Fattispecie circostanziate e autonome: rilevanti effetti pratici

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La qualificazione giuridica di talune fattispecie di dubbia interpretazione ha dei risvolti pratici dirompenti per l’applicazione di numerose disposizioni sia di diritto penale sostanziale che processuale.

La prima parte del presente contributo analizza, dapprima, i criteri discretivi che la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato al fine di distinguere tra elementi costitutivi e circostanze del reato, relativamente a numerose figure criminose di ibrida natura presenti nel nostro ordinamento penale.

La seconda parte di questa analisi si sofferma, invece, sugli effetti derivanti dalla suddetta distinzione, i quali incidono in maniera rilevante sull’applicazione di numerosi istituti, sia di diritto sostanziale che di diritto processuale.

     Indice

  1. Le circostanze: cosa sono e quando siamo certamente in presenza di una fattispecie circostanziata
  2. I criteri distintivi tra fattispecie circostanziate e fattispecie autonome
  3. Effetti pratici della distinzione: le disposizioni di diritto sostanziale
  4. Effetti pratici della distinzione: le disposizioni di diritto processuale
  5. Conclusioni

1. Le circostanze: cosa sono e quando siamo certamente in presenza di una fattispecie circostanziata

Quando si parla di circostanze del reato, ci riferiamo a quegli elementi che accedono a un reato già perfetto contribuendo a denotarne un maggiore o minore disvalore.

Le circostanze non rappresentano nient’altro che fatti sintomatici di una maggiore o minore gravità oggettiva del fatto di reato o di una maggiore o minore pericolosità sociale del soggetto agente.

Tali fattori devono già essere vagliati dal giudice ai fini del computo del trattamento sanzionatorio ai sensi dell’art. 133 c.p., ma la loro elevazione a circostanze del reato da parte del legislatore, permettono al giudice di andare oltre i limiti edittali previsti per la fattispecie base di reato.

Il giudice che si trovi di fronte ad un soggetto che abbia commesso un reato per motivi abietti o futili, dovrebbe già considerare tale elemento nella commisurazione del trattamento sanzionatorio della fattispecie base di reato ai sensi dell’art. 133, comma 2, n. 1, c.p.; tuttavia, l’elevazione ad elemento circostanziale dei suddetti motivi a delinquere, ai sensi dell’art. 61, n. 1, c.p., permette al giudice di andare oltre il limite edittale massimo della fattispecie base di reato che viene in rilievo.

Stabilire quando una previsione normativa incida solamente su una modifica del trattamento sanzionatorio oppure dia vita ad un elemento costitutivo di un’autonoma figura criminosa, rappresenta, come vedremo, tutt’altro che un mero esercizio di stile.

Il problema di fondo è che non sussistono nel nostro sistema criteri univoci per distinguere tra l’una e l’altra figura giuridica e quindi spetta all’interprete estrapolare argomentazioni logico-giuridiche in grado di risolvere l’arcano.

Dobbiamo innanzitutto partire dalle certezze (poche) che abbiamo a riguardo.

La fattispecie circostanziata è sicuramente speciale, ai sensi dell’art. 15 c.p., rispetto alla fattispecie base; se tra due fattispecie non c’è specialità sicuramente non siamo in presenza di una circostanza.

Ma attenzione a dire che, se c’è specialità, automaticamente siamo in presenza di una fattispecie circostanziata. Tra peculato e appropriazione indebita, ad esempio, c’è rapporto di specialità, eppure sono due fattispecie di reato autonome.

In secondo luogo, quando la legge ci dice “…la pena è aumentata…” o “…la pena è diminuita…” certamente siamo in presenza di una fattispecie circostanziata a effetto comune.

Pensiamo al secondo comma dell’art. 646 c.p. che in caso di appropriazione indebita di cose possedute a titolo di deposito necessario, dispone che la pena è aumentata. In questo caso siamo in presenza di una figura di reato circostanziata rispetto alla fattispecie base di cui al primo comma del suddetto articolo, fattore questo che determina l’aumento della pena fino a un terzo ai sensi dell’art. 64 c.p.

2. I criteri distintivi tra fattispecie circostanziate e fattispecie autonome

Dobbiamo ora approfondire i criteri che la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato per definire se la figura di reato dubbia sia una fattispecie circostanziata o una figura di reato autonoma.

Un primo criterio è quello della presenza di un articolo ad hoc; in tal senso, se il legislatore ha delineato una fattispecie inquadrandola in un articolo autonomo, allora siamo in presenza di una fattispecie di reato autonoma.

Il secondo criterio è quello relativo al nomen iuris; se il legislatore ha rubricato la fattispecie dubbia con un apposito nomen iuris, allora siamo in presenza di un’autonoma figura di reato. Tale criterio interpretativo è stato valorizzato nella fattispecie di cui all’art. 624 bis c.p. rubricato “furto in abitazione e furto con strappo”. Queste due figure criminose, originariamente enucleate all’interno delle ipotesi circostanziate del furto ai sensi dell’art. 625 c.p., sono state successivamente (con legge n. 128 del 2001) elevate a fattispecie autonome con un articolo autonomo e uno specifico nomen iuris.

Il terzo criterio riguarda il bene giuridico; se nella fattispecie dubbia il bene giuridico rimane lo stesso rispetto alla fattispecie base, siamo in presenza di un reato circostanziato; se, invece, rispetto alla fattispecie base, nella fattispecie dubbia si inserisce un ulteriore bene giuridico oggetto di tutela, allora siamo in presenza di una fattispecie autonoma.

Ancora, altro criterio discretivo è quello relativo alle clausole di sussidiarietà (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”, “fuori del caso indicato dall’articolo…”); la presenza nel testo di una disposizione normativa di una clausola di sussidiarietà, viene valorizzato come elemento espressivo di una fattispecie autonoma di reato.

Pensiamo all’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli stupefacenti relativo al fatto di lieve entità in materia di stupefacenti che, nella sua riformulazione legislativa, contiene la clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato”: grazie a tale riformulazione, l’indirizzo ormai granitico identifica in tale fattispecie un’autonoma figura di reato.

Occorre evidenziare che non solo la fattispecie contente la clausola di sussidiarietà è fattispecie autonoma, ma anche la fattispecie di reato a cui la clausola fa rinvio lo è.

A tal proposito pensiamo all’art. 346 bis c.p., rubricato “traffico di influenze illecite”; tale articolo contiene la clausola di riserva: “…fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319 ter…”; tale clausola viene valorizzata quale argomentazione a sostegno dell’indirizzo (ad oggi assolutamente maggioritario) che considera la fattispecie di cui all’art. 319 ter c.p., corruzione in atti giudiziari, come fattispecie autonoma.

Un ulteriore criterio discretivo tra elementi costitutivi e circostanze del reato è costituito dalla cosiddetta “aggravante dell’aggravante”. Vale a dire che, qualora la fattispecie dubbia presenti al suo interno degli elementi aggravanti, allora è certamente fattispecie autonoma.

Le aggravanti, infatti, hanno senso solo se accedono ad una fattispecie autonoma; non possiamo considerare la fattispecie dubbia una fattispecie circostanziata se al suo interno, in uno dei suoi commi, ad esempio, è contenuto un elemento aggravante (o attenuante).

È sempre il caso, quest’ultimo, della corruzione in atti giudiziari di cui all’art. 319 ter c.p.; al secondo comma, il suddetto articolo prevede due fattispecie aggravate nel caso in cui l’atto corruttivo sfoci in una ingiusta condanna.

È chiaro che tali elementi aggravanti di cui al secondo comma dell’art. 319 ter c.p., hanno senso solo se si considera il reato di corruzione in atti giudiziari come un reato autonomo e non se lo si consideri, a sua volta, come una fattispecie circostanziata delle ipotesi di corruzione classiche di cui agli artt. 318 e 319 c.p.

Ancora, altro criterio distintivo è rappresentato dal riferimento, nel testo della norma, al giudizio di bilanciamento tra le circostanze ex art. 69 c.p.; la presenza del rinvio a un giudizio di bilanciamento è un chiaro indizio che la fattispecie presa in considerazione sia una fattispecie circostanziata; è il caso, tra gli altri, dell’art. 628, comma 4 c.p. relativo alla rapina.

Un ultimo criterio valorizzato dalle Sezioni Unite Fedi del 2002 (cfr. Cass., Sez. Un., n. 26351 del 2002) è quello della ridescrizione del fatto.

Secondo le Sezioni Unite del 2002 occorre utilizzare un criterio più certo e meno opinabile, un criterio strutturale basato sul confronto tra gli elementi costitutivi descritti nella fattispecie semplice e in quella dubbia.

Se nella fattispecie di reato dubbia c’è una rinnovazione della descrizione del fatto tipico, allora siamo in presenza di un reato autonomo; se invece nella fattispecie dubbia, per la descrizione del fatto tipico, c’è un rinvio per relationem alla fattispecie base, allora siamo in presenza di una fattispecie circostanziata.

