflessioni processuali in punto di deposito cauzionale e di compensazione, sia in ambito generico, sia nella più specifica materia del diritto fallimentare.

Innanzitutto, la natura giuridica civilistica della cauzione, ossia di fonte di garanzia e di serietà della proposta, oltre che di tutela per un eventuale inadempimento, impone che la stessa sia trattata nei medesimi termini anche in ambito fallimentare. A riprova di ciò, nel caso di specie, lo stesso bando di procedura competitiva disponeva i termini di restituzione del deposito alla parte che, all’esito della procedura, non fosse risultata aggiudicataria. Rimane ferma, dunque, l’applicazione dei principi privatistici in materia di cauzione, che porterebbe al conferimento alla stessa della qualifica di credito non contestato, poiché sorto nell’ambito della procedura competitiva con la specifica finalità espressa dal bando.

Tuttavia, nel caso di specie tale natura è stata messa in dubbio e vi è, dunque, da chiedersi se ciò possa essere determinato dalla proposizione di un’eccezione di compensazione o se, invece, sia maggiormente corretto accertare il credito vantato dal Fallimento in una diversa sede e lasciare che la cauzione sia restituita al non aggiudicatario, in accordo con le previsioni del bando e con le norme privatistiche in materia.

A tal proposito, la stessa legge fallimentare, all’art. 107.1 (Modalità delle vendite), contiene un rinvio[3] alla disciplina privatistica dettata dall’art. 587, comma 1 c.p.c., secondo periodo. Tale articolo stabilisce i casi di perdita della cauzione prestata nell’ipotesi d’inadempienza dell’aggiudicatario[4]. Non vi è, però, alcun riferimento alla possibilità di perdita della somma versata in casi diversi da quelli dell’inadempimento. Né è presente un riferimento al caso in cui la perdita sia sopportata dalla parte non aggiudicataria.

Esclusa, quindi, l’ipotesi dell’inadempimento di Beta, si ritiene di dovere svolgere alcune riflessioni in punto di eccezione di compensazione. Può tale eccezione condurre al diniego della restituzione della cauzione, anche qualora il non aggiudicatario abbia rispettato i termini e le modalità previsti dall’avviso di procedura competitiva? Per cercare di fornire una risposta a tale interrogativo sarà svolta un’analisi dei precedenti giurisprudenziali in materia.

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3. Precedenti giurisprudenziali in materia

Il provvedimento oggetto del presente contributo è sicuramente caratterizzato da una spiccata singolarità e, per tale ragione, pochi sono i precedenti giurisprudenziali totalmente analoghi in materia. Invero, la particolarità del caso consiste proprio nell’assenza di situazioni caratterizzate dai medesimi fatti, in quanto la proposizione dell’eccezione di compensazione da parte del curatore è solitamente ammessa ai fini del rigetto di una domanda di insinuazione al passivo proposta dal debitore del fallito. Diverso è, invece, il caso di specie poiché ciò che la società Beta – non aggiudicataria – aveva inizialmente posto in essere era una domanda di restituzione del deposito cauzionale, non invece una domanda di insinuazione al passivo[5].

Tuttavia, talune pronunce della Suprema Corte consentono di determinare la natura giuridica della cauzione anche in ambito fallimentare, così da rendere più agevole la corretta interpretazione e applicazione dell’istituto nei singoli casi concreti.

A tal proposito, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la cauzione debba essere qualificata come una “garanzia reale atipica, assimilabile al pegno irregolare, che consente al creditore, in caso d’inadempimento del debitore, di procedere alla vendita delle cose depositate o di chiedere l’assegnazione della somma versata, sino a concorrenza del proprio diritto”, evidenziando anche che essa debba restare acquisita “in caso d’inosservanza degli obblighi a presidio dei quali ne è stata imposta la consegna[6]. Così opinando, anche in ambito fallimentare la Suprema Corte ha voluto conferire alla cauzione la funzione di mezzo a tutela di un eventuale inadempimento perpetrato dalla parte che l’ha prestata. Allo stesso modo, la Corte ha ritenuto di potere ricondurre la cauzione anche al concetto di serietà della proposta; in tal senso, questa è spesso assimilata all’istituto della caparra confirmatoria e “deve essere, infatti, restituita, normalmente, soltanto ove il contratto non possa avere esecuzione per causa non imputabile alla parte che l’ha prestata[7].

