La Corte territoriale, in particolare, aveva così ricostruito i fatti: l’imputato, quasi quarantenne, previa istituzione di un profilo Facebook recante l’immagine profilo di altra persona (ragazzo più giovane) al fine di acquisire la fiducia di minori, aveva intrapreso rapporti telefonici con diverse giovani, alle quali aveva richiesto fotografie a sfondo erotico in cui le medesime erano riprese svestite, inducendole alla consegna attraverso la prospettazione di diffondere in rete immagini già in suo possesso. Avverso la detta statuizione, l’uomo proponeva ricorso.
Reato di sostituzione di persona
Respinto, in primis, il motivo di censura inerente la sussistenza del delitto di sostituzione di persona (art. 494 c.p.). Integra senza dubbio il reato in questione la condotta de quo, consistente nella creazione di un falso profilo Facebook apponendovi la fotografia di una persona minorenne identificata, al fine di agevolare delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete con persone iscritte al social network rispondenti alla medesima fascia d’età – così da indurre il ragionevole affidamento di una relazione virtuale paritetica – e con danno della persona di cui è stata abusivamente utilizzata l’immagine.
La Cassazione esprime invece dei dubbi, quanto alla sussistenza del reato di detenzione di materiale pedopornografico. Invero la qualificazione di materiale pedopornografico richiede la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, ovvero qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di minori che renda manifesta la riproduzione delle nudità a fini di concupiscenza e di ogni altra pulsione di natura sessuale.
In questa prospettiva, l’art. 600-quater c.p.. sanziona la mera detenzione di materiale pedopornografico, anche a fini di consultazione personale, senza divulgazione a terzi ed a prescindere dalle modalità genetiche e creative attraverso il quale la rappresentazione sia stata eseguita; mentre la produzione di materiale pedopornografico rileva a prescindere dal pericolo della relativa diffusione.
Foto rinvenute, non è accertabile la natura di materiale pedopornografico
Ora la sentenza impugnata – concludono gli Ermellini – non appare rispondente al necessario standard giustificativo in riferimento all’accertamento della natura di materiale pedopornografico dei reperti ai sensi dell’art. 600 quater cod. pen., come modificato dalla L. 172/2012.
Non è dato infatti evincere con sufficiente determinatezza se le fotografie ed i video trovati in possesso dell’imputato rappresentassero l’effigie di nudi, riconducibili alle minori persone offese, esplicativi di una finalità sessuale o raffigurassero esplicitamente il coinvolgimento delle stesse in atti sessuali, assumendo pertanto la natura di reperti pedopornografici nei termini declinati dal cit. art. 600-ter comma 7 c.p.. La sentenza impugnata deve essere quindi, sotto tale profilo, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello.
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