Quest’ultimo elemento è stato valorizzato dalle Sezioni Unite del 2002 per qualificare il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640 bis c.p. come fattispecie aggravata della truffa semplice di cui all’art. 640 c.p.

A chiusura della prima parte della presente trattazione, occorre specificare che gli elementi discretivi sopra menzionati, non sono criteri certi in grado di condurre l’interprete verso porti sicuri; nel senso che talvolta la giurisprudenza valorizza un criterio, altre volte ne valorizza un altro al fine di qualificare una determinata fattispecie di dubbia interpretazione come fattispecie circostanziata o autonoma di reato; facciamo degli esempi.

Nella fattispecie di cui all’art. 640 bis c.p. sono contenuti elementi che possono condurre l’interprete a qualificarla tanto come fattispecie autonoma quanto come fattispecie circostanziata.

Propendono verso la prima conclusione elementi quali: la sussistenza di un articolo ad hoc, un diverso nomen iuris nella rubrica della norma, un ulteriore bene giuridico oggetto di tutela rispetto alla fattispecie base di cui all’art. 640 c.p., rappresentato dalla corretta allocazione delle risorse pubbliche o delle Comunità europee.

Verso la seconda conclusione, invece, è orientata la giurisprudenza prevalente (supportata dalle Sezioni Unite Fedi del 2002) che valorizza il criterio strutturale del rinvio per relationem alla condotta tipica della truffa semplice di cui all’art. 640 c.p.

Consideriamo, inoltre, il delitto di cui all’art. 609 octies, rubricato violenza sessuale di gruppo. In detto articolo, nonostante per la descrizione della condotta tipica sia presente un rinvio al delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis e, nonostante il bene giuridico tutelato rimanga immutato, è pacifico che in questo caso siamo in presenza di una fattispecie autonoma; il legislatore qui ha voluto porre un freno ai sempre più frequenti episodi di violenza collettiva elevando l’art. 609 octies a fattispecie autonoma, mentre in precedenza era qualificata quale mera fattispecie circostanziata aggravata.


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3. Effetti pratici della distinzione: le disposizioni di diritto sostanziale

Arriviamo quindi alla seconda parte del presente elaborato e la domanda che ci sovviene giunge quasi automatica: a cosa serve l’elaborazione di tutti i suddetti criteri distintivi? Quali sono gli effetti pratici di qualificare un reato quale fattispecie circostanziata oppure quale figura autonoma?

Partiamo dall’analisi degli effetti che si riverberano sull’applicazione di specifiche disposizioni di diritto penale sostanziale.

Il primo effetto incide sulla disciplina dell’istituto del bilanciamento delle circostanze ai sensi dell’art. 69 c.p.: qualificare la fattispecie dubbia quale fattispecie circostanziata implica che la circostanza potrebbe essere elisa dal giudice (salvo eccezionali ipotesi di circostanze privilegiate) qualora dovessero concorrere circostanze eterogenee.

È questo un aspetto altamente problematico che si presenta nelle numerose fattispecie previste nel nostro ordinamento dei cosiddetti delitti aggravati dall’evento: pensiamo alla rissa ex art. 588, ai maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., all’omissione di soccorso ex art. 593.

In tutti questi delitti è previsto un aggravamento del trattamento sanzionatorio qualora dalla condotta delittuosa segua una lesione personale o la morte.

Secondo l’indirizzo prevalente l’evento lesivo e l’evento morte sarebbero da qualificare quali mere fattispecie aggravate delle ipotesi delittuose di base sopra menzionate; tutto ciò implica che, qualora dalla rissa, ad esempio, derivi la morte di una persona, il giudice potrebbe astrattamente elidere tale elemento circostanziale solo che un’attenuante fosse considerata equivalente o prevalente ai sensi dell’art. 69 c.p., punendo il reo con la sola pena della multa ex art. 588, comma 1, c.p.

Un effetto socialmente allarmante ma che da un punto di vista sistematico non potrebbe essere escluso.

Ulteriore conseguenza della qualificazione come circostanza o come elemento costitutivo di un’autonoma figura di reato riguarda l’elemento soggettivo.

Se consideriamo la fattispecie dubbia quale fattispecie autonoma e quest’ultima è dolosa, il dolo deve necessariamente “abbracciare” tutti gli elementi costitutivi della fattispecie stessa.

