In estrema sintesi, con quello che potrebbe forse sembrare un gioco di parole, è possibile affermare che tutte le convivenze di fatto sono anche delle famiglie anagrafiche, ma non tutte le famiglie anagrafiche sono anche delle convivenze di fatto.
Vediamo di approfondire il contenuto dell’affermazione.
La vigente legge anagrafica[1] e il relativo regolamento[2] non richiedono, affinché due persone costituiscano un’unica famiglia anagrafica, l’assenza di pregressi vincoli matrimoniali o di unione civile fra di loro e nemmeno con terzi.
E’ anzi risaputo che, laddove due persone coabitanti siano unite da vincolo coniugale[3], tale circostanza impone di iscrivere gli interessati in un unico stato di famiglia, mentre la sussistenza di un vincolo matrimoniale[4] di ciascuno o entrambi i conviventi con terze persone è irrilevante: esso non preclude ai coniugi di rendere all’Ufficiale di anagrafe la dichiarazione secondo cui fra di loro esiste uno vincolo affettivo[5] stabile[6], circostanza che consente la loro iscrizione in un unico stato di famiglia.
In via di ulteriore approfondimento, è possibile osservare che i rapporti di parentela, affinità, adozione, tutela, coniugio o unione civile fra di loro e, secondo l’interpretazione assolutamente prevalente[7], anche con altri[8], è invece necessaria[9] per i conviventi di fatto, la cui nozione è quella di “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”[10].
L’art. 1, comma 37, della L. 20 maggio 2016, n. 76 stabilisce che per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alle consuete dichiarazioni anagrafiche e, precisamente, a quella su cui si basa la nozione e la costituzione di una nuova famiglia anagrafica, previste rispettivamente dagli artt. 4[11] e 13, comma 1, lett. b)[12] D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223.
La funzione caratteristica dell’anagrafe è infatti quella di rispecchiare lo stato di fatto; del resto anche la convivenza ha natura “fattuale”[13] poiché essa consiste in una formazione sociale non esternata tramite il vincolo del matrimonio e, ora, anche di unione civile.
La convivenza di due persone è dunque un “fatto” che – con l’entrata in vigore della L. 20 maggio 2016, n. 76 – diventa giuridicamente rilevante, da cui discendono cioè determinati effetti giuridici.
Sotto altro aspetto, può essere interessante notare come la natura “fattuale” della convivenza trova conferma nella definizione legislativa[14], che è priva di ogni riferimento ad adempimenti formali, mentre è solo per accertare uno dei suoi requisiti costitutivi (vale a dire il fatto della stabile convivenza[15]) che il legislatore si avvale della consueta dichiarazione anagrafica, necessaria per accertare il fatto di base, rappresentato dalla dimora abituale della persona in un determinato luogo.
Come noto, i conviventi devono essere due persone maggiorenni e devono avere dichiarato di costituire un’unica famiglia anagrafica, in assenza dei vincoli indicati dall’art. 1, comma 36, L. 20 maggio 2016, n. 76 fra i conviventi fra di loro e, limitatamente ai vincoli di coniugio e di unione civile, anche di ciascuno dei conviventi con terzi.
Laddove uno o entrambi i conviventi fossero legati da un vincolo di matrimonio o di unione civile con terze persone, essi potranno formare una famiglia anagrafica ma non anche, stante il rilevato limite di legge, essere iscritti come conviventi di fatto.
Nel momento in cui dovesse sopravvenire lo scioglimento o, comunque, la cessazione degli effetti civili del matrimonio, dal momento dell’annotazione di tale status a margine dell’atto di nascita degli interessati, i componenti dell’unica famiglia anagrafica dovranno essere considerati, per legge, anche conviventi di fatto, essendo venuto meno l’impedimento legale, senza che sia a questo scopo necessario acquisire alcuna manifestazione di volontà in tal senso da parte degli interessati[16].
Analogamente sembra possibile opinare per tutte quelle coppie che alla data del 5 giugno 2016[17] già formavano una famiglia anagrafica: se entrambi i conviventi non avevano in essere pregressi vincoli di matrimonio, esse si considerano di diritto[18] anche conviventi di fatto a tutti gli effetti.
Due persone maggiorenni coabitanti e che formano un’unica famiglia anagrafica, se non unite fra di loro o con terzi da uno dei vincoli sopra richiamati, hanno invece diritto di essere iscritte sic et simpliciter come tali nell’anagrafe.
Tanto premesso, si ritiene che possa essere condivisa l’affermazione, contenuta nella Circolare del Ministero dell’Interno n. 7 datata 1 giugno 2016, secondo cui l’iscrizione delle convivenze di fatto deve essere eseguita secondo le procedure già note[19].