Sulla scorta del medesimo orientamento, gli ermellini hanno ribadito che “in assenza di una diretta applicazione della disposizione dell’art. 587 c.p.c., il ricorso alla “forma di autotutela”, data dall’incameramento delle somme di cui alla cauzione, resta legittimo “laddove risulti l’imputabilità dell’inadempimento che si presume a carico dell’”aggiudicatario” stesso (rectius: del soggetto che abbia fatto la proposta più vantaggiosa, con il quale il curatore sia stato autorizzato a concludere il successivo atto cui la procedura competitiva era propedeutica), salva la prova contraria” – della non imputabilità dell’inadempimento[8], con ciò conferendo adesione all’applicazione dell’art. 587 c.p.c. di cui sopra.

Non sembrerebbero, dunque, sussistere dubbi in merito alla natura della cauzione prestata nell’ambito di una procedura competitiva fallimentare, né in merito alle cause che ne determinano l’incameramento da parte del Fallimento.

Tuttavia, è evidente come nel caso di specie non sussistesse alcuna delle circostanze previste dall’art. 587 c.p.c., nonché rimarcate dalla Suprema Corte: la società Beta, infatti, non è risultata aggiudicataria, né può essere ritenuta inadempiente con riferimento alla procedura competitiva, atteso che, non essendo aggiudicataria e non avendo, quindi, alcun obbligo a contrarre, non potrebbe sussistere alcun inadempimento in capo alla stessa. Un tale inadempimento, infatti, potrebbe essere individuato solamente in capo all’aggiudicatario, che nel caso concreto è una terza e diversa società. Ne consegue che, secondo il dettato legislativo e in base alle previsioni del bando, la società Beta avrebbe dovuto ottenere la restituzione della cauzione.

4. La disciplina della compensazione

Ci si chiede, dunque, perché il Giudice Delegato abbia disposto che il credito dovesse essere oggetto del procedimento di accertamento dello stato passivo. Qualora, infatti, tale procedimento portasse alla conclusione della effettiva sussistenza del credito nei confronti della società Beta, quest’ultima perderebbe la cauzione prestata, pur non essendo risultata aggiudicataria all’esito della procedura.

La naturale conseguenza di ciò porta, a questo punto, ad analizzare anche le norme in materia di compensazione, al fine di comprendere se quest’ultima possa avere ad oggetto un deposito cauzionale e, quindi, essere considerata una delle cause di perdita dello stesso.

Innanzitutto, è necessario fornire una definizione dell’istituto. La compensazione è una modalità di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento[9]. L’art. 1241 c.c. recita in merito: “Quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti, secondo le norme degli articoli che seguono”. Si tratta, quindi, di un modo di estinzione “delle reciproche obbligazioni basato sulla soddisfazione che ciascuno dei due creditori ottiene senza spostamento di valuta[10] che, ai sensi dell’art. 1243 c.c., “si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili”. A questi requisiti, la giurisprudenza della Suprema Corte ha aggiunto anche quello della certezza[11], attinente all’esistenza del credito e, quindi, assente qualora l’accertamento dello stesso, effettuato in separato giudizio, non sia divenuto definitivo con sentenza passata in giudicato[12].

La disciplina generale in materia di compensazione può applicarsi anche all’ambito fallimentare. Invero, la giurisprudenza sembra ormai concorde nel ritenere che la compensazione fallimentare prevista dall’art. 56 l. fall. non sia una speciale figura di compensazione[13]. A tal proposito, si concorda nel ritenere che essa, seppur caratterizzata da alcune peculiarità derivanti dal rapporto con il diritto fallimentare[14], debba comunque essere ricondotta alla figura codicistica ordinaria[15] e, quindi sottoposta al medesimo regime[16].

Volgendo lo sguardo proprio alla compensazione, la situazione in oggetto difetterebbe di un fondamentale requisito, insito nella definizione stessa dell’istituto: la reciprocità dei crediti[17], c.d. reciprocità funzionale, tra il fallito e il creditore in bonis, che altro non è se non la sussistenza delle obbligazioni reciproche necessarie ai fini della compensazione[18].

La questione merita un’analisi maggiormente approfondita, con particolare riferimento ai centri di imputazione coinvolti. Questi ultimi, infatti, mutano nel corso della vicenda, nella quale il momento cruciale è rappresentato dalla dichiarazione di fallimento. A partire da essa, si verifica un mutamento nel centro di imputazione patrimoniale: dal fallito all’amministrazione fallimentare. Di conseguenza, nel caso in cui il debito verso il fallito sorga prima della dichiarazione di fallimento e il credito abbia invece origine dopo la medesima per atto del fallito stesso, la reciprocità tra debito e credito sarebbe del tutto assente, riferendosi la vicenda a due centri di imputazione differenti (il fallito prima della dichiarazione di fallimento e l’amministrazione fallimentare dopo la stessa)[19]. Tuttavia, tale argomento è controverso poiché gli orientamenti dottrinali si diversificano a seconda dell’interpretazione della norma contenuta nell’art. 56 l. fall. [20]. Ed infatti, secondo una parte della dottrina, dovrebbe effettuarsi un’interpretazione letterale, che non consentirebbe, quindi, di fornire al curatore la legittimazione ad opporre la compensazione[21]. Al contrario, secondo altra parte della dottrina sarebbe necessario porre in essere un’interpretazione più sistematica, ad opera della quale il curatore potrebbe subentrare al fallito, acquisendo così il diritto di compensare che sta in capo alla massa[22]. Sulla scorta di tale interpretazione, non si verificherebbe, dunque, un mutamento nei centri di imputazione, non potendosi neppure operare un’esclusione del curatore senza una norma che lo stabilisca espressamente[23].

In ogni caso, a prescindere dall’orientamento che si voglia far valere, l’atto compiuto dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento sarebbe inefficace ai sensi dell’art. 44 l. fall. Un credito consistente in un deposito cauzionale versato nell’ambito della procedura fallimentare non dovrebbe, dunque, essere suscettibile di costituire un controcredito ai fini della compensazione.

Nel caso di specie, secondo la difesa del Fallimento, il controcredito avrebbe tratto origine da un’azione revocatoria fallimentare non ancora promossa, nonché da un credito di natura risarcitoria derivante da un’azione non ancora esercitata al momento in cui l’eccezione era stata proposta. Sulla base di questi presupposti, il credito eccepito non sembrerebbe munito dei requisiti stabiliti ex lege per la compensazione. Inoltre, autorevole giurisprudenza esclude l’operatività della compensazione tra credito verso il fallito e credito del curatore in seguito all’avvenuto esperimento, con successo, dell’azione revocatoria, in quanto in tal caso il curatore agisce nelle vesti di un terzo, estraneo quindi alla massa, non invece in qualità di successore del fallito. Si tratta quindi di due posizioni differenti: diritto del fallito e diritto sorto in seguito alla dichiarazione di fallimento. Solo nel primo caso, infatti, sussiste la suddetta condizione di reciprocità funzionale tra il patrimonio del fallito e il creditore in bonis, mentre nel secondo caso tale condizione è del tutto assente[24].

Tuttavia, anche a prescindere dall’analisi sopra riportata in tema di compensazione, con tutta probabilità, secondo i canoni classici tale istituto non potrebbe applicarsi al caso in oggetto. Ed infatti, ammettendo la possibilità che il deposito cauzionale fosse oggetto di compensazione, qualora il credito del Fallimento nei confronti della società non aggiudicataria fosse accertato, si avrebbe una confusione tra la somma costituente il deposito cauzionale e il patrimonio del Fallimento, col risultato che il deposito cauzionale potrebbe essere, e sarebbe certamente, aggredito dai creditori del Fallimento. A tal proposito, è necessario precisare che questi ultimi si trovano, nei confronti del Fallimento, in una posizione diversa rispetto alla società Beta, poiché essi sono titolari, appunto, di un credito. Come spiegato, è invece diversa la posizione della società Beta, poiché il deposito cauzionale non potrebbe essere, e di regola non è, considerato un credito, bensì una somma funzionale alla procedura competitiva, a garanzia della serietà della proposta o a tutela di un eventuale inadempimento (che nel caso di specie non vi è stato)[25]. Ne consegue che esso non sia suscettibile di entrare a far parte del patrimonio del Fallimento e di essere oggetto di compensazione[26]. Si segnala in merito che, similmente, l’art. 1246 c.c. pone, a tutela del depositante, uno specifico divieto di compensazione tra credito pecuniario e somma oggetto di deposito[27].

Con riferimento alla confusione tra il deposito cauzionale e il patrimonio del Fallimento, lo stesso Giudice Delegato, seppure qualificando il deposito cauzionale come credito contestato, motiva il provvedimento riconoscendo la natura prededucibile della cauzione e il conseguente diritto alla sua restituzione ai sensi dell’art. 111 bis, comma 4[28]. Così facendo, ammette che tali crediti non siano in concorso con altri e diversi crediti prededucibili, i quali vanno, invece, soddisfatti secondo quanto disposto dal comma 3 del medesimo articolo, che non fa menzione delle somme oggetto di versamento a titolo di cauzione.

5. Conclusioni e considerazioni finali

È a questo punto possibile lasciare spazio ad alcune considerazioni.

Alla luce di quanto esposto in materia di compensazione, ci si chiede se il Giudice Delegato si sia pronunciato ammettendone implicitamente l’applicazione al caso in esame o se, invece, abbia voluto individuare una diversa e più opportuna sede per la richiesta di restituzione del deposito cauzionale, ossia il procedimento di verifica dei crediti ex art. 52.2 l. fall., in luogo del reclamo ex art. 36 l. fall.

Nel primo caso, il provvedimento sarebbe molto innovativo poiché permetterebbe di confondere due diverse categorie di somme, da un lato il patrimonio del Fallimento e dall’altro il deposito cauzionale. In tal caso il patrimonio del Fallimento, da cui origina l’attivo da ripartire ai creditori, sarebbe accresciuto dal deposito cauzionale che, tuttavia, non essendo un credito ma solamente una garanzia reale atipica, non potrebbe confondersi con le somme del patrimonio del Fallimento. Ed infatti, ciò andrebbe a discapito della società che ha corrisposto il deposito e che, seppure non aggiudicataria, rischierebbe di perdere la somma versata per la procedura. Tale eventualità si pone in contrasto con lo stesso bando, oltre che con tutte le disposizioni che, con riferimento ai modi di corresponsione della cauzione, hanno sino ad ora guidato lo svolgimento delle procedure competitive in ambito fallimentare.

A creare ulteriori dubbi in merito al provvedimento contribuisce anche l’assenza dei tre requisiti previsti dalla legge per la compensazione: certezza, liquidità ed esigibilità. Il controcredito eccepito in compensazione dal Fallimento deriverebbe, infatti, da due azioni non ancora esercitate al momento della proposizione dell’eccezione di compensazione, un’azione revocatoria fallimentare e un’azione risarcitoria.

Sulla base di queste considerazioni, si potrebbe ritenere che il giudice abbia voluto attribuire una qualche tutela, atipica al Fallimento, istituendo una sorta di sequestro conservativo sulla somma versata dalla società a titolo di cauzione in modo che, qualora il credito vantato dal Fallimento fosse accertato, questo avrebbe modo di soddisfarlo, anche solo parzialmente, trattenendo la cauzione medesima.

Un’ipotesi, questa, forse tutelante per il Fallimento ma anche discutibile. Tutelante poiché di certo consentirebbe al Fallimento il soddisfacimento del proprio credito in maniera immediata; discutibile poiché tale soddisfacimento sarebbe fondato su una somma che non dovrebbe entrare a far parte del patrimonio del Fallimento e confondersi con esso, rischiando il concorso con gli altri creditori, bensì rappresentare solamente la consueta garanzia reale atipica. D’altro canto, è innegabile che il Fallimento, se realmente creditore della società Beta, abbia il diritto di soddisfare il proprio credito, che tuttavia potrebbe essere fatto valere in altre sedi.

Diversamente accadrebbe qualora il Giudice Delegato si fosse pronunciato al fine di individuare, per la richiesta di restituzione del deposito cauzionale, una sede diversa dal reclamo contro gli atti del curatore ex art. 36 l. fall.

Si lascia, quindi, aperta la strada a una molteplicità di soluzioni per la prosecuzione della vicenda processuale.

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Note: 

[1] In accordo con tale posizione, SCALINI P., La compensazione nel fallimento, in Teoria e pratica del diritto, Sezione II: diritto commerciale, Giuffrè Editore, Milano, 1998, pp. 56 ss.

[2]Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’art. 111, primo comma, n. 1),

nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge”.

[3][…]si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 569, terzo comma, terzo periodo, 574, primo comma, secondo periodo e 587, primo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile […]”.

[4]Se il prezzo non è depositato nel termine stabilito, il giudice dell’esecuzione con decreto dichiara la decadenza dell’aggiudicatario, pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa e quindi dispone un nuovo incanto [disp. att. 176]. La disposizione di cui al periodo precedente si applica altresì nei confronti dell’aggiudicatario che non ha versato anche una sola rata entro dieci giorni dalla scadenza del termine; il giudice dell’esecuzione dispone la perdita a titolo di multa anche delle rate già versate […]”.

[5] CATALANO R., Profili evolutivi della compensazione in ambito civile e fallimentare, in Quaderni della rassegna di diritto civile diretta da Pietro Perlingieri, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020, pp. 122 ss.

[6] Cfr. Cass. civ. sez. I, ord., 16 maggio 2018, n. 11957 in Riv. Esec. Forzata, 2019, 1, 197.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9] PERLINGIERI P., Il fenomeno dell’estinzione delle obbligazioni, Camerino, 1972, pp. 106 ss.

[10] SCHLESINGER P., Il Codice Civile. Commentario, Della compensazione, artt. 1241 – 1252, Giuffrè Editore, Milano, p. 3.

[11] Cfr. Cass. civ. sez. I, ord. 15 aprile 2019 n. 10528, secondo cui il requisito della certezza è incluso in quello della liquidità.

[12] Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, sent. 15 novembre 2016 n. 23225 in CED, Cassazione 2018; Cass. civ. sez. VI – 3, ord. 4 dicembre 2018 n. 31359 in CED, Cassazione 2018; Cass. civ. sez. lavoro, 18 ottobre 2002 n. 14818 in Mass. Giur. It., 2002; GALGANO F., Trattato di Diritto Civile, Volume II, CEDAM, Padova, 2015, pp. 224 ss.

[13] A cura di Vincenzo Cuffaro, Delle Obbligazioni, artt. 1218 – 1276, in Commentario del Codice Civile, diretto da Enrico Gabrielli, UTET Giuridica, Torino, p. 623.

[14] Merita considerazione la deroga in materia di crediti non scaduti prima della dichiarazione di fallimento, SCALINI P., La compensazione nel fallimento, in Teoria e pratica del diritto, Sezione II: diritto commerciale, Giuffrè Editore, Milano, 1998, pp. 20 ss; Cass. Civ. n. 1634/1982.

[15] Nota sulle condizioni di ammissibilità della compensazione fallimentare in Giur. It., 2004, 6.

[16] Cass. civ. sez. I, 3 dicembre 2003 n. 18428, in Giur. It., 2004, 1199.

[17] GUGLIELMUCCI L., Diritto fallimentare, Giappichelli, Torino, 2014, p. 195.

[18] A cura di Massimo Ferro, La Legge Fallimentare. Commentario teorico-pratico, CEDAM, Padova, 2007, p. 397.

[19] CATALANO R., Profili evolutivi della compensazione in ambito civile e fallimentare, in Quaderni della rassegna di diritto civile diretta da Pietro Perlingieri, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020, p. 116.

[20] A cura di Vincenzo Cuffaro, Delle Obbligazioni, artt. 1218 – 1276, in Commentario del Codice Civile, diretto da Enrico Gabrielli, UTET Giuridica, Torino, pp. 626 – 627.

[21] MICHELI, Compensazione legale e pignoramento, in Studi in onore di Enrico Redenti, II, Milano, 1951, pp. 58 ss.

[22] In accordo con tale interpretazione, PERLINGIERI P., Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Commentario del Codice Civile. Libro quarto – Delle obbligazioni. Art. 1230 – 1259, a cura di Antonio Scialoja e Giuseppe Branca, Zanichelli, Bologna, 1975, p. 323. 

[23] GIULIANO E., La compensazione con particolare riguardo alle procedure concorsuali, Giuffrè, Milano, 1955, pp. 161 ss.

[24] A cura di Massimo Ferro, La Legge Fallimentare. Commentario teorico-pratico, CEDAM, Padova, 2007, p. 397.

[25] In una recente sentenza, la Suprema Corte ha ammesso la compensazione con un debito restitutorio motivando tale ammissibilità sulla base del momento genetico del debito medesimo, poiché non sorto in favore della massa e nel corso della procedura, bensì anteriormente alla domanda – nel caso di specie – di concordato (Cass. civ. sez. VI – 1, ord. 4 febbraio 2020 n. 2429).

[26] Similmente, Cass. civ. sez. I, 7 aprile 1995 n. 4071 in Riv. Notar., 1996, 594, con riferimento alla funzione fiduciaria e cauzionale di una somma oggetto di deposito e alla inattuabilità della compensazione con essa.

[27] SCALINI P., La compensazione nel fallimento, in Teoria e pratica del diritto, Sezione II: diritto commerciale, Giuffrè Editore, Milano, 1998, pp. 11 ss.

[28]I crediti prededucibili vanno soddisfatti per il capitale, le spese e gli interessi con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, tenuto conto delle rispettive cause di prelazione, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Il corso degli interessi cessa al momento del pagamento.”.  

Dott. Eugenia Lupo

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