Se invece consideriamo la fattispecie dubbia quale fattispecie circostanziata, mentre le circostanze attenuanti sono valutate a favore dell’agente per il solo fatto di esistere ai sensi dell’art. 59, comma 1, c.p., le circostanze aggravanti, a seguito della riforma avvenuta con la legge n. 19 del 1990, si imputano non solo se conosciute e volute ma anche se non conosciute per colpa oppure se ritenute inesistenti per errore determinato da colpa ai sensi dell’art. 59, comma 2 c.p.

Quindi, se quell’elemento dubbio viene qualificato come elemento costitutivo di una fattispecie autonoma, se io non me lo sono rappresentato ma potevo farlo con l’ordinaria diligenza, non mi potrà essere imputato.

Ancora, nell’ambito del concorso di persone nel reato, la qualificazione della fattispecie dubbia come autonoma o circostanziata incide in maniera rilevante.

Nel primo caso si applicheranno gli artt. 116 e 117 c.p. in materia di concorso anomalo, nel secondo caso si applicherà l’art. 118 c.p. che esclude la comunicabilità ai correi di talune elementi circostanziali di natura soggettiva.

Altro istituto di grande rilevanza riguarda la prescrizione del reato; l’art. 157 c.p., al secondo comma, stabilisce che per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena massima stabilita per la fattispecie consumata o tentata e che non rilevano le circostanze, salvo le circostanze aggravanti autonome e ad effetto speciale.

Quindi nel computo del termine di prescrizione non rilevano né le attenuanti, né le aggravanti comuni; tuttavia rilevano le aggravanti autonome e in particolare le aggravanti a effetto speciale, vale a dire quelle circostanze che determinano un aumento di pena superiore a un terzo rispetto alla fattispecie di reato base.

Diventa in tal senso cruciale qualificare la fattispecie dubbia. Qualora infatti quest’ultima comporti un aumento del trattamento sanzionatorio non superiore a un terzo, non se ne dovrà tenere conto nel computo del termine di prescrizione qualora venisse qualificata quale fattispecie circostanziata; diversamente nel caso in cui venisse qualificata come fattispecie autonoma, elemento quet’ultimo che determinerebbe un allungamento del termine di prescrizione.

È stato questo un problema che ha riguardato la fattispecie di cui all’art. 609 ter prima della riforma intervenuta con la legge n. 69 del 2019; oggi infatti tale fattispecie non pone problemi essendo qualificata come circostanza aggravante a efficacia comune del delitto di violenza sessuale, in quanto al primo comma di detto articolo si legge che “la pena stabilita dall’art. 609 bis è aumentata di un terzo se…”

Ante riforma, invece, la formulazione della disposizione prevedeva che “la pena è della reclusione da sei a dodici anni…”; la norma in questione era qualificata come una circostanza indipendente che determinava un aumento non superiore a un terzo rispetto alla fattispecie base del delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. (il quale prima della riforma del 2019 prevedeva una pena massima pari a 10 anni).

Ai nostri fini, occorre premettere un brevissimo cenno in merito alla discussione circa la natura giuridica delle circostanze indipendenti risolta solo nel 2017 dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 28953 proprio in riferimento alla fattispecie di violenza sessuale aggravata ex art. 609 ter c.p.

Secondo un primo orientamento, le fattispecie di reato che determinano i limiti edittali di pena in maniera indipendente rispetto alle fattispecie comuni, sono da considerare sempre circostanze ad effetto speciale.

Secondo un altro orientamento, accolto dalle SS. UU., per una corretta qualificazione delle circostanze indipendenti occorre operare una summa divisio: quelle che determinano un aumento o una diminuzione superiore ad un terzo sono considerate circostanze ad effetto speciale, mentre, quelle mantengono i limiti edittali della pena fino ad un terzo rispetto alla fattispecie di reato semplice, sono da considerare circostanze ad efficacia comune.

La pronuncia delle Sezioni Unite del 2017, quindi, ha qualificato la fattispecie di cui all’art. 609 ter c.p. quale circostanza ad efficacia comune in quanto, ante riforma del 2019, prevedendo una pena massima di 12 anni, disponeva un aumento del trattamento sanzionatorio rispetto al delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis in maniera non superiore ad un terzo (come detto la pena massima del delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. era infatti pari a 10 anni).

L’effetto di tale indirizzo interpretativo delle SS. UU. è stato quello di non tener conto della pena edittale massima di 12 anni prevista dall’art. 609 ter ai fini del computo del termine di prescrizione; a questo fine, a venire in rilievo, ai sensi dell’art. 157, commi 1 e 2, c.p. è il termine ante riforma del 2019 di 10 anni, quale pena massima prevista per il delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p.

Altro effetto della distinzione tra fattispecie circostanziate e fattispecie autonome, riguarda il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione ai sensi dell’art. 158 c.p.: il termine di prescrizione, infatti, inizia a decorrere dall’integrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di reato considerata e non vengono in tal senso presi in considerazione l’integrazione degli elementi accidentali.

Ancora, l’art. 6 c.p. detta disposizioni in materia di locus commissi delicti. La legge penale italiana, di regola, si applica quando all’interno del territorio italiano si verifica l’evento costitutivo della fattispecie di reato oppure ivi si verifica anche solo un frammento della condotta attiva o omissiva connotante il reato preso in considerazione.

Se in Italia si verifica l’elemento circostanziale mentre i rimanenti elementi costitutivi della fattispecie considerata si consumano in territorio francese, ad esempio, la legge penale italiana non sarà applicabile.

Un ultimo istituto di diritto sostanziale suscettibile di venire in rilievo ai fini della distinzione oggetto del presente elaborato, è costituito dalla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p.

Anche in questo caso la legge, per l’applicazione di tale istituto, prende a riferimento il trattamento sanzionatorio previsto per l’ipotesi delittuosa che viene in considerazione.

Ricordiamo in proposito che la riforma Cartabia ha di recente riformato l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. alle fattispecie di reato che prevedono una pena minima non superiore ai due anni, mentre, fino all’intervento riformatore, l’istituto della causa di non punibilità dell’art. 131 bis c.p. prendeva a riferimento le fattispecie delittuose con pena detentiva non superiore ai cinque anni nel massimo.

Immutata rimane la previsione di cui al quarto comma del suddetto articolo il quale, ai fini della determinazione della pena detentiva nel limite non superiore di due anni nel minimo (post riforma Cartabia), tiene conto degli elementi circostanziali autonomi e di quelli ad effetto speciale, anche attenuanti.

Anche in questo caso, oltre a quanto già abbiamo visto sopra in materia di termine massimo di prescrizione ex art. 157 c.p., qualificare in un senso o nell’altro la fattispecie dubbia può determinare effetti decisivi nell’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.

4. Effetti pratici della distinzione: le disposizioni di diritto processuale

Passando all’analisi delle disposizioni di diritto processuale penale, la distinzione tra fattispecie circostanziate e fattispecie autonome rileva già all’inizio del nostro codice di procedura penale in materia di regole per la determinazione della competenza ai sensi dell’art. 4 c.p.p.

Per determinare la competenza, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato e si tiene conto soltanto delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

Prendiamo come esempio i procedimenti a citazione diretta dinanzi al Tribunale in composizione monocratica ex art. 550 c.p.p. e seguenti.

In questo caso la legge prevede l’applicabilità di tale procedimento acceleratorio in riferimento ai reati che prevedono una pena edittale massima non superiore ai quattro anni, oltre ad una serie di fattispecie nominativamente indicate dal secondo comma dell’art. 550 c.p.p.

Per la determinazione della pena edittale dei quattro anni, il primo comma dell’art. 550 c.p.p. rinvia all’art. 4 c.p.p. sopra menzionato.

La fattispecie di reato di cui all’art. 617 bis c.p., rubricata “installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche”, prevedendo al primo comma una pena edittale massima di quattro anni è un classico esempio di fattispecie di reato con procedimento a citazione diretta dinanzi al Tribunale monocratico ai sensi dell’art. 550, comma 1, c.p.p.

Il secondo comma dell’art. 617 bis c.p. prevede, invece, una pena edittale massima elevata a cinque anni; se si considera detto secondo comma come una fattispecie autonoma, si esula dal campo di applicazione dei procedimenti con citazione diretta ai sensi del combinato disposto ex art. 550, comma 1 e art. 4 c.p.p. (non rientrando tale fattispecie di reato nemmeno tra le ipotesi tassative dell’art. 550, comma 2, c.p.p.).

Se invece si qualifica il secondo comma come fattispecie circostanziata, quale è attualmente l’indirizzo maggioritario, a rigore dovrebbe essere disposto il procedimento con citazione diretta essendo il reato di cui al secondo comma dell’art. 617 bis c.p. qualificabile come circostanza indipendente ad efficacia comune il quale, non può essere preso in considerazione ai fini della determinazione della competenza ai sensi degli artt. 4 e 550, comma 1, c.p.p.

Occorre tenere in considerazione anche l’art. 8 c.p.p. che disciplina la competenza per territorio individuata nel giudice del luogo in cui il reato è giunto a consumazione.

In questo caso rileva il luogo dove sono stati integrati tutti gli elementi essenziali del reato; se la condotta delittuosa è stata realizzata a Milano e l’elemento circostanziale si verifica a Firenze, competente territorialmente sarà il giudice di Milano.

Proseguendo nella trattazione degli istituti di diritto processuale, la disposizione di maggiore rilevanza che viene in rilievo quando occorre qualificare una fattispecie di reato dalla dubbia natura giuridica è l’art. 278 c.p.p.

Tale disposizione, infatti, incidendo sul diritto inviolabile della libertà personale, si applica sia in materia di misure cautelari che di misure precautelari quali l’arresto e il fermo ai sensi dell’art. 379 c.p.p.

L’art. 278 c.p.p., per l’applicazione delle misure cautelari e precautelari, ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato; di regola non dà rilevanza alle circostanze, salvo per quanto concerne l’aggravante di cui al n. 5 dell’art. 61 c.p., l’attenuante n. 4 dell’art. 62 c.p. e le circostanze autonome nonché quelle ad effetto speciale.

In materia di misure cautelari personali, pensiamo ai presupposti applicativi della custodia cautelare in carcere, tra i quali, l’art. 280 c.p.p. prevede che possa essere disposta solo per i delitti consumati o tentati per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Anche in questo caso qualificare la fattispecie dubbia quale reato circostanziato o fattispecie autonoma, ha un effetto pratico dirompente in quanto incide su un diritto inviolabile quale l’art. 13 della Costituzione.

Prendiamo sempre come esempio il secondo comma dell’art. 617 bis c.p. precedentemente analizzato, oppure il secondo comma dell’art. 617 quinquies c.p. rubricato “installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche”, il quale al secondo comma eleva la pena massima a cinque anni rispetto ai quattro anni di cui al primo comma di detto articolo come nel caso della fattispecie di cui all’art. 617 bis c.p.

Anche in questo caso il ragionamento è sempre il medesimo; potrà essere applicata la misura cautelare in carcere esclusivamente se le fattispecie di cui al comma secondo degli artt. 617 bis e 617 quinquies c.p., vengono considerate quali fattispecie autonome, altrimenti, se considerate quali fattispecie circostanziate, non potranno essere prese in considerazione alla luce del combinato disposto degli artt. 278 e 280, comma 2, c.p.p., in quanto sono qualificabili come circostanze indipendenti ad efficacia comune non determinando un aumento di pena superiore ad un terzo rispetto alle fattispecie di cui ai rispettivi primi commi.

I presupposti di cui all’art. 278 c.p.p. sono presi in considerazione anche in materia di applicazione delle misure precautelari ai sensi degli artt. 379 e ss. c.p.p.

L’arresto facoltativo in flagranza di cui all’art. 381 c.p.p., ad esempio, può essere disposto, oltre che nelle ipotesi tassative previste dal secondo comma, sia nei casi di delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge prevede la pena della reclusione superiore nel massimo ai 3 anni, sia nelle ipotesi di delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Occorre evidenziare che in materia di misure precautelari e, soprattutto in materia di arresto in flagranza, l’incidenza pratica della distinzione tra fattispecie circostanziate e fattispecie autonome è meno sentita, in quanto il legislatore ha analiticamente previsto numerose fattispecie di reato che esulano dai generali presupposti applicativi di cui agli artt. 278 e 379 c.p.p. parametrati sulla pena edittale massima.

Tuttavia, da un punto di vista sistematico non possiamo non ricomprendere nella presente trattazione anche le disposizioni previste dal Titolo VI del Libro V del nostro codice di procedura penale.

L’interrogativo sulla qualificazione giuridica della fattispecie di reato dovrà sempre ispirare l’interprete in particolar modo quando si tratta di istituti che incidono su libertà fondamentali.

5. Conclusioni

In conclusione possiamo affermare che la distinzione tra circostanze ed elementi costitutivi ha un’importanza tutt’altro che teorica; la sua soluzione incide in maniera dirimente sull’applicazione di una serie di disposizioni nell’ambito delle quali le circostanze possono essere considerate tutt’altro che meri elementi accidentali.

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Stefano Rossini

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