In merito alla dichiarazione di sussistenza del vincolo di coppia fra i conviventi, la possibilità di cogliere, nella pratica quotidiana, una differenza tra il generico vincolo affettivo, necessario per costituire una famiglia anagrafica, e il più circostanziato vincolo affettivo di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, quale elemento fondante la convivenza di fatto, appare una distinzione più che altro teorica e, in ogni caso, rinvenibile in ipotesi assolutamente marginali, come potrebbe essere quella dei domestici che, normalmente, vengono iscritti in uno stato di famiglia separato, quali “membri aggregati” ma che, a richiesta, possono chiedere di essere iscritti come membri della famiglia presso cui prestano servizio, se dichiarano di essere ad essa legati da un vincolo di carattere affettivo.
Per concludere, si rileva come l’espressione utilizzata dal legislatore per disciplinare l’istituto dà adito a qualche perplessità: ciò è tanto più vero se si considera che il termine “convivenza” richiama le “convivenze” che il vigente regolamento anagrafico definisce come quegli insiemi “di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune”[20], fra cui non sembrano rientrare le persone avvinte da un vincolo affettivo (di coppia).
La qualificazione della convivenza come “di fatto” aggiunge, almeno in prima battuta, ulteriore ambiguità al nomen coniato dal legislatore per disciplinare l’istituto, anche se, in questo caso, la dicitura potrebbe essere in qualche modo giustificata con l’intento di sottolineare e rafforzare la rilevata valenza “fattuale” dell’istituto.
Viene tuttavia da chiedersi come possano essere oggi qualificate, dopo l’entrata in vigore della L. n. 76/2016, quelle coppie di persone coabitanti e non registrate in anagrafe come tali.
Per rispondere, è possibile fare riferimento alla valenza giuridica, costitutiva o soltanto probatoria, da attribuire alla dichiarazione anagrafica, prevista dall’art. 1, comma 36 della L. n. 76/2016, da cui – come si è visto – deriva l’accertamento della convivenza.
Premesso che la convivenza deriva dall’accertamento di uno dei suoi requisiti costituitivi, rappresentato dal fatto della stabile convivenza, ne consegue che un fatto e, segnatamente, quello dell’effettiva esistenza della convivenza può essere dimostrato anche in altri modi.
Appare dunque preferibile l’opzione che riconosce alla dichiarazione anagrafica, analogamente a quanto avviene per la residenza[21], strumento privilegiato di prova[22] e non anche elemento costitutivo della convivenza.
[1] L. 24 dicembre 1954, n. 1228 intitolata “Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente”.
[2] D.P.R. 30 Maggio 1989, n. 223 “Regolamento anagrafico della popolazione residente”.
[3] Così come da rapporti di parentela, affinità, adozione, tutela, o unione civile.
[4] Oltre che di uno dei rapporti indicati sub nota n. 11.
[5] Il vincolo affettivo non si può presumere, tant’è che esso deve essere provato, mediante “dichiarazione che gli interessati rendono al momento della costituzione o del subentro nella famiglia” [Istat, Metodi e norme, serie B – n. 29 edizione 1992, Parte Terza, Avvertenze e note illustrative relative alla legge ed al regolamento anagrafico, lett. b), § 4, p. 44].
[6] La dichiarata sussistenza del vincolo affettivo non è infatti suscettibile di continui ripensamenti: essa viene meno solo con il cessare della coabitazione (Istat, cit.).
[7] Per una riflessione ragionata sul punto, sia consentito rinviare al proprio studio Unioni civili e convivenze di fatto: commento a prima lettura di una rivoluzione epocale, cit..
[8] Limitatamente al vincolo di coniugio o unione civile.
[9] Cfr. art. 1, comma 36, L. 20 maggio 2016, n. 76.
[10] Come si può notare, la diversità o identità di sesso fra i due conviventi di fatto è irrilevante.
[11] Il cui comma 1° così recita: “Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”.
[12] Secondo cui “Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all’art. 6 del presente regolamento concernono i seguenti fatti: a) […]; b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza”.
[13] In tal senso, ordinanza del Tribunale di Milano, sez. IX, 31 maggio 2016.
[14] Il riferimento è all’art. 1, comma 36, L. 20 maggio 2016, n. 76.
[15] Art. 1, comma 37, L. 20 maggio 2016, n. 76.
[16] Contrariamente alla prassi invalsa in numerosi Comuni, che ritiene invece necessaria tale dichiarazione.
[17] Data di entrata in vigore della L. 20 maggio 2016, n. 76; la legge è stata infatti pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n.118 del 21 maggio2016 ed è entra in vigore del termine di quindici giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (cd. vacatio legis), ex art. 73, comma 3, Cost..
[18] Senza che sia cioè necessaria una qualsivoglia manifestazione di volontà degli interessati.
[19] Dove viene altresì precisato che solo “La registrazione del contratto di convivenza costituisce invece un adempimento nuovo”.
[20] Art. 5, comma 1, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, rubricato “Convivenza anagrafica”.
[21] Cass. Civ., Sez. III, 14.05.2013 |n.11550, la quale ha avuto modo di osservare che “Le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, il quale è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le attese risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori di fatto in via abituale” (in senso conforme vedi anche: Cass. n.19132/04, n.11562/03, n.4829/79, n.4705/89).
[22] In tal senso è anche l’ordinanza del Tribunale di Milano richiamata sub nota n. 13